Giovanni Caccamo: “Parola ai giovani e un’idea di futuro. Tra Andrea Camilleri e Papa Francesco”

"Sono partito con un grande ottimismo di trovare ragazzi aggrappati ai loro sogni. Invece sono stati schiaffeggiati da una realtà molto complessa, delicata e in grave crisi", racconta a THR Roma il cantautore protagonista alle Giornate degli Autori con il documentario diretto da Angelo Bozzolini

“Ci tengo che nell’articolo si dica che tutto il ricavato di questo progetto sarà devoluto alla Fondazione Andrea Bocelli per creare un fondo per borse di studio per giovani sognatori che non hanno possibilità di studiare”. A parlare è Giovanni Caccamo, cantautore e compositore che insieme al regista Angelo Bozzolini ha deciso di realizzare un documentario presentato come proiezione speciale alle Giornate degli Autori, Parola ai giovani, nato come risposta all’appello di Andrea Camilleri ai giovani per far partire un nuovo umanesimo della parola.

“Ho deciso di raccogliere questo appello e creare un disco, Parola, in cui ogni canzone fosse ispirata a un testo di letteratura italiana, straniera o contemporanea, e coinvolgendo alcuni compagni di viaggio per creare un ponte generazionale tra ieri e oggi.

Ne hanno preso parte, tra i tanti, Patti Smith, Liliana Segre, Michele Placido, Willem Dafoe. Con Smith e sua figlia Jesse abbiamo realizzato un live al MaXXi per lanciare il progetto” ricorda Caccamo. “Ma cresceva in me la consapevolezza che non fosse sufficiente la mia risposta all’appello di Camilleri. Serviva la risposta di migliaia di giovani”

E a quel punto cosa ha fatto?

Ho lanciato un concorso di idee chiamato Parola ai giovani, rivolto a tutti i ragazzi italiani con meno di 35 anni e ho chiesto loro cosa avrebbero cambiato della società in cui vivono e in che modo. Ho fatto una serie di tavole rotonde nelle carceri, nelle università, nei centri di accoglienza per ascoltare le idee dei giovani sul cambiamento futuro. Dal concorso sono arrivati migliaia di testi. Abbiamo selezionato i 60 testi più preziosi e luminosi che sono stati inseriti all’interno di un volume chiamato Manifesto del cambiamento.

Un momento di Parola ai giovani nella Stanza della Segnatura

Un momento di Parola ai giovani nella Stanza della Segnatura

Di tutti questi incontri ce n’è uno che l’ha colpita particolarmente?

In realtà no. Ce ne sono tanti, molto diversi tra loro e ognuno ha un grande valore. La cosa preziosa secondo me è proprio il fatto che ognuno abbia deciso di condividere le proprie fragilità e i propri fallimenti come base per edificare in modo costruttivo un futuro in evoluzione. La cosa innovativa è che si trova l’analisi sul valore della semplicità di Matteo Trapasso, un giovanissimo panettiere di 23 anni che ha aperto la più piccola panetteria d’Europa, accanto a quella di Paola Egonu sul valore dell’empatia. Campioni altisonanti accanto a campioni di quotidianità.

Da lì, siccome siamo convinti che non esista futuro senza radici e che i giovani per edificarlo debbano relazionarsi con i maestri, abbiamo chiesto a 12 esponenti d’arte contemporanea come Arnaldo Pomodoro, Pistoletto, Mimmo Paladino e Maurizio Cattelan di realizzare delle opere ispirate ai loro testi. Questi incontri sono stati talmente preziosi per me da spingermi a dire che forse tutto questo materiale sarebbe dovuto diventare anche un documentario.

Il titolo di questo documentario, Parola ai giovani, rimanda anche al fatto che spesso le nuove generazioni non vengono ascoltate. È qualcosa che hai vissuto anche li?

Sì, sicuramente. Sono partito dalla Sicilia a 18 anni perché sognavo di fare il cantautore e per 4 anni mi sono recato sotto le sedi delle etichette discografiche di Milano lasciando i miei dischi a persone che potessero supportarmi. Non ha mai portato a nessun risultato. È stato l’incontro con Franco Battiato a cambiarmi la vita. Ma penso che in questo momento ci sia una sorta di incomunicabilità sia tra generazioni diverse che tra i giovani stessi.

