Pedro Almodóvar, il più venerato regista spagnolo dopo Luis Buñuel, è uno dei protagonisti del Toronto International Film Festival 2023. Dove Strange Way of Life, il suo ultimo cortometraggio western con Ethan Hawke e Pedro Pascal viene presentato per la prima volta in Nord America. In più, il cineasta riceverà il Jeff Skoll Award in Impact Media ai TIFF Tribute Awards.
Almodóvar ha realizzato 21 lungometraggi, tra cui classici come Donne sull’orlo di una crisi di nervi del 1988, candidato all’Oscar per il miglior film in lingua straniera, Tutto su mia madre del 1999, che l’Oscar lo ha vinto, e Parla con lei del 2002, per il quale ha avuto la nomination per la miglior regia e vinto il premio per la miglior sceneggiatura originale, il quinto per una sceneggiatura non in lingua inglese. I suoi ultimi due film, però, sono stati dei cortometraggi: La voce umana, ispirato alla pandemia del 2020, e ora Strange Way of Life, dalla durata di 31 minuti.
Di recente, il settantatreenne – con l’aiuto della sua traduttrice, Carla Marcantonio – ha parlato con THR della sua passione per il TIFF, dei cortometraggi e del perché ha rinunciato a Brokeback Mountain.
Congratulazioni per il premio di Toronto. Può raccontarci qualcosa dei suoi trascorsi al TIFF?
Quello che ricordo è che il pubblico è sempre stato molto, molto generoso con me. Ci hanno persino dato un premio (il People’s Choice Award) per Donne sull’orlo di una crisi di nervi. Inoltre, per qualche motivo, si sente meno pressione a questo festival che a Cannes o a Venezia. E, pensando a quando ci sono stato di recente con Antonio Banderas per Dolor y gloria, ricordo quanto velocemente si possa girare per la città e quanto tutto sia ben organizzato.
Dopo Dolor y gloria del 2019, lei ha realizzato due cortometraggi, La voce umana e Strange Way of Life. Perché ha scelto il formato più breve?
Ho scritto queste due storie e il formato giusto per loro era il cortometraggio. Non volevo allungarli artificialmente, perché quella era la lunghezza giusta. Mentre li giravo ho avuto una sorta di illusione, la sensazione di essere un regista esordiente. Mi appassiona ogni singolo film che faccio, altrimenti non lo farei, ma c’era qualcosa di nuovo ed eccitante per me nel girare in questo formato. Il che mi ha anche permesso di avere molto spazio per la sperimentazione, ed è stato entusiasmante. Penso anche ai cortometraggi come a un esercizio: attraverso questi due film mi sono esercitato a girare in inglese, cosa che sento di essere pronto a fare anche in futuro.
Cosa l’ha ispirata a raccontare la storia di un amore queer nel genere western con Strange Way of Life?
Beh, sono un grande fan del genere, ma penso che questo sia un territorio che generalmente non viene esplorato da Hollywood. Curiosamente, è un genere pieno di personaggi maschili. C’è un film di Edward Dmytryk, Ultima notte a Warlock, in cui i protagonisti sono Henry Fonda e Anthony Quinn, e sono una specie di coppia. La loro relazione è molto queer – non è mai esplicitata, ma il film non ha senso se non si capisce che questi due uomini hanno una relazione strettissima. In un genere che ci ha regalato così tanti classici, credo che ci siano ancora molti western queer che potrebbero essere realizzati.
So che circa vent’anni fa è stato contattato per dirigere I segreti di Brokeback Mountain. Perché ha deciso di non farlo?
È stata la prima volta che ho pensato di fare un film in inglese, perché amavo quella storia – conoscevo il libro di Annie Proulx e lo adoravo, e anche la sceneggiatura di Larry McMurtry era molto buona. Ma il fatto è che ero insicuro del mio inglese. Inoltre, nella storia di Annie Proulx, una delle cose che per me spiccava davvero era la fisicità degli incontri erotici, di natura quasi animalesca. Questo tipo di fisicità del desiderio, però, non l’ho visto trasposto nella sceneggiatura. Penso che Ang Lee abbia fatto un film meraviglioso – ho amato I segreti di Brokeback Mountain – e credo che l’abbia realizzato al meglio delle sue capacità, ma ho avuto la sensazione che non sarei stato completamente libero di fare ciò che volevo. Heath Ledger e Jake Gyllenhaal sono superbi nel film. È meglio che l’abbia fatto Ang Lee e non io.
Al giorno d’oggi, molte persone pensano che solo gli attori gay dovrebbero interpretare i gay, solo i disabili dovrebbero interpretare i disabili, solo gli ebrei dovrebbero interpretare gli ebrei, ecc. Cosa ne pensa di questa tendenza?
L’essenza della recitazione è fingere. Essere qualcuno di diverso da quello che si è, anche nell’essenza stessa. Questo è il cuore della recitazione. Quindi, per esempio, un attore eterosessuale può assolutamente interpretare un personaggio omosessuale e viceversa. Se Hollywood è così ossessionata, come lo è ora, dalla rappresentazione delle minoranze, siano esse latine, asiatiche o disabili, dovrebbe assumerle per la scrittura.
Per non essere frainteso, voglio che sia chiaro che sono molto favorevole al fatto che le minoranze di tutti i tipi vengano prese in considerazione per il casting dei film, ma anche per essere assunte dietro la macchina da presa e che siano in grado di raccontare le proprie storie. Anche quando si parla di western, non ci sono molti film raccontati dal punto di vista dei nativi americani. Anche se questo è un genere che parla di loro