“Mi perdo sempre quando faccio un film”. Kyoshi Sugita pondera le parole. Riflette, si ferma, chiude gli occhi e poi, riordinati i pensieri, si lascia andare alle risposte. Il suo film, Following the Sound, è stato presentato in concorso alle Giornate degli Autori.
La pellicola si concentra su Haru, giovane impiegata di una libreria. Una mattina ferma Yukiko col pretesto di chiederle alcune indicazioni. In realtà, ha percepito in quella donna un dolore profondo che ne segna il volto. Per lo stesso motivo, la commessa segue con discrezione anche Tsuyoshi. Tempo addietro, era una studentessa alle medie quando sua madre morì. Proprio allora, le capitò di incontrare e parlare, in contesti diversi, con Yukiko e con Tsuyoshi. Entrambi sembravano sofferenti.
Anni dopo, Haru è ancora sulle tracce dei due, quasi per il rimorso di non aver saputo aiutare sua madre. E quando incontra l’uno o dialoga con l’altra, le relazioni mutano, assumono nuove forme. Sono momenti nei quali Haru pensa a sua madre e al dolore di quelle due persone.
Crede che il suo film possa essere definito come un omaggio all’empatia?
Per la prima volta in dodici anni, ho realizzato un film che non è basato su un’altra opera. È puramente originale. E per essere del tutto onesto, prima di iniziare a lavorarci, non sapevo che tipo di sceneggiatura sarei stato in grado di scrivere da solo. Ho sempre pensato alla vita delle persone che vengono lasciate indietro. Mi sembra di aver fatto film su questo tema per molto tempo. Mi domando come pensano a chi se n’è andato e come continuano a vivere. E così ho capito che nella mia sceneggiatura era questo l’argomento che volevo affrontare e su cui volevo far riflettere il pubblico.
Following the Sound non segue una struttura narrativa classica e i dialoghi tra i personaggi sono molto scarni…
Quando le persone parlano tra loro, non necessariamente si dicono cose vere. In una conversazione, la storia non è nel dialogo. Il tono della voce, il modo in cui si guardano negli occhi, addirittura il modo in cui si parlano senza guardarsi. Credo siano le reazioni e le azioni che si verificano inconsciamente tra le persone a dire la verità. Ed è questo quello in cui cerco di concentrarmi nel film. Quando due persone si parlano, la cosa più importante non è quello che si dicono, ma il modo in cui stanno insieme fisicamente.
Nel film la protagonista porta sempre con se un walkman con il quale ascolta i suoni della città. Se deve pensare al suo suono preferito di Tokyo, quale sarebbe?
Il fruscio dei rami degli alberi che ondeggiano al vento.
Nel cinema giapponese il cibo ha un ruolo molto importante. E il suo film non è da meno. Cosa rappresenta per lei?
Quando le persone mangiano, mi sembra che sia l’unica cosa che esiste. Penso sia un momento molto puro, senza bugie. In ogni mio film inserisco una sequenza in cui i personaggi condividono un pasto. Ho l’impressione che in quel momento tutti siano concentrati sulla verità del cibo.
Chi vorrebbe vedesse il suo film?
Tutti vivono una vita normale ogni giorno. Si alzano, fanno colazione, escono, studiano, lavorano, si fanno la doccia e vanno a letto. Penso sia molto difficile vivere una vita normale ogni giorno. E voglio che le persone lo riconoscano vedendo il mio film. In un certo senso, lo trovo molto problematico. Forse Following the Sound si rivolge alle persone che non possono dare la vita per scontata o che non fanno tutto con la facilità dell’incoscienza.
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