Per interpretare Arthur, un archeologo gentiluomo trasformatosi in tombarolo nel film La Chimera di Alice Rohrwacher, l’attore britannico Josh O’Connor ha sostituito il doppiopetto su misura che indossa nel ruolo del Principe Carlo in The Crown di Netflix con un abito di lino color crema sgualcito che ha l’aria di essere stato indossato dal suo proprietario durante troppi scavi notturni.
Ma il suo ruolo nel dramma italiano “è molto più simile a me rispetto a The Crown“, dice O’Connor. Prima dell’intervista con The Hollywood Reporter, l’attore dimostra le sue origini working class e si volta alla vista dell’icona della regia operaia Ken Loach, che rilascia interviste proprio dietro di lui sul tetto del Palais del festival di Cannes, dove La Chimera (così come The Old Oak di Loach) è stato proiettato in concorso. “Quello lì è Ken Loach!”, esclama O’Connor, mezzo gridando mezzo sussurrando, aggiungendo timidamente: “È uno dei miei eroi”.
L’interpretazione di O’Connor nei panni di Arthur, un tombarolo che guida una banda di saccheggiatori di tombe etrusche, che dissotterrano antiche reliquie e le vendono al mercato nero, lo ha messo in lizza, si dice, per il premio di miglior attore a Cannes. Diversamente dalla sua eterogenea compagnia, la cui Chimera – o sogno irraggiungibile – è la promessa di arricchirsi grazie a un tesoro sepolto, la ricerca di Arthur è più spirituale. La sua Chimera è Beniamina, la donna che ha amato e perduto e che spera, in qualche modo, di ritrovare, scoprendo un “portale per l’aldilà” in una delle antiche tombe che porta alla luce.
Parlando con THR a Cannes, O’Connor spiega perché ha legato con Rohrwacher grazie all’amore per “il giardinaggio e le verdure”, come ha vissuto “la vita da circo” sul set de La Chimera e come è diventato lo straniero preferito dal cinema italiano.
Com’è stato scambiare lo sfarzo di The Crown con il realismo terreno e il vestito di lino sporco di questo film?
Beh, qui c’è molto più di me rispetto a The Crown. Di gran lunga. Il mondo in cui vivevo con Alice Rohrwacher durante la lavorazione di questo film assomigliava al mio vero io. Vivevo nel mio camper quando abbiamo girato in riva a un lago, mi lavavo nel lago, era autentico e mi piaceva. Ogni sera io, Alice e i nostri amici del film ci sedevamo intorno al fuoco, cucinavamo il cibo e cantavamo canzoni. Era una vera vita da circo. Adoro The Crown, ma quello è stato un momento della carriera, un momento incredibile, e ne sono eternamente grato, ma si trattava di un personaggio, il principe Carlo, rispetto al quale non avevo alcuna nozione mia. Naturalmente non ci si fa mai un’idea completa di un personaggio, ma in un certo senso ho trovato Arthur [ne La Chimera] più facile da raggiungere, perché in qualche modo desideravo quello che aveva. Ero incuriosito da lui, dal suo interesse per gli artefatti e, sì, anche dalla sua capacità di vedere l’invisibile.
Lo vede come Artù, il cavaliere dall’armatura splendente (o dal vestito di lino macchiato), o come un saccheggiatore? Cosa motiva Arthur?
Beh, credo che per me questo sia cambiato rispetto al momento in cui ho letto la sceneggiatura. All’epoca, mi chiedo se sia stato influenzato dall’aver visto il film di Rohrwacher del 2018, Lazzaro Felice. In quel film, Lazzaro è un santo per certi versi, e io l’ho amato, e ho amato il tipo di iconografia che c’è intorno, ma credo di aver pensato: “Oh, forse Arthur è un santo”. E poi ho pensato: “Beh, no, non lo è perché anche lui è interessato ai soldi”. E poi ho pensato: “È una persona che si interessa anche dell’invisibile, ha un interesse per la storia, per le persone e per la natura”. È una specie di galleggiante, un po’ un fantasma, una specie di ombra. Ma nel suo cuore è profondamente umano. Credo che la chiave per me sia stata cercare di capire come questo personaggio, che apparentemente cerca l’aldilà, esista in questo mondo. Qualcuno me lo ha descritto come un personaggio vuoto. Ma io non credo che Arthur sia vuoto. Penso che sia pieno. In realtà, questa vita non gli basta. Ha bisogno di stare con Beniamina, certo, questo è un aspetto. Ma ha anche bisogno di stare in quest’altro spazio perché il mondo reale non funziona per lui. Non sono sicura che questo risponda alla sua domanda. Suppongo che, quando abbiamo finito il film, stavo ancora cercando di capirlo a fondo. Sento che sto ancora cercando di capirlo a fondo. Se ci riuscirò, glielo farò sapere.
