Rivivere, nella veglia, i propri sogni. Osservare lucidamente le fantasie oniriche, addentrarsi in un incubo ricorrente, viaggiare, da svegli, nel mistero della mente addormentata. Succedeva nel 1991 in uno dei più noti film di Wim Wenders, Fino alla fine del mondo. Accade oggi, per davvero, alla Mostra del Cinema di Venezia. Tra i 28 titoli in concorso nella sezione Venice Immersive – quella dedicata alla “realtà estesa”, virtuale, aumentata, a 360 gradi – c’è un progetto, Tulpamancer di Marc Da Costa e Matthew Niederhauser, che trasforma in realtà, grazie all’intelligenza artificiale, proprio quell’ineffabile, umanissima utopia: vivere il sogno da svegli.
Prodotto da ONX Studio, società con sede nella Onassis Gallery a Manhattan, Tulpamancer – ogni riferimento al Neuromancer di William Gibson, classico della letteratura cyberpunk del 1984, non è casuale – è un’esperienza interattiva che si compone di due fasi. “Nella prima lo spettatore risponde, davanti a un computer, a un’intervista formulata da una IA – spiega a THR Roma Michel Reilhac, selezionatore insieme a Liz Rosenthal della sezione immersiva di Venezia – le domande possono riguardare ciò che si è sognato la notte, i dettagli di quell’esperienza, i colori, le immagini. Ma anche, volendo, un ricordo d’infanzia, una memoria”. Fin qui, niente di diverso da una “chiacchierata” un po’ più intima del solito con ChatGPT. Ma è la seconda parte del progetto la più stupefacente: “A questo punto, in tempo reale, la IA elabora le informazioni ricevute in algoritmi che trasformano le parole in immagini tridimensionali. Intorno allo spettatore (dotato di un visore VR, ndr) viene generata un’intera esperienza in realtà virtuale che riproduce il suo sogno o il suo ricordo, così come li ha descritti. Sono visioni incredibilmente poetiche, suggestive, personalizzate. Ogni viaggio è diverso dall’altro. Si tratta di qualcosa di mai visto prima”.
Le IA sognano pecore elettriche
Con Tulpamancer l’incontro-scontro tra razionalità della tecnologia e irrazionalità del sogno, ossessione della post-fantascienza (Wenders ma anche Gibson, Bruce Sterling e Philip K. Dick), esce dalle pagine dei libri e dagli schermi dei cinema per irrompere nella realtà (virtuale) dello spettatore.
Con conseguenze, secondo gli esperti, fortunatamente meno estreme di quelle ipotizzate dagli artisti. “Immergere qualcuno in una sua realtà onirica ‘ricreata’ può essere un’esperienza artistica – spiega Vittorio Lingiardi, psichiatra, saggista e autore de L’ombelico del sogno -. Posso immaginare ricadute emotive suggestive, ma non vedo un ritorno di carattere ‘terapeutico’. Non credo che possiamo davvero essere spettatori dei nostri sogni. Possiamo raccontarli, ricostruirli, rappresentarli più o meno artisticamente, ma riviverli con la fedeltà e la particolarità dell’esperienza onirica direi che è impossibile. Il sogno è imprevedibile e irriproducibile. Enigmatico e soggettivo per definizione, sfida l’algoritmo”.
La natura stessa del sogno lo renderebbe inafferrabile, con o senza l’aiuto di una IA: “Con la parola ‘sogno’ intendiamo almeno tre cose: innanzitutto un ricordo che si presenta al risveglio, con le sue lacune e distorsioni; poi un’esperienza interiore che non possiamo condividere, un fenomeno che osserviamo soltanto durante la sua assenza, come dice Paul Valéry; infine un evento neurale che possiamo ‘localizzare’ e ‘misurare’. La complessità del sogno è nella contemporanea presenza di queste diverse dimensioni: memoria, soggettività, neuroni. I sogni rappresentano un enigma sospeso tra mente e cervello che fin dall’antichità gli umani hanno sempre cercato di interpretare e spiegare, senza mai riuscirvi”.
La capsula sonora del sogno
Un enigma su cui l’arte non smette di interrogarsi, utilizzando piattaforme e tecnologie diverse. E così, dopo la realtà virtuale di Tulpamancer attesa alla prossima Mostra di Venezia, sarà la volta dell’installazione interattivo-sonora di Dreamscape, l’opera dell’artista Eva Frapiccini presentata in Svizzera, dal 16 settembre, alla Biennale Son, la biennale internazionale del suono: un progetto sviluppato dal 2011 a partire dalle registrazioni di memorie oniriche di migliaia di persone in tutto il mondo, invitate a entrare in una capsula itinerante e lasciare il ricordo di un sogno da conservare per dieci anni.
“È naturale che l’arte si interroghi sul sogno, perché il sogno è un mistero e come tale porta con sé la sfida a risolverlo, rivelarlo – spiega Lingiardi – l’idea di poterli ‘catturare’ è antica quanto l’uomo. Il mistero e l’implicita sfida posta dai sogni hanno spinto molti artisti, ma anche alcuni scienziati, a creare ‘macchine oniriche’ capaci di penetrare nel mondo dei sogni per rivelarli e persino condizionarli. Penso a Wenders in Fino alla fine del mondo o al film d’animazione Paprika di Satoshi Kon. E naturalmente a Inception. Nel 2013 un’equipe giapponese guidata da Yukiyasu Kamitani ha pubblicato su Science un esperimento, basato su un complesso sistema di machine learning e neuroimaging, di ‘visualizzazione’ di sogni fatti da soggetti risvegliati e invitati a raccontare ciò che stavano sognando mentre dormivano sottoposti a una risonanza magnetica funzionale. Giulio Tononi, autorità mondiale in tema di cervelli notturni, ha analizzato, con Yuval Nir, le esperienze oniriche a partire dall’attivazione delle aree cerebrali implicate nella rappresentazione di categorie specifiche, per esempio, volti, luoghi o movimenti, ottenendo risultati paragonabili a quelli di Kamitani”.
La sostanza di cui sono fatti i sogni
Un conto, però, è saper “registrare” i sogni. Un altro è riuscire a riviverli. “Nonostante questi interessanti avanzamenti nel campo della registrazione delle forme e dei materiali grezzi del sogno, direi che una cosa è “captare” immagini oniriche, tutt’altra è coglierle nel loro movimento narrativo e personale. Cogliere cioè l’elemento psichico del sogno, fatto di ricordi personali e costruzioni visive uniche e irriproducibili. Il sogno, la sua struttura narrativa, le sue emozioni, è fortemente legato alla nostra personalissima organizzazione della personalità”. La sua potenza, del resto, è proprio “nella sua fragilità, nella tendenza a scomparire. Il sogno è un oggetto perduto, genera nostalgia. È come il corpo materno: non possiamo tornare ad abitarlo. Il sogno è intimo e straniero al tempo stesso, un altrove sconosciuto e nostro. Cos’altro sono i quaderni pieni di sogni di Schnitzler e Fellini, di Kafka e Bukowski, se non tentativi di trattenere l’altrove onirico prendendo appunti, incantati e turbati dall’immensa forza creativa del sogno? Nessuno conosce la sostanza di cui sono fatti i sogni”. Nemmeno le IA.
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