A sei anni da Downsizing – Vivere alla grande, Alexander Payne è tornato dietro la macchina da presa con The Holdovers – Lezioni di vita (qui la nostra recensione) grazie al quale ha ricevuto tre nomination ai Golden Globes: miglior film commedia o musicale, miglior attore e migliore attrice in un film commedia o musicale, rispettivamente, per Paul Giamatti e Da’Vine Joy Randolph. Nella categoria principale il regista dovrà vedersela con Air – La storia del grande salto di Ben Affleck, American Fiction di Cord Jefferson, Barbie di Greta Gerwig, May December di Todd Haynes e Povere creature! di Yorgos Lanthimos.
Quest’anno, dopo lo scioglimento della Hollywood Foreign Press Association avvenuto nel 2023, il premio verrà organizzato dalla nuova Golden Globe Foundation. Non sarà dunque più l’Hfpa a supervisionare la cerimonia ora presieduta dai produttori Dick Clark Productions, che appartengono a Penske Media Eldridge (la joint venture tra Penske Media Corporation e Eldridge che possiede anche The Hollywood Reporter). Il prossimo 7 gennaio sulla Cbs andrà in onda lo show che, come da tradizione, anticipa la notte degli Oscar.
The Holdovers, la trama
Il film segue le vicende di un burbero professore (Paul Giamatti) di una prestigiosa scuola americana, costretto a rimanere nel campus durante la pausa natalizia per seguire un gruppo di studenti che non ha un luogo dove passare le feste. Inaspettatamente, crea un legame speciale con uno di loro – un cervellotico combina guai (l’esordiente Dominic Sessa) – e con la responsabile della cucina della scuola, che ha appena perso un figlio in Vietnam (Da’Vine Joy Randolph).
Un film dal mood anni Settanta
“Sono più di dieci anni che penso a questo film, ma per vari motivi non mi sono mai messo a scriverlo. Poi ci sono stati un paio di progetti che dovevo girare e mi sono invece sfuggiti di mano, uno dei quali era The Menu. Mi sono ricordato di un programma tv che mi aveva colpito, ambientato in una scuola. Così ho contattato lo sceneggiatore David Hemingson e gli ho chiesto se fosse interessato a scrivere The Holdovers sotto la mia supervisione. Ci sono voluti due, tre anni per ottenere la sceneggiatura che desideravo”, ha raccontato il regista a THR Roma (qui la nostra intervista).
“A ben vedere tutti i miei film appartengono agli anni Settanta. Intendo dire che sono concepiti per raccontare storie e personaggi nel modo di una volta, non come adesso, con la maggior parte delle trame utili solo a inserire effetti speciali e azione. I film che vedevo da adolescente, quelli che adesso chiamano cinema d’autore, sono scritti e fatti meglio della stragrande maggioranza della spazzatura che producono oggi. Il mio è senza dubbio un cinema di personaggi, che muovono la storia con la loro natura, le loro decisioni giuste o sbagliate, la capacità spesso limitata di affrontare la vita. Mi piaceva poi l’idea di girare un film come si faceva in quel decennio di grandi capolavori. Mi sono ispirato a quello che nel 1973 aveva fatto Peter Bogdanovich con Paper Moon”.
Una rivelazione chiamata Da’Vine Joy Randolph
“Mi è piaciuto molto quanto il personaggio fosse completo e quanto fosse in contrasto con gli stereotipi. Alexander ha creato per me uno spazio di sviluppo molto ampio. Ad essere sincera, mi è piaciuto molto il fatto che, in quanto donna, non abbia dubbi sui suoi sentimenti” ha sottolineato Da’Vine Joy Randolph a THR in un’intervista post nomination ai Golden Globe (potete leggerla qui).
“Vive apertamente il suo dolore, prende i suoi spazi e non scende a compromessi. E mi è piaciuto molto che tutti intorno a lei lo abbiano permesso, soprattutto in quel periodo storico. Mi ha attirato il fatto che avesse tante belle sfumature e che fosse comprensibile da molti punti di vista diversi. Volevo che si percepisse come la nonna, la zia o la migliore amica di qualcuno. Una figura materna, questo era il mio obiettivo, volevo che la gente si affezionasse a lei”.
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