Un festival può avere più anime. Può avere una linea precisa da seguire, ma anche tanti universi e realtà diverse in programma; può conservare lo spirito della tradizione, nel cui segno è nato, ma anche parlare a un pubblico nuovo e moderno. Il tutto senza snaturarsi, anzi aprendosi con coraggio agli input che arrivano dal mondo. Ne è ben cosciente Pedro Armocida, direttore della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, sotto la cui guida il festival è progressivamente cambiato, nel tentativo di conciliare l’alto col popolare. Una visione riconfermata anche nella 59esima edizione, in calendario dal 17 al 24 giugno.
Nel corso degli ultimi anni la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro si è aperta sempre di più al pubblico, conservando tuttavia il proprio approccio critico e intellettuale. Quale pensa sia, oggi, la sua anima?
Un’anima nuova, aperta a proposte più varie ed eterogenee. Quello che ho cercato di fare nel ruolo di direttore della Mostra di Pesaro, e che continuo a fare tutt’ora, è stato non snaturare una tradizione che ha il suo specifico DNA. Non si tratta di cambiarlo, ma di lavorarci sopra, di adattarlo alle esigenze. Se un festival è dedicato al cinema muto, non comincerà improvvisamente a proiettare film sonori. Ma si può provare a rendere più unica quell’anima, trovando la maniera di dialogare con quanti più spettatori possibili. Basti guardare all’esperimento di due anni fa, in cui abbiamo aperto una sezione “kids” per i bambini. Sembrava un’idea assolutamente distante dallo spirito dell’evento, invece, ragionata con criterio, si è rivelata un esperimento vincente.
Un’idea in sintonia con quella di aprire la manifestazione con un film dal richiamo popolare: l’anno scorso con E.T. di Steven Spielberg, prima ancora con The Blues Brothers di John Landis. Per la 59esima edizione avete scelto Flashdance di Adrian Lyne.
Lì il gioco critico è legato all’idea di festeggiare un anniversario. Proporre un titolo che, nell’anno della sua uscita, non sarebbe mai stato proiettato alla Mostra di Pesaro. I motivi spesso erano ideologici, prendiamo proprio Spielberg. Per anni molta critica lo ha considerato l’emblema dell’imperialismo statunitense, mentre il lavoro che stiamo facendo adesso è quello di mostrare come alcuni autori, oggi osannati in quanto tali, lo fossero già all’epoca. Un discorso che abbiamo fatto anche con Rocky, un vero e proprio caso della storia del cinema. Flashdance, come spiega bene Giona Nazzaro nel catalogo del festival, ha segnato l’immaginario mondiale, ma venne stroncato malamente dalla critica, soprattutto italiana. L’obiettivo di queste proiezioni, e nello specifico con Flashdance, è di rimettere in prospettiva le pellicole che hanno segnato la cultura cinematografica. Considerare superficiale il cinema anni Ottanta di Adrian Lyne è un’idea ormai superata.
Non è un’operazione in contrasto con la selezione del concorso, di taglio più sperimentale?
No, non c’è contrapposizione. L’anno scorso ci fu un caso curioso, venne proposta un’opera che rielaborava le immagini del film Twister all’interno di un’arena americana. Non si può essere pregiudiziali. Non si vuole creare un conflitto, ma mantenere una direzione sperimentale molto forte, che sappia essere aperta a tutte le proposte.
Quest’anno è arrivato qualcosa di altrettanto interessante? Cosa bisogna aspettarsi dalle opere selezionate?
Sono arrivate molte proposte, ma il numero non è enorme e c’è un motivo preciso. Abbiamo scelto di non far parte del circuito di festival che utilizza le piattaforme online per inviare i propri lavori. Quei portali in cui basta un click per inviare la propria opera a trenta eventi contemporaneamente. Vogliamo che chi partecipa alla Mostra Internazionale del Cinema di Pesaro lo faccia in maniera consapevole: aprire il format, compilarlo, inviarlo. Vogliamo che ci sia un interesse preciso nella proposta.
Il festival prosegue anche con le retrospettive dedicate agli autori del cinema italiano. L’anno scorso Mario Martone, quest’anno Giuseppe Tornatore. Questo genere di operazioni, solitamente, si concentra sui maestri del passato. Voi invece cercate di coinvolgere quelli del presente.
