A La Magistrale, chiosco di rara bellezza e centro degli incontri più importanti del Locarno Film Festival – che siano interviste, pitch, pranzi di lavoro o le cerimonie di apertura e chiusura della rassegna – troviamo subito Laura Luchetti e il cast de La bella estate (nelle sale italiane dal 24 agosto grazie a Lucky Red) – manca solo Deva Cassel – formato da Nicolas Maupas, Alessandro Piavani e Yle Vianello. Sono quelli con la faccia bella e pulita e un po’ spaurita, perché stasera, 4 agosto, dovranno vedere il frutto del loro lavoro sullo schermo più grande d’Europa (e il secondo più grande del mondo).
“Pavese – rompe il ghiaccio la regista, Laura Luchetti – è un autore che amo moltissimo, che avevo rincontrato con La bella estate proprio pochi mesi fa, non so perché ne avevo ripreso in mano i volumi e lo avevo riletto. E dopo un po’ i produttori (Giovanni Pompili e Luca Legnani – ndr), senza sapere di questo mio ritorno di fiamma, mi hanno proposto di lavorarci. L’ho preso come un segno del destino, anche perché ha tutti gli ingredienti per appassionarmi, ci sono le tematiche dell’adolescenza, dell’amore, della scoperta della propria identità che mi sono care, da Fiore Gemello alla serie Nudes. All’inizio ero molto spaventata da questo mondo malinconico e tutto sussurrato, e lo sono ancora. Ma questa storia di un corpo che esplode, di due ragazze che decidono chi e come amare, la voglia di indagare la giovinezza erano qualcosa che trovavo irresistibile”.
Ne esce un romanzo di formazione classico e potente, di ragazzi e ragazze che cercano un posto nel mondo, in cui i loro desideri, la voglia di essere se stessi, la ricerca della felicità anche a dispetto delle convenzioni prorompe dalla cornice di un elegante film in costume, diventando carne viva. Tutto usando come pietra angolare il sentimento tra due giovani donne che si evolve, senza limiti sociali o morali. “Ecco perché non sono riuscita a dire di no a quest’impresa, e ho voluto farlo partendo da questi racconti evocativi e al contempo incredibilmente moderni, perché queste donne combattono contro un mondo che non le riconosce, che non le vuole libere. Quello come questo, attuale. Parte del coraggio che ho trovato lo devo a un cast che si è affidato a me, consegnando la loro carne alla carta di Pavese e rendendo insieme a me quelle pagine vive”. Poi scherza: “prima o poi dovrò affrontare anche il mondo degli adulti, ma è noiosissimo, mentre nell’adolescenza c’è l’idea di futuro e il terrore e l’ambizione di affrontarlo. D’altronde Pavese diceva che la giovinezza era l’età con cui più aveva convissuto di più, e per questo si sentiva sempre un ragazzo. E così con umiltà e un po’ di pazzia ho provato a cadere consapevolmente nella sua trappola, che ha anche il pregio di sapere parlare molto al femminile”.
Entusiasti anche i protagonisti, che incrociano due relazioni fortissime, una d’amore e una fraterna. Tutti e tre i ragazzi hanno incontrato l’opera del grande autore dopo essere stati scelti, e ne sottolineano “l’incredibile modernità”. Alessandro Piavani trova che “vi siano echi molto recenti e attuali, la necessità di essere visti e rappresentati di una certa età così come il respiro socio-culturale-politico di allora, così vicino a quello moderno. E Guido, il mio personaggio, è stato una sfida affascinante: nel libro è crudele, senza rimorsi, noi gli abbiamo consegnato una fragilità, a volte persino dolce, senza però tradire Pavese. E alla fine troviamo una storia di uomini che negano l’identità di donne che vogliono essere libere e diverse dalle altre e da ciò che loro si aspettano. C’è qualcosa di più vicino a ciò che viviamo oggi?”.
