Vedi Nuovo Olimpo e rimani disorientato. Per la franchezza dell’opera, innanzitutto, così favola e al contempo autobiografica – un fotogramma ruba, su un comò, i premi vinti da Ferzan Özpetek, attribuiti nella finzione a Enea Monte, una torta col numero 14 festeggia il numero di lungometraggi girati dal protagonista, 14 come quelli del cineasta italo-turco – da risultare sfacciata. Tanto che in un’intervista a Monte fa dire all’intervistatrice che ama il suo cinema perché emoziona e altri sembrano vergognarsi di farlo, in una conferenza stampa un po’ alla Notting Hill Enea dice che per lui i sentimenti sono più importanti di tutto il resto nel raccontare storie (e in quel contesto arriva la battuta più bella di Nuovo Olimpo: “non le sembra che nel suo cinema sia troppo centrale l’omosessualità?”, “ non sono io a metterne troppa, sono gli altri a toglierla”).
E quelle dichiarazioni così semplici e dirette, quell’ammissione di poetica non puoi sottovalutarle. Devi fermarti e partire da lì nell’interpretare un lavoro romantico e nostalgico, discontinuo e dolce. E capire che a volte i registi cambiano, come tutti gli esseri umani, e se si sono intonati a noi ai loro inizi per poi andare altrove, devi trovare il modo di guardarli con un occhio nuovo anche tu. E magari intonarti tu a loro.
Ferzan Ozpetek, un regista multiforme
Gli inizi del cineasta nato a Istanbul e che ha prosperato all’ombra del Gazometro furono notevolissimi: con Il bagno turco, Harem Suare e Le fate ignoranti (che poi recentemente è tornato in forma seriale) pensavi di aver trovato, nel bene e nel male, un Ang Lee europeo, capace di racconti intimi, allora lontani dall’abitudine degli spettatori, popolare e raffinato, profondo e originale. Poi il trittico La finestra di fronte, Cuore sacro e Il giorno perfetto sono un porto franco, un passaggio ad altro, riuscitissimo e pieno di sorprese il primo, ambiziosi e totalmente fuori fuoco il secondo e il terzo, sovrastati da un’oscurità che ilc cineasta non seppe domare. Da lì inzia un periodo più almodovoriano (anticipato in mezzo alla “trilogia del dolore ozpetekiano” da Saturno Contro) un racconto di famiglie allargate e comunità solidali, tra fragilità e ironie, eccessi formali e non sempre toni riusciti, ma in cui trovi sempre intuizioni divertite e divertenti, momenti di una certa bellezza, la capacità di lasciarti sapori piacevoli, con l’eccezione forse di Allacciate le cinture e Napoli velata, oggetti cinematografici misteriosi al limite dell’improbabilità. Ora, Ferzan Ozpetek, ha la leggerezza e la malinconia di Pupi Avati, la sua nostalgia senza tempo e la sua onestà emotiva, rintracciata in Rosso Istanbul anni fa e soprattutto in questo Nuovo Olimpo. E sembra aver trovato un’altra età del suo cinema, la terza . E che si innesta sul suo teatro: sul palco, dopo Mine vaganti, ha portato se stesso, con Ferzaneide, un’autobiografia spudorata e gioiosa e compiaciuta, diversa ogni sera. Ora l’oggetto e il soggetto dell’arte di Ferzan Özpetek è Ferzan Özpetek.
Nuovo Olimpo, la trama
Enea e Pietro, fine anni ’70, il cinema Nuovo Olimpo (chiaramente geograficamente e architettonicamente un incrocio tra il Nuovo Olimpia e il Capranichetta) e il suo corridoio raccolgono amori consumati in fretta mentre la politica attraversa le vie adiacenti. L’Italia sta cambiando, brutalmente, ed Enea e Pietro che sono giovani, belli e acerbi si trovano lì. Si amano, tanto, si perdono. Hanno i visi, il fisico, la fragilità (nel sorriso accorsiano il primo, negli occhi dolenti il secondo) di Damiano Gavino e Andrea Di Luigi, due belle scoperte di un regista che ha voluto guardare con interesse e attenzione la serialità adolescenziale di successo degli ultimi anni, rubandole le facce più interessanti.
