Nicola Conversa da bambino aveva un sogno: diventare il “tizio” che crea i film. È stata colpa del padre. O meglio, di quel giorno che non trovando posto in sala per vedere Mulan, gli ha fatto scoprire il cinema con Al di là dei sogni. Così per il regista e sceneggiatore – pugliese classe ’89 – al suo esordio cinematografico con Un oggi alla volta è arrivato il momento di dedicarsi anima e corpo alla sua passione, usandola anche come terapia.
I protagonisti di Un oggi alla volta – in anteprima nella sezione Panorama Italia di Alice nella città 2023 – sono Marco (Tommaso Cassissa) e Aria (Ginevra Francesconi). Imbranato e mediocre a scuola lui, sveglia e matura lei, nonostante la paura di aprirsi all’altro, per i giovani comincerà una tenera seppur a volte travagliata storia d’amore. Ma dietro l’angolo, ad aspettarli, c’è l’incertezza del futuro, che a volte può assumere anche la forma di una malattia.
Un oggi alla volta si apre con la scritta “Una storia vera, forse”. Perché forse?
Ho voluto fare il paraculo. Mi sono sempre piaciuti i film tratti dal vero. Posso dire che di reale c’è la storia di un mio amico che ha conosciuto una ragazza in discoteca e che, dopo essersi segnato il numero di telefono, si è accorto che era sbagliato. Così ha iniziato a scrivere alla persona sbagliata, con cui ora sta insieme tra tredici anni.
Una storia di incontri pre-social. Per questo il suo protagonista Marco tende a rifiutarli?
Sì, è il suo migliore amico a utilizzarli di più. Il cellulare viene usato poco nel film, ci sono giusto le chat di Whatsapp, ma l’intento era mettere in piedi un amore analogico, con i ragazzi che sanno viversi dal vivo più di quanto fanno sui social. Io stesso preferisco chattare poco e vedersi di più. Anche se sono consapevole che è più facile dirsi le cose per messaggio invece che guardarsi negli occhi.
Anche lei è un romantico come Marco?
Ho scritto il film insieme a Giulia Uda, che è un po’ più piccola di me. La vedevo quanto era stranita quando le raccontavo la mia visione dell’amore. Io lo vivo ancora come se avessi sedici anni. Per me resta un sentimento edulcorato, non mi sono mai disilluso, nonostante lo abbia vissuto a pieno tutte le volte, dicendo tanti ti amo e ricordandoli tutti come bellissimi e importanti. Quindi Marco sì, è me, anche se lui è più imbranato.
Come ha vissuto l’amore quando era adolescente?
Ho perso la verginità a diciannove anni, in ritardo rispetto ai miei amici. Avevo un’acne fortissima, ero goffo e timido e non ci sapevo minimamente fare. Anzi, colgo l’occasione per scusarmi con tutte quelle ragazze con cui mi sono sforzato di provarci e ho fallito miseramente.
Ha sofferto tanto quanto ha amato?
L’età dei personaggi non è stata scelta a caso. Hanno diciassette anni perché ho letto da qualche parte che fino ai 26 anni rompersi un osso procura un’altissima scarica di endorfina. Mi sono quindi detto che anche il dolore che si prova quando si ha il cuore spezzato equivale ad un braccio rotto a quell’età. Tutti soffriamo per amore.
E nonostante questo vale la pena continuare a tentare ogni giorno?
Sì, è esattamente ciò che invita a fare il titolo del film. Pensiamo sempre a cosa accadrà domani, provando un’infinita paura del futuro che spesso non ci permette di apprezzare il presente. Ho cercato di spiegarlo al meglio con la sotto trama dedicata al fratello di Marco, interpretato da Francesco Centorame. Un giovane trentenne che vede tutti gli altri laurearsi, sposarsi, percorrere i propri obiettivi, quando lui deve ancora capire quali sono i suoi. A ognuno dovrebbe essere concesso di prendersi il proprio tempo per capire chi è. Solo così è possibile non sprecare il presente.
Lei non lo spreca?
