Poor Things di Yorgos Lanthimos è una vera sorpresa, specie per chi non ha mai particolarmente amato il regista greco. Ma, sugli stessi temi, poche ore prima al Lido è passato un altro piccolo film sorprendente. Ed era curioso vedere i due lavori uno in fila all’altro. Quello di Lanthimos è uno dei film femministi più originali degli ultimi anni. Astutamente stimolato da un graphic novel, è la storia di una donna cui hanno trapiantato il cervello di un neonato (anzi, del feto che lei stessa portava in grembo).
Agli italiani di una certa età fa quasi l’effetto di un remake steampunk di un vecchio film di Lattuada, Le farò da padre, con Gigi Proietti che sposava una donna con un ritardo mentale. Ma qui il tema è l’avventura della protagonista, forse il primo personaggio, in tutta la filmografia di un regista gelidamente nichilista, a comunicare vitalità e fascino. La donna interpretata da Emma Stone trova la sua strada in mezzo a uomini variamente infidi o manchevoli anche grazie a una vorace scoperta della sessualità, e il film è felicemente alla larga dai rischi del didascalismo predicatorio, del vittimismo e del puritanesimo.
In Sala Perla, nel frattempo, la Settimana della critica apriva con il cortometraggio di Angela Norelli We All Should be Futurists. Che, pur nei suoi 11 minuti e con un budget irrisorio (è un saggio del Centro Sperimentale di Cinematografia, la cui ex direttrice Marta Donzelli è stata pubblicamente ringraziata dalla regista), ha un atteggiamento di fondo non troppo lontano da Poor Things.
Mentre sullo schermo scorrono frammenti di una trentina di film muti rimontati (da Lubitsch a DeMille ad Alice Guy, dai film sovietici a quelli italiani), la voce fuori campo legge lettere immaginarie di una donna dei primi del ‘900 che, mandata dal marito a curarsi in quanto “isterica”, scopre il piacere sessuale attraverso l’uso di uno strumento medico di nuova invenzione, il vibratore.
Le immagini di innocui film d’epoca compongono così, attraverso il montaggio, il racconto fulmineo e leggero di una liberazione individuale. Fino al momento clou in cui brani di Marinetti sembrano davvero commentare, coi loro Zang Tumb Tumb e la loro apologia del metallo che sostituisce la carne, la felice scoperta della protagonista, in un esilarante ribaltamento della loro retorica bellicista e machista.
Gioioso e refrattario a ogni pesantezza ideologica, il corto della ventisettenne Norelli (il cui lavoro precedente, Ai bambini piace nascondersi, era stato selezionato al Torino Film Festival l’anno scorso) è un esercizio colto e fine, tutto del nostro tempo ma con una padronanza disinvolta della storia del cinema.
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