“Il cinema è un buon mezzo per fa conoscere questo tipo di storie. Anche perché non possiamo parlarne apertamente nel nostro paese. Mentre stavo girando Snow in Midsummer, molte persone mi chiedevano: ‘Sei sicuro di voler fare questo film? Perché potrebbe non essere proiettato in Malesia’. Lo racconta a THR Roma Chong Keat Aun, regista della pellicola presentata in concorso alle Giornate degli Autori.
Un film che rievoca i tragici eventi del 13 maggio del 1969 quando, a seguito di tensioni post-elettorali, a Kuala Lumpur è scoppiata una rivolta, subito repressa nel sangue. Nella concitazione dell’evento Ah Eng e sua madre – riuscite a salvarsi grazie all’aiuto di una compagnia di teatro d’opera – perdono i contatti con il fratello e il padre. Per 49 anni Ah Eng resta intrappolata in quel tragico giorno, fino a quando nel 2018 non fa ritorno a Kuala Lumpur. Dove, inaspettatamente, incontra «Dou E» nel cimitero delle vittime del 13 Maggio, il cimitero 513. Una storia a lungo nell’oblio, tramandata solo oralmente. Fino ad oggi.
Racconta questa storia da due diverse prospettive. Una nel 1969 e una nel 2008. Perché l’ha affidata allo sguardo di due donne?
In Malesia, e più in generale nel sud-est asiatico, le donne sono come il centro di conservazione della memoria della famiglia. Mentre conducevo le mie ricerche sulla tragedia del 13 maggio e mi recavo al cimitero, vedevo sempre molte donne. Gli uomini non c’erano mai. In Malesia è come se gli uomini fossero più razionali. Non permettono ai membri della famiglia di parlare di quello che è successo, perché per loro è una questione delicata. Ma nella maggior parte dei casi, quando si tratta dei propri cari, le donne continuano a cercarli.
Come reagiscono gli uomini?
Non sono interessati. Dicono solo di lasciar perdere, di dimenticare. Ma le donne continuano a porsi domande su questa storia oscura, che rimane ancora oggi un grande punto interrogativo. Ancora non sappiamo quante siano le vittime scomparse quella notte. Il rapporto nazionale parla di un numero superiore ai 100. Ma sappiamo che sono di più. Forse migliaia di persone uccise. Questa storia è rimasta nel silenzio per 64 anni, tramandata solo oralmente.
Perché è accaduto?
È una domanda molto complicata, perché la Malesia è diventata indipendente nel 1957. Siamo un paese multirazziale. Ci sono cinesi, indiani e popoli aborigeni. Ma sono una minoranza rispetto ai malesi e ai musulmani. La tragedia del 13 maggio 1969 è avvenuta durante le terze elezioni generali nazionali, quelle in cui il partito principale ha perso per la prima volta molti voti. Quando è scoppiato il tumulto, tracimato presto in una questione razziale, per il partito è stato meglio così. Hanno cavalcato il terrore che si diffondeva tra la gente. E ci sono riusciti.
È così ancora oggi?
Se si vuole un altro 13 maggio, basta votare per il partito di opposizione. Le persone anziane sono terrorizzate, perché hanno vissuto i fatti del 1969 e ancora oggi, quando si parla di quell’evento, restano in silenzio e chiedono di tacere. Stessa cosa per il film. Ho scelto un modo molto poetico per raccontare la storia, altrimenti mi sarebbe stato impossibile girarla.
È tornato in quel cimitero molte volte nel corso degli anni per parlare con i familiari delle vittime. C’è un aspetto che l’ha colpita in modo particolare?
Le donne, appunto. Ne ho viste molte. Tornano anno dopo anno, soffrono. Una di loro quella notte ha perso il fratello più giovane, la madre e una zia. Ognuna di loro continua a chiedersi perché non sia stata ancora rivelata la verità su questa storia. Oltre ad essere un regista sono anche un radiocronista nazionale. Quando le intervistavo nel mio programma lo facevo in modo delicato, cercando di non rivelarne l’identità.
Nel film l’opera cinese Neve a Giugno ha un ruolo molto importante. Come mai?
Quella notte di maggio una cantante d’opera è morta ed è stata sepolta in quel luogo. Mentre facevo le mie ricerche ho rintracciato un componente di quel gruppo, che mi ha detto che quella notte stavano rappresentando Neve a Giugno, una storia molto antica, risalente alla dinastia Ming. Parla di donne che subiscono abusi e scappano dal paese. Fanno un giuramento: se davvero sono innocenti, allora la neve cadrà anche se è estate. Ho cercato di intrecciare la storia del film con quella dell’opera.
Nel film utilizza documenti e registrazioni vocali. Come li ha integrati?
La fosse comune è stata trovata nel 2009. Ho fatto ricerche fino al 2018. Un anno importante, coinciso con la prima volta in cui il partito di opposizione ha vinto, rovesciando il governo precedente. Lo stesso cioè che voleva distruggere quel cimitero, che considerava un’insopportabile prova di ciò che era accaduto. Sempre nel 2018 ho realizzato il primo corto su questa storia, che nel 2020 è diventato un lungometraggio. Molti elementi, come l’annuncio della legge marziale, sono reali. Li abbiamo ottenuti dalle famiglie: molti di loro avevano raccolto prove e registrazioni di quei giorni, consapevoli che nessuno li avrebbe aiutati. Mi hanno dato quel materiale chiedendomi di spiegare cosa fosse successo al posto loro, perché stavano invecchiando. E avevano paura che nessuno, un giorno, ricordasse più questa storia.
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