Non c’è cosa più difficile che districarsi in un festival internazionale come il Rome Film Fest (come dicono i parapedonali romani). E probabilmente ancora non abbiamo imparato a farlo alla Festa del cinema di Roma, multiforme e con mille sentieri diversi. Proviamo noi a proporvi, con impegno ma anche senza prenderci (e soprattutto prenderla) troppo sul serio, alcuni percorsi che, come il filo di Arianna, potrebbero portarvi fino alla fine della rassegna con una certa soddisfazione.
Gli esordi alla regia delle attrici e degli attori
Si dice che nel cinema italiano non ci siano (ancora, speriamo) abbastanza buoni ruoli per le eccellenti attrici che abbiamo. Loro, però, non si perdono d’animo e esordiscono alla regia. Mur è il documentario con cui Kasia Smutniak risponde e si intona idealmente a Green Border, passato a Venezia e in cui l’attrice italopolacca fa un po’ tutto, compreso farsi pedinare da un drone a cavallo del confine più caldo d’Europa.
Volare è l’opera prima di Margherita Buy, talmente attesa che alla proiezione di cortesia per la stampa prima della Festa non c’erano più posti a sedere. Alcuni l’hanno visto in piedi, il più bravo dei critici italiani si è trovato seduto sulle scale. Racconta di una comunità di sconosciuti che proveranno insieme a superare la paura di volare (il cast è meraviglioso, scelto da un’attrice che conosce i suoi colleghi: ha chiamato quelli bravi bravi, non quelli famosi). Dopo 7 David di Donatello da attrice, che l’ottavo possa essere per la miglior esordiente dietro la macchina da presa? Paola Cortellesi ha conquistato tutti con C’è ancora domani, ambizioso affresco in bianco e nero di una Roma anni ’40 che non sembra poi una città così aperta, visto dagli occhi di una protagonista schiacciata da convenzioni sociali infami e da un ruolo che le sta stretto. Se lo avete perso alla Festa, tranquilli, esce in sala il 26 ottobre.
Attesissima è Patricia Arquette con la sua Gonzo Girl che vede come protagonisti Willem Dafoe e Camilla Morrone, nella parte del padre del giornalista gonzo, appunto, e della sua ennesima assistente. Struggente ma senza “pornografia del dolore” La casa di Andrea, fuori concorso ad Alice nella città, di Camilla Filippi, attrice di talento di cinema e tv, che porta un documentario sul fenomeno della migrazione sanitaria. È già al lavoro sulla sua opera seconda, sempre cinema del reale.
Tra gli uomini ecco Francesco Frangipane, interprete soprattutto televisivo, con Dall’alto di una fredda torre, la storia di una scelta impossibile (chi salvare tra due genitori) e Michele Riondino con Palazzina Laf, storia di licenziamenti e mobbing all’Ilva di Taranto. Niclas Larsson, attore di buona fama fino al 2008, ha lasciato la recitazione a 26 anni per lavorare nel team di regia. A 41 finalmente esordisce con Mother, Couch commedia dell’assurdo con un cast notevole formato da Ellen Burstyn, Ewan McGregor, Rhys Ifans, Lara Flynn Boyle, F. Murray Abraham e Taylor Russell. Ancora Corpo Unico di Mia Benedetta che in Alice nella città accende i riflettori sui femminicidi, costringendo i carnefici a incarnare le storie delle vittime, parlando al femminile. E infine un cortometraggio è l’esordio dietro la macchina da presa di Giovanna Mezzogiorno: Unfitting con Carolina Crescentini, Ambra Angiolini, Fabio Volo, Massimiliano Caiazzo, Marco Bonini e Moira Mazzantini.
Profondo nord
Svezia, Norvegia, Finlandia. Il cinema pattina sui ghiacci del Nord Europa, con l’attitudine di un Beckett ubriaco. Becchini biscazzieri o (letteralmente) senza cervello nel film in concorso La morte è un problema dei vivi (Finlandia); il disturbante The Hypnosis, racconto di un’immaginaria start-up sulla salute riproduttiva delle donne che diventa presto un percorso acido di introspezione e indagine nei dolori altrui. E ancora One Day All This Will Be Yours (sì, è proprio la classica frase “Un giorno tutto questo sarà vostro”, tutto il mondo è paese) solita storia nordica di famiglia, morte, segreti e un passato di quelli che nelle (loro) riunioni di famiglia riesce sempre a riservare sorprese (Svezia, entrambi). Questo in concorso, ma nella sezione Freestyle torna ancora la Finlandia con Je’vida di Katja Gaurjloff, che ha il sapore dell’irresistibile commedia già dalla sinossi del catalogo, che per indurci a vederlo ci riserva frasi motivazionali tipo “storia di resilienza e di indissolubili legami ancestrali”. Vi farà piacere sapere che il film ci porterà nella Finlandia settentrionale ed è il primo lungometraggio nella lingua Skolt Sàmi e che racconta la storia di Ilda, che ha abbandonato comunità e famiglia mentre noi con la regista esploriamo la distruzione delle civiltà indigene. Un’opera ottimista insomma.
