Nessun piano B per il Locarno Film Festival, che dovrebbe attraversare indenne lo sciopero degli attori statunitensi, annunciato giovedì sera dal sindacato di categoria SAG-AFTRA. Condizionale d’obbligo, anche secondo il direttore Giona Antonio Nazzaro, che dal 2 al 12 agosto si troverà a gestire il primo festival cinematografico internazionale nell’era della epocale mobilitazione. Oltre alle numerose star europee invitate sul tappeto rosso, la 76esima edizione di Locarno accoglierà in chiusura l’attrice americana Cate Blanchett, presente nelle vesti di produttrice del film Shayda di Noora Niasari.
Si aspettava lo sciopero?
Sicuramente si tratta di un evento epocale per le sue dimensioni. Se mi ha colto di sorpresa? No. Lo sciopero degli sceneggiatori era il segnale di un allarme generale. L’errore forse è stato quello di non rendersi conto che gli sceneggiatori, negli Stati Uniti, sono molto vicini agli attori. Una sceneggiatura può avere decine di stesure, e la collaborazione con gli attori è fondamentale: si scrive anche sulla base di ciò che le star pensano del proprio ruolo. Ci sono autori, come Quentin Tarantino per fare un nome, che non cambierebbero mai una virgola sul copione. Ma è un’eccezione. La complicità e la fiducia tra le due categorie è un elemento chiave: lo sciopero degli sceneggiatori doveva essere preso più sul serio. L’esito era prevedibile.
Quali saranno le ricadute sul Locarno Film Festival?
Lo sciopero diventa un “problema” se un festival invita il film di una major americana, o un film realizzato all’interno del sistema di regole statunitensi, che coinvolga categorie di lavoratori che hanno aderito alla mobilitazione. Per quanto riguarda Locarno, gli attori – anche i nomi associabili a Hollywood – partecipano con opere prodotte al di fuori del contesto statunitense e realizzate secondo altri regolamenti sindacali. Il cortometraggio di Riz Ahmed (Dammi, diretto da Yann Demange, ndr) è un film europeo. Cate Blanchett parteciperà come produttrice di un film indipendente australiano e inglese (Shayda di Noora Niasari, ndr). Il film di Stellan Skarsgård (What Remains di Ran Huang, ndr) non è tecnicamente una prima, anche se il montaggio è nuovo, un director’s cut. Non sono film espressione degli studios contro i quali è stato indetto lo sciopero, quindi non dovremmo avere ricadute. Ma non posso mettere la mano sul fuoco.
Teme che gli attori europei possano unirsi in solidarietà ai colleghi americani?
Quello europeo è un mondo molto diverso. Da noi può accadere che un’attrice importantissima, una star, si metta a disposizione di un regista esordiente anche aldilà del mandato delle ore previste per contratto, semplicemente perché crede nel progetto. E agenti o sindacati, di solito, non hanno da ridire. La percezione del lavoro cinematografico, in Europa, è un’altra.
Il Locarno Film Festival sostiene lo sciopero degli attori?
Il festival comprende le ragioni dello sciopero in atto.
State preparando un “piano B”, nel caso gli americani non si presentino?
Il piano A è il Festival. Il piano B è il festival. Il piano C pure.
Quanto si può prendere sul serio lo sciopero di star che guadagnano milioni?
Questo è cinismo populista da bar. È vero che le star conducono una vita diversa da quella della maggior parte delle persone, ma fanno un lavoro difficile, sotto gli occhi di tutti. Sì: villa e piscina. Ma si paga un prezzo. Se il film esce, il merito è loro. Se fallisce, la colpa non è mai del produttore. E poi c’è la questione della distribuzione, sempre più immateriale. Che è centrale. Prendiamo il caso del lancio di un’opera: i frammenti del film diffusi in rete si trasformano in click, che a loro volta – a seconda del “luogo” in cui si concentrano – si configurano come possibilità di raccolta pubblicitaria. Ma è la faccia della star che sta dappertutto, e che permette quella moltiplicazione di introiti: l’attore non ha un rientro economico e paga anche il prezzo di uno sfruttamento intensivo, che non riesce a controllare. È un loro diritto, quello di controllare il modo con cui la loro immagine “viaggia” nel sistema iperconnesso della comunicazione digitale contemporanea? È un loro diritto tutelarsi?
La contestazione riguarda anche le piattaforme. Che ne pensa?
Le piattaforme sono agli albori, anche come modello di business. Ma se l’attore è protagonista di un’opera sulla piattaforma, non ha forse il diritto di sapere quante visualizzazioni ha registrato? E rispetto a quelle visualizzazioni non dovrebbe avere voce in capitolo? Ancora una volta ci nascondiamo dietro al cinismo, da persone invidiose. Quando Scarlett Johansson fece causa a Disney+ per Black Widow (nel luglio 2021, ndr), si è parlato solo dei suoi miliardi. Pochi hanno capito veramente cosa stava accadendo. Se Black Widow va benissimo al cinema, e all’improvviso se ne va in piattaforma, le possibilità di guadagno di Johansson – secondo il contratto, regolarmente firmato – sono seriamente diminuite. La sua era una richiesta legittima. Ed è stato un primo segnale cui avremmo dovuto dare attenzione.
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