Non c’è stata una volta, durante le conferenze stampa della Festa del Cinema di Roma, in cui non arrivassero puntualmente queste due domande da parte dei giornalisti: a quanto ammonta il budget? e Chi ci sarà sul red carpet? Si tratta ovviamente di questioni del tutto legittime, che tuttavia rivelano in maniera esplicita, all’interno di una manifestazione artistica, uno spostamento dell’attenzione nei confronti del dato economico e del glamour. Questo nuovo approccio non riguarda solo la stampa e i lettori, ma anche gli spettatori, finendo per condizionare le scelte dei direttori artistici di tutti i festival, compresi Cannes e Venezia.
Non vi nascondo che le prime volte che ascoltavo quelle domande nasceva in me una leggera irritazione: non c’è stato anno nel quale, insieme ai selezionatori, non abbia cercato film della migliore qualità possibile, spesso provenienti da realtà cinematografiche non troppo esplorate, e continuo a credere che sia questa, in primo luogo, la funzione dei festival.
Inebriati sul tappeto rosso
Non voglio con ciò mortificare l’elemento scintillante, divertente e leggero che li circonda: guai se non ci fosse, tuttavia si tratta della cornice, non del quadro, e come tale non può prenderne in alcun modo il posto. Ho il massimo rispetto per i professionisti dell’industria della moda, e credo che lo spettacolo dei fan assiepati intorno al red carpet abbia qualcosa di inebriante, ma provate a dare un’occhiata al peso attribuito dalla stampa a quel momento di entusiasmo e agli abiti indossati dalle star a scapito dei film.
Ogni volta che ho cercato di affrontare direttamente la questione mi sono trovato di fronte a un rimpallo di responsabilità: il giornalista sosteneva che il redattore capo era interessato solo ai grandi nomi, il redattore capo che questa era la linea del direttore e quest’ultimo che lasciava scelte di questo tipo all’autonomia del giornalista.
Un circuito virtuoso
Se nel caso della Festa del Cinema la domanda relativa al budget ha una rilevanza più significativa che altrove dal momento che gran parte dei finanziamenti provengono dal denaro dei contribuenti, non mi sfugge che la presenza di grandi star metta in moto un circuito virtuoso che genera effetti sul piano mediatico ed economico. Il pauperismo è in primo luogo miope, ma rimane uno scarto tra quello che ogni direttore artistico ha realmente a cuore con quanto finisce per allestire, con l’aggravante delle difficoltà che aumentano esponenzialmente se il festival non è Cannes, Venezia o, in misura minore Toronto o Berlino.
Ogni selezionatore disegna il festival secondo il proprio gusto, ma nel caso di questi festival ha l’imbarazzo della scelta tra moltissimi film che fanno di tutto per partecipare, sapendo che rappresenta un’opportunità impagabile. La difficoltà semmai è rappresentata dalla competizione tra questi festival: sono innumerevoli i casi di film scartati che finiscono per essere presentati altrove, ed è normale che i responsabili di una pellicola paventino la scelta di una manifestazione rivale. Onde evitare questa possibilità, i direttori scelgono a volte film dei quali non sono del tutto convinti e li programmano in una sezione minore o come evento speciale.
Chi viene dal Pantheon, e chi no
C’è poi il caso di pellicole che non rientrano neanche in questa seconda categoria, che vengono improvvisamente offerte ai festival che non appartengono al Pantheon: con i miei collaboratori scherzavamo sul gran numero di film improvvisamente disponibili a fine luglio, quando era stata chiusa la selezione di Venezia. Ovviamente erano tutti presentati con le frasi: “abbiamo programmato l’uscita nella date della Festa”, o peggio “è perfetto per la Festa”.
Chi dirige questo tipo di festival deve cercare, inseguire, sedurre e a volte anche supplicare registi, produttori e distributori, i quali partono da una valutazione impensabile nel primo caso: che convenienza abbiamo a presentare il nostro film in questa manifestazione? È ovvio che il prestigio acquisito sul campo aumenta l’appeal, ma ai fini del successo del film la presentazione ha un impatto molto inferiore, anche per via dell’attenzione della stampa dedicata agli elementi di cui parlavo. Il direttore deve quindi fare di tutto per garantire le star, a volte trattando anche con gli stilisti che le vestono.
Guardie del corpo e jet privati
Ma portare un divo costa molto e quando la distribuzione non partecipa ai costi, soltanto i festival del Pantheon possono permettersi un budget con cui esaudire le loro richieste: c’è chi pretende il jet privato, chi esige la guardia del corpo, per non parlare di assistenti, agenti, addetti stampa, parrucchieri, truccatori e stilisti. È arduo uscire da questa situazione, e oltre a trovare soluzioni creative (una volta ho chiesto a un amico molto benestante di prestarci il suo jet) il direttore tenta di sedurre con ogni mezzo: una carta che ho giocato disperatamente è stata l’atmosfera rilassata e l’inimitabile bellezza di Roma a ottobre, ma in realtà ho ottenuto spesso gran parte dei risultati grazie a rapporti personali.
Si deve infine tenere presente la data di uscita dei film: in virtù del prestigio e della potenza mediatica solo le pellicole presentate a Cannes e a Venezia escono a volte a molti mesi di distanza, e per comprendere la strada che stanno prendendo, forse irreversibilmente, queste manifestazioni, è illuminante vedere le scelte del film di apertura: ogni direttore sa quanto sia indispensabile partire con il piede giusto e come il successo dell’intera manifestazione sia legata in buona parte all’esito di quella serata.
Il caso Johnny Depp
L’immagine finisce spesso per prevalere sull’effettiva qualità, come è accaduto recentemente a Cannes nel caso di Jeanne du Barry. Il film ha avuto recensioni estremamente mediocri, ma sul piano mediatico è stato un trionfo per il ritorno in scena di Johnny Depp, per l’attenzione per una regista donna come la brava Maïwenn, anche interprete di un ruolo, e per la storia ancorata nella cultura francese sulla favorita di Luigi XV.
A questo riguardo vorrei concludere affrontando un altro elemento che sta diventando sempre più significativo: la difesa del cinema nazionale. Da questo punto di vista, Cannes è imbattibile, e pochi anni fa sono stati programmati ben sette film in concorso, mentre il record di Venezia è finora di cinque titoli italiani. C’è da riflettere se l’allargamento sia un criterio più valido rispetto alla selezione, e se la funzione di un festival internazionale sia quello di far conoscere film di qualità di ogni parte del mondo o invece fare opera di promozione della propria cinematografia.
C’è da chiedersi se la ripetuta vittoria di film francesi – non necessariamente i migliori tra quelli offerti dal concorso – sia dovuta alla presenza così nutrita di film d’oltralpe o a una scelta oculata dei membri della giuria da parte del direttore: in entrambi i casi ancora una volta l’effettiva qualità rischia di esser messa in secondo piano.
Antonio Monda è stato direttore artistico della Festa del cinema di Roma dal 2015 al 2021.
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