È esattamente il nostro intento. Nel 1987, all’interno dell’evento, venne inaugurata la sezione “Evento speciale sul cinema italiano”. Come molte iniziative, nel corso del tempo, possono perdere forza o venir lasciate indietro. Da alcuni anni, da quando sono alla direzione del festival, abbiamo deciso di riprendere l’iniziativa, ma variandone alcuni aspetti. Non ci siamo dedicati soltanto ai registi, ma anche agli attori, ai generi, alle narrazioni, per un contenitore che fosse trasversale. Adesso abbiamo ripreso con le monografie sui singoli autori. Tutto è iniziato con Giuliano Montaldo, su cui mi sembrava assurdo non esistesse un lavoro adeguato. Abbiamo poi notato che la Mostra non si era mai dedicata a nessuna donna, ecco quindi Liliana Cavani, che sono contento riceverà a Venezia il Leone d’oro alla carriera. Quello che stiamo tracciando adesso, invece, non è più la linea della retrospettiva, ma della prospettiva. Quando abbiamo avuto Mario Martone non aveva solo uno, ma ben due film in uscita. Giuseppe Tornatore, ospite di quest’anno, ne ha uno in lavorazione. E, anche in questo caso, lo scopo è accompagnare questi autori con un’attenta analisi critica.
E Carlo Verdone?
È da parecchio che cercavo di coinvolgerlo proprio per questo motivo. L’impegno degli ultimi anni è quello di far venire chi non è mai stato alla Mostra di Pesaro, o chi è passato solo una volta molti anni fa. Verdone presenterà al pubblico Borotalco per i quarant’anni dalla sua uscita. La verità è che avremmo voluto proiettare Gallo Cedrone, ma abbiamo avuto un problema di copie. Avremmo desiderato proseguire il discorso sulla mala educación del maschio all’italiana, portato avanti insieme a Piera Detassis, che avremo comunque la possibilità di analizzare con la proiezione di Dramma della gelosia (tutti i particolari in cronaca) di Ettore Scola.
Pesaro ospita anche premi Oscar come Dante Ferretti, che presenterà la sua biografia Immaginare prima. Le mie due nascite, il cinema, gli Oscar.
In più ha compiuto ottant’anni ed è marchigiano. Caratteristiche a tutto tondo per partecipare. E per l’occasione introdurrà Hugo Cabret, l’ultimo film con cui ha vinto l’Oscar nel 2012.
C’è anche una sua passione all’interno delle giornate di festival: lo spazio dedicato alla proiezione dei videoclip. Come è nata e cosa rappresenta questa sezione?
La musica è uno dei miei amori personali. Trovo sia bello veder proiettato un lavoro come il videoclip che, altrimenti, non avrebbe mai la possibilità di poter essere trasmesso sullo schermo di un cinema. In più è una cosa che si può fare oggi perché le generazioni nuove hanno un concetto più ampio di ciò che può essere o non essere proiettato, e vederlo in un formato extra large può aiutare a cogliere dettagli inaspettati o a capire se alcuni lavori sono degni o meno di reggere il confronto col grande schermo. E poi quando può ricapitare di avere il realizzatore di un videoclip che lo spiega e proietta in Super8?
Il che significa rendere una semplice proiezione un vero e proprio evento. Quello di cui Giorgio Gosetti, presidente dell’Associazione Festival Italiani di Cinema, ha parlato su The Hollywood Reporter Roma. È d’accordo sul fatto che queste manifestazioni siano l’ultimo baluardo per riuscire a portare il pubblico “in sala”?
Sono cose diverse. Non credo esista un problema a livello globale di diminuzione di pubblico, ma si tratta di una difficoltà tutta italiana di cui riusciremo a capire la portata con le valutazioni di CinExpert. Uno studio la cui base statistica cerca di capire come fare per riportare il pubblico nelle sale e che analizza le conseguenze del calo degli spettatori, non le motivazioni. Ma il discorso sui festival è un’altra cosa. È ovvio che si tratti di un momento di intrattenimento, tant’è che la parte online dei festival, cresciuta durante il periodo del Covid, si è molto ridimensionata. I festival possono essere un volano che può aiutare a riabituare gli spettatori, ma è ovvio che il pubblico dei festival e delle arene, soprattutto estivi, sia differente. L’intervento di Goretti, comunque, ci dice che si sta portando avanti un lavoro importante, che bisogna saper osservare bene e studiare.
Se dovessero chiederle di spiegare a un pubblico straniero cos’è la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, come la descriverebbe?
Ci sono tantissime filmografie sperimentali, pensiamo alla tradizione americana, ma da noi è qualcosa di profondamente sentito. È un festival che ha la parola “nuovo” nel titolo e vuole portare queste innovazioni nei formati cinematografici legandole sempre di più all’esperienza del riprendere e proiettare in pellicola. Molti autori presenti lavorano con i 16 o i 35 mm. È questo: Pesaro è un festival di e sulla sperimentazione.
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