Io vivo nell’ansia più totale. Sono davvero la persona sbagliata per mandare questo messaggio, ma la verità è che ci credo moltissimo. Per questo girare Un oggi alla volta è stato come fare terapia. Sto lavorando sulla paura del cosa verrà dopo. Forse con il covid abbiamo tutti sentito la necessità di tenere salde le redini, diventando dei maniaci del controllo.
Marco dice: “Io non piango”. Nemmeno lei?
Faccio molta fatica. Mi commuovo tanto, ma piango poco.
Come si inserisce il superamento di un trauma in un film come Un oggi alla volta?
Volevo dimostrare che un trauma non rimane necessariamente tale. Nel film si affronta una malattia che non viene mai nominata, se non una volta, per mostrare che si possono trovare vari modi di affrontare un dolore, prendendo quel male e trasformandolo in motore per crescere e diventare persone più forti e consapevoli.
Anche il cinema può aiutare?
Quando può parlare di temi profondi, ma farli passare con gran leggerezza sì. Per questo sono da sempre un fan dei film di Leonardo Pieraccioni.
E fare un primo film? È più come innamorarsi o superare un trauma?
È come avere un figlio. Le tempistiche sono più o meno le stesse. Prima viene l’idea, poi sbatti la testa perché non ci sono le condizioni per portarla a termine, poi finalmente viene alla luce e tu fai di tutto per difenderlo. Diventare regista è il sogno che avevo fin da bambino. Da quando con mio padre non trovammo posto al cinema per Mulan, allora andammo a vedere Al di là dei sogni con Robin Williams. Non so cosa avessi mangiato a pranzo quel giorno, ricordo soltanto di aver pensato: come si fa quella roba? L’ho chiesto a mio padre e mi ha spiegato che dietro a un film c’è un tizio che crea la storia e le atmosfere. Ho deciso che anche io volevo diventare quel tizio.
Che regista si è scoperto?
Uno di quelli che non riusciva a dare l’ultimo ciak perché non voleva che finisse il set.
Per affetto alla troupe e al cast?
A loro e ai personaggi. Tanto che ho già in mente un altro progetto che potrebbe farmeli rincontrare. Non si tratterebbe di un vero e proprio sequel, più un esplorare i vari universi dei protagonisti. Per ora, però, mi concentro su Un oggi alla volta. E pensare che ero sempre stato uno che odiava i sequel.
Ha inserito nel film alcuni riferimenti cinematografici? A un certo punto un’infermiera nomina La La Land.
È tra i miei film preferiti in assoluto. Uno dei più belli che abbia mai visto dopo Il postino. Con il finale più commovente del mondo. Ho cercato di omaggiarlo con gli sguardi dei protagonisti.
Per questo nel film dicono la frase: “Come una commedia romantica, però brutta perché è italiana”?
Lo ammetto, ho volontariamente inserito quella frase perché potesse suonare accattivante per il pubblico. Magari per essere messa nel trailer. Ma non credo assolutamente che le commedie romantiche italiane siano brutte. Mi è piaciuto Sul più bello e forse Notte prima degli esami è un altro dei motivi per cui ho cominciato questo mestiere.
Tra l’altro la protagonista di Sul più bello è Ludovica Francesconi, invece di Un oggi alla volta la sorella Ginevra. Come è avvenuta la scelta del cast?
Stravedo per Tommaso Cassissa. Lo seguivo da diverso tempo su YouTube, ha ottimi tempi comici, è imbranato al punto giusto, Marco è sempre stato scritto per lui (Conversa e Cassissa hanno collaborato per La bambola di pezza e Pooh – Un attimo ancora, ndr.). La protagonista, invece, doveva avere gli occhi scuri. Doveva essere alta, capelli diversi. Poi ho incontrato Ginevra. Aveva capito il film. Per il provino di Aria aveva solo lo stralcio di una scena eppure ha colto da subito la sua voce, il suo tono. Ho detto alla sceneggiatrice: cambiamo gli occhi di Aria. Sono diventati verdi, come quelli di Ginevra. E come la fotografia del film, che inizia a tendere sul verde quando la ragazza entra in scena.
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