Nuovo Olimpo
Cast: Damiano Gavino, Andrea Di Luigi, Aurora Giovinazzo, Alvise Rigo, Giancarlo Commare, Jasmine Trinca, Greta Scarano, Luisa Ranieri
Regista: Ferzan Özpetek
Sceneggiatori: Ferzan Özpetek, Gianni Romoli
Durata: 111 minuti
Su di loro, l’eterna madre e sorella maggiore e osservatrice e dea ex machina (non fortuna né fortunata) non è la “solita” Serra Yilmaz ma la cassiera del Nuovo Olimpo che veste, si pettina e si trucca come Mina (e il film passa nella stessa giornata di Io, noi e Gaber che al sodalizio del signor G con lei dedica molto e che raccoglie le parole di Massimiliano Pani, qui ringraziato nei titoli di coda). Una Luisa Ranieri “liberata” da Paolo Sorrentino e perfetta in questo ruolo sopra le righe, dolce e infine doloroso. Da David per la miglior non protagonista.
Enea e Pietro come solo i grandi amori fanno, si perdono, troppo perfetti per essere veri. Li divide il caso, la vita, ma non si dimenticano, E il caso e la vita li riunirà. O almeno permetterà loro di incrociarsi di nuovo.
Nuovo Olimpo, la recensione
Nuovo Olimpo è un piccolo faro sulla produzione ozpetekiana, su un autore troppo popolare per essere commerciale, ma anche su un regista troppo intellettuale per essere solo pop. Ha una cifra estetica e stilistica precisa e riconoscibilissima, fin dal primo fotogramma e nota di colonna sonora, ha un pubblico – cosa che possono dire in pochi – affezionato e decisamente tenace. Ha una visione di mondo, magari a volte confinato in recinti ristretti fatto di case bellissime e affetti enfatizzati; ha un’idea di cinema che è fatta di melodramma sentimentale e una Roma da cartolina; ha una forma, una grammatica cinematografica quasi cartoonesca, nella messinscena come in alcune caratterizzazioni (Molotov, lo sbigliettatore, le donne che rappresentano ognuna una virtù funzionale all’eroe, che sia la compassione, l’accoglienza di una bravissima Aurora Giovinazzo o un’ironia materna che sfoga ciò che non si è avuto) che serve, nel senso letterale del termine, un contenuto fortemente emotivo.
Nuovo Olimpo è tutto questo, è tanto cinema di Ferzan Özpetek tutto insieme, è uno sguardo affettuoso su tutto ciò che ama, che sia Anna Magnani o fare il cinema, è un film full frontal come i nudi maschili che ci propone senza morbosità, ma per raccontarci intimità e passione. E in quanto opera che in qualche modo rappresenta un momento preciso nella e della sua cinematografia e a suo modo di svolta, ha anche alcuni dei suoi difetti, una certa discontinuità nella parte centrale in cui il protagonista vorrebbe apparire fragile ma è solo narrativamente debole, non riesce a dare profondità a quella mancanza. Meglio decisamente, Pietro, che ha meno pose e sa incarnare nei suoi occhi l’assenza, come meno riusciva inizialmente a sembrare credibile dentro quella coppia. Ma sono dettagli perché Nuovo Olimpo è di quei film che devi assaporare fino alla fine, fino all’ultima scena, in cui due perfetti conosciuti hanno in dono dal loro regista ciò a cui avevano diritto, con spudorata dolcezza e voglia di felicità, perché poi questa storia è anche una favola un po’ sghemba, è il modo di “pensarlo, ogni tanto” quel grande amore, ancora, di rendergli onore.
E capisci che dopo gli esordi, il meglio questo regista l’ha messo quando si è concentrato sui personaggi (anche prima, ma c’era più equilibrio tra forma e contenuto), che nel dipingere vite e archetipi – che brava Greta Scarano a incarnare l’amore incompiuto, da Tavarelli a qui, riassumendolo in una lacrima e un sorriso – ha un talento speciale e che in fondo l’immagine per lui è un luogo dove accogliere personaggi e spettatori e non importa se a volte è tagliata con l’accetta, altre dai colori troppo vividi, altre volte stilizzata. Così come i dialoghi, che alternano momenti alti a parole a volte più scontate, ma che sono uno scivolo per l’emozione e il sentimento.
Con Nuovo Olimpo Ferzan Özpetek ritrova (il miglior) se stesso. E ci fa capire un po’ di più, e meglio, il suo cinema. Ed è un peccato che passi per la sala solo in questa Festa del Cinema di Roma, nella sezione Grand Public, per poi andare il 1° novembre su Netflix.
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