C’è stato un grande patto di fiducia tra autrice e giovani intepreti, anche per la capacità della prima di non calare dall’alto un punto di vista ma di confondere il suo sguardo nel loro. “È un bellissimo complimento, anche da madre ci ho sempre provato: aspettavo mia figlia in ginocchio quando tornava da scuola perché fosse accolta da qualcuno alla sua altezza, non da un mostro altissimo che proiettava la sua ombra su di lei. Per questo non ho tenuto alcun segreto tra me e loro, abbiamo scoperto tutto insieme, sorprendendoci l’una con gli altri. La scena dell’abbraccio tra i due fratelli o quella d’amore tra i due amanti ne sono la dimostrazione. La prima è arrivata da un’improvvisazione preparata, peraltro figlia del film più che dei libri, la seconda è stata in piano sequenza – lo so che ti leva la pelle ma era un’indulgenza che ho voluto per me e per l’opera – e realizzandola senza un intimacy coordinator abbiamo restituito con naturalezza e verità quel momento in cui una donna si tradisce e si aliena, in cui va contro se stessa e così facendo capisce ciò che vuole. Una scena non facile per loro, ma loro sapevano a ogni passo che non avrei mai smesso di proteggerli”.
“Questa è una libertà che abbiamo sentito fin dalla prima scena – interviene Yle Vianello -, il suo sguardo mi ha permesso di seguire il mio istinto con lei e con gli altri senza la paura del giudizio, di fare la cosa sbagliata. E alla fine questa libertà mi ha portato emozioni e un’esperienza così profonda che ha aperto domande, dubbi, porte dentro di me come donna, prima che come attrice. E di questo le sono immensamente grata”. E Piavani interviene confessando “che è inevitabile interrogarsi come maschio dopo un film del genere: puoi pure far finta che non ci siano risonanze in te o nella società di questa visione patriarcale, ma sai che è così. E anche per questo è stato bello dare a Guido una complessità diversa, un qualcosa di dolente e non feroce come nel libro”. Una sensibilità che, se possibile, aumenta la tossicità del rapporto di Ginia e Guido. “La bella estate ha cambiato la mia idea di libertà, creativa e personale – aggiunge Nicolas Maupas – fino a tirar fuori da me desideri che ho da sempre e non riconoscevo, come la voglia di essere fratello, come una dolcezza e una visione priva di etichette sociali e retropensieri. Severino è affascinante perché è lo specchio di un film senza adulti, un giovane che ha il coraggio di tornare dove è stato bene, e quando in una storia non ci sono uomini e donne cosiddetti maturi non ci sono legacci, pudori, preoccupazioni di ciò che altri pensano. C’è libertà, appunto”
Il segreto dell’alchimia tra gli attori tra loro e con la regista sono “i miei provini. Che poi sono micro-laboratori in cui metto alla prova gli attori, ma anche me stessa con loro: gli dicevo dai che finiamo alle 20 e alle tre del mattino eravamo ancora lì”. Alla fine, ammettono i tre, “quei provini, tra call back incrociati e ricerca della chimica giusta tra i vari ruoli, personaggi e interpreti, per la loro lunghezza e profondità, sono state vere e autentiche prove”. “E sono stati fondamentali – chiosa la cineasta – perché il film aveva un budget e tempi ristretti, tutto ciò che poteva essere fatto prima era un regalo”.
Sulla proiezione in Piazza Grande, c’è curiosità e un filo di paura. “Ieri sono passata con Yle – confessa Luchetti – e non c’era il pubblico. Solo lo schermo e le ho detto: mi do alla fuga” E proprio la sua protagonista le offre la ricetta per resistere all’ansia da prestazione “più lo schermo è grande, più, non so perché, mi dissocio, riesco a staccarmi dalla mia immagine e affrontare il film da spettatrice”. “Il problema – le risponde Piavani – è che la nostra condanna è essere quello che creiamo, il pittore può staccarsi fisicamente dalla sua opera, però è pure vero che il momento della strizza in cui il film passa da essere solo nostro a essere di tutti, è elettrizzante”. Chiude Maupas, già con la regista in Nudes e nel cast di Mare Fuori, che sembra il più tranquillo in merito e dice “non vedo l’ora di vedere le pennellate di Laura su una tela così grande. Sarà emozionante”. Ed è proprio lei a sdrammatizzare “scopriremo cose che non sapevamo neanche di aver messo!”.
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