Lei è in questo film di Alice Rohrwacher, nel nuovo film di Luca Guadagnino, Challengers, e uno dei suoi prossimi film sarà Rosebushpruning, il remake di Karim Aïnouz del classico di Marco Bellocchio del 1965 I pugni in tasca. Come ci si sente a essere l’inglese preferito dal cinema italiano?
È fantastico. Sì, è fantastico. Per quanto mi riguarda, è stato una specie di incidente. Voglio dire, si dà il caso che Alice sia la mia regista preferita e, molto fortunatamente, mi ha chiesto di fare questo film. Ora è come una sorella, siamo una famiglia. E Luca Guadagnino è un amico e abbiamo cercato di fare qualcosa insieme per molto tempo. Challengers uscirà alla fine dell’anno e credo che sia un film davvero interessante. Quindi suppongo che, in questo senso, sia stato un caso. Ma credo anche che, un po’ come il filo rosso legato a Beniamina che viene tirato nel film, io sia stato “tirato” da loro. Credo molto nel destino nella vita reale e a volte siamo attratti dalle persone, che ci sia una fonte, uno scopo nella vita, e siamo attratti dalle persone con cui abbiamo bisogno di stare. Alice è sicuramente una di queste. Mi ha cambiato la vita. Non è un’esagerazione. E c’erano già degli indizi. Ero un grande fan del cinema italiano. Quindi Pasolini, Bellocchio, Fellini, Rossellini: sono registi che ammiravo molto. Quindi credo che forse li stessi cercando in qualche modo. Non lo so.
Come vi siete conosciuti lei e Alice Rohrwacher?
Ho visto Lazzaro Felice, poi ho visto Le meraviglie e Corpo Celeste e le ho scritto una lettera. E abbiamo fatto una chiamata su Zoom. All’epoca ero a Città del Messico. Abbiamo avuto una conversazione fantastica e l’ho amata. E lei mi ha detto: “Non ho un film per te. Ma forse in futuro lo farò”. E poi, due mesi dopo, mi ha detto: “Ok, stavo facendo questo film con un attore più anziano, e ora lo riscriverò in modo che tu possa farlo”. È stato incredibile.
Qual è stata la cosa che è scattata tra voi due quando vi siete parlati per la prima volta?
Penso che siamo entrambi degli hippy, nel cuore. Entrambi amiamo il giardinaggio e le verdure. Quindi è stato in parte così. Ma credo anche che fosse una fan di un mio film intitolato God’s Own Country. E io, ovviamente, ero un fan di tutti i suoi lavori. Penso che ci sia un elemento di “Beh, non sono una persona troppo spirituale, ma credo molto nel fatto che le persone si trovino”: credo che ci sia sicuramente questo aspetto. Non appena sono arrivato in Italia, abbiamo passato ogni giorno e ogni notte a cantare insieme sul set. Spesso erano pronti per le riprese e dicevano: “Dov’è Josh?” e mi vedevano in cima a una collina, a guardare una foglia. E Alice è esattamente uguale. Sono pronti a fare una ripresa e io sono accovacciato per terra a cercare di controllare gli anelli di un albero, mentre Alice è affascinata da alcuni insetti che volano. E ci dicono: “Ragazzi, per favore, stiamo cercando di fare un film!”. Ci sono elementi di Alice e di me che ci legano, sento quasi che eravamo destinati a fare qualcosa insieme.
Ho un’ultima domanda smielata da fare: qual è la sua Chimera?
A questo punto devo chiedere: la mia comprensione della traduzione della Chimera è che sia qualcosa che si desidera e che non si può mai catturare. È questo che ha capito?
Sì, ho sentito diverse traduzioni…
Lo chiedo solo perché ho detto a dei giornalisti italiani che Alice e i miei amici erano la mia Chimera, e loro mi hanno guardato straniti: “Ma tu li hai questi amici?”. È stato come se fossi stato molto scortese con loro. Ma se la Chimera è qualcosa a cui tendi e che non riesci a raggiungere, credo che per me sarebbe la fede, la fede in un Dio sarebbe la mia Chimera. Mi sento come se fossi costantemente alla ricerca di una risposta nella vita: eppure sento la sensazione che sarà inevitabilmente impossibile trovare la risposta.
Traduzione di Nadia Cazzaniga
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