Infine come perdersi, sempre in Freestyle, la coproduzione USA, Svezia e Danimarca su un’anziana signora che in un emporio di provincia che vende mobili si siede e nonostante negozianti e figli tentino di convincerla a rialzarsi lei non si schioda? (Lo so, la capite benissimo la signora, chi non lo farebbe). Si parla di Mother, Couch, che faceva parte pure della lista precedente. Le ha tutte.
Freestyle Arts ci offre And The King Said, What a Fantastic Machine in cui gli svedesi Axel Danielson e Maximilien Van Aertryck raccontano la storia del cinema, delle immagini in movimento e invadenti, fino all’affollamento di stimoli visivi attuali, da Méliès a YouTube, da Leni Riefenstahl all’Isis.
Profondo nord, ma per i romani “daje a ride”.
Musica, maestro
Nessuno si offenda, ma uno dei beni rifugio dei festival sono i film con, sulle, delle grandi star della musica. A Roma atterra Dave Stewart con Who to love che coinvolge Greta Scarano – intonata e quasi posseduta dalla musica -, l’ex Eurythmics appunto e i Mokadelic. Regista Giorgio Testi, che porta anche Negramaro – Back Home. Ora so tornare, il ritorno alla natìa Galatina dopo 20 anni della band salentina.
Riccardo Milani, accanto alla sua commedia all’italiana moderna, ha iniziato un’attività documentaria su grandi personaggi. Dopo Rombo di Tuono Gigi Riva, ecco che affronta Giorgio Gaber con Io, Noi e Gaber, noi malati di nostalgia e rabbiosi per il fatto che una società tragicomica come quella italiana meritava almeno che lui la commentasse faremo la fila per vederlo.
E ancora Zucchero Sugar Fornaciari in cui Valentina Zanella e Giangiacomo De Stefano mettono insieme Sting e Bono, Salmo e Roberto Baggio, Brian May e De Gregori, Guccini e Paul Young per ritrarre una delle figure più incredibili del pop rock. Zucchero amaro, perché racconterà anche attacchi di panico e depressione.
E che dire de Gli immortali di Anne Riite Ciccone, nella sezione Freestyle, che ha i BowLand (vincitori di X Factor nel 2018 e ora band dal successo internazionale) nella colonna sonora e che hanno sposato il progetto in toto (si parla di un concerto romano in onore della proiezione)? E ancora Mi pequeño Chet Baker, cortometraggio selezionato da Alice nella città, racconta Diego, un giovane trombettista pieno di talento alle prese con una notte che gli cambierà la vita.
Impossibile poi perdersi Sting e Trudie Styler (al suo terzo film) visitare una Napoli mai vista nel suo, di quest’ultima, Posso entrare? An Ode to Naples. Caravan Petrol, dopo Turturro e Passione ora Sting, an Englishman in Naples.
Siamo serie
Ormai le serie televisive sono parti integranti dei programmi festivalieri – e pensare che c’è chi lo faceva parecchi anni fa e veniva definito sacrilego – e all’Auditoriom e dintorni ecco arrivare I leoni di Sicilia di Paolo Genovese con Miriam Leone, La storia di Francesca Archibugi (tratto dal capolavoro di Elsa Morante), Mare fuori 4 che di sicurò porterà a uno tsunami di fan che colpirà la struttura ideata da Renzo Piano e la stagione spin-off di Suburra, Suburraeterna. Perché non ne avevamo avuto abbastanza di criminali che si volevano ripigliare tutto quello che era loro, pigliarsi Roma o stecca para per tutti. Con Ciro D’Emilio e Alessandro Tonda alla regia, una nuova nidiata di attori tutta da scoprire e Giacomo Ferrara e Filippo Nigro a fare da chiocce. Dulcis in fundo Il Camorrista, il primo successo di Peppuccio Tornatore, diventa serie e arriva alla Festa.
Queste sono solo quattro delle ipotesi che abbiamo immaginato per gli spettatori della Festa del Cinema di Roma. Ma, come sempre nelle grandi rassegne, le possibilità sono tante, dalle trame assurde (un uomo alla ricerca dell’erezione perduta per il candidato all’Oscar del Perù, tanto per dirne una; una Londra semisommersa e distopica in The End We Start From nella sezione Gran Public; il certificato del vero amore di Fingernails) ai film in cui Roma viene, come spesso avviene in questi ultimi anni, colpita da calamità. Gli alieni de La guerra del Tiburtino III di Luna Gualano o il caldo selvaggio e insopportabile di Te l’avevo detto di Ginevra Elkann.
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