Cioè?

I social e tutto il mondo virtuale che ci illude di essere costantemente connessi gli uni agli altri, in realtà ha creato delle isole emotive.

Ha citato Franco Battiato. Crede che lui invece l’avesse già intuito il potenziale nelle nuove generazioni?

Una delle sue doti più grandi è sempre stata la consapevolezza del valore dell’incontro. Non è mai stato un accentratore. In ogni fase della sua carriera, ogni suo disco custodisce delle collaborazioni nuove, degli input e sonorità inedite. Sono frutto di una grande curiosità, di un grande desiderio di conoscenza.

In una sequenza del documentario vi riunite nella stanza della Segnatura di Raffaello ai Musei Vaticani. Perché proprio lì?

È stato straordinario dato che i giovani sentono forte il bisogno di ritrovare delle nuove agorà in cui potessi relazionare e confrontare fisicamente guardandosi negli occhi. Avevo avuto l’idea di creare un momento simbolico, una performance in cui le idee di ciascuno potessero creare un dialogo. E quale luogo migliore se non la stanza della segnatura di Raffaello, sotto il dipinto di La scuola di Atene che di fatto è il simbolo universale del dialogo tra pensieri diversi. Ho provato ad aprire questa porticina. Ci sono voluti otto mesi, però alla fine è stato proprio Papa Francesco a darci l’autorizzazione insieme ai Musei Vaticani. Un’esperienza che ha commosso tutti noi.

Tra l’altro la prefazione di Manifesto del cambiamento è a firma di Papa Francesco. Com’è stato possibile?

È arrivata proprio perché l’idea di questa performance, particolarmente azzardata, all’interno dei Musei Vaticani, necessitava della sua autorizzazione personale. Una cosa mai fatta prima e probabilmente difficilmente replicabile. Mi hanno chiesto di scrivergli una lettera che il gesuita Antonio Spadaro ha fatto reperire al pontefice. Entusiasta del progetto, oltre a darci l’autorizzazione, ha scritto la prefazione del volume.

Una scena del documentario

Una scena del documentario

Da una parte abbiamo la generazione dei Fridays for Future, dall’altra però la cronaca di parla di casi di violenza atroci con protagonisti adolescenti. Sembra esserci una sorta di bipolarismo insito in questa realtà.

Sono partito con un grande ottimismo di trovare giovani aggrappati ai loro sogni, determinati, con delle visioni precise. Invece sono stati schiaffeggiati da una realtà molto complessa, delicata e in grave crisi. Abbiamo parcheggiato le ultimissime generazioni davanti ai telefoni. E questo porta a uno sviluppo della violenza e a uno sviluppo di linguaggi che non sono quelli naturali. Cioè alla mancanza di affetto, di regole, di confini che sostanzialmente puoi trasmettere ai bambini solo attraverso il tempo trascorso con loro.

Aver accorciato troppo la distanza tra desiderio e realtà e aver creato delle generazioni che qualsiasi cosa hanno desiderato l’hanno ottenuta nel giro di poco e con grande facilità, ha creato nei giovani l’illusione che qualsiasi sogno debba trasformarsi in concretezza nel giro di poco. Nel momento in cui ci si accorge che la società non funziona così, ma ci sono regole, confini, sacrificio, ogni ostacolo diventa un problema insormontabile.

Come si è orientato in questa confusione?

Il mio obiettivo da quel momento è stato quello di cercare di direzionare il mio sguardo verso quella minoranza di giovani che hanno ancora una visione di futuro, che hanno ancora una luce nel cuore. Di fatto ce l’hanno tutti. Il problema è che c’è chi riesce ancora a vederla e invece chi non la vede più. Da qui nasce l’idea di creare il Manifesto che di fatto è un volume di orientamento emotivo. Chiunque si trova in un momento di impasse può ritrovare la propria strada.

Lei è un cantatore ma anche un compositore. A quale frequenza crede suoni questa generazione?

La frequenza sarà la prossima fase. Cercare cioè di astrarre una frequenza musicale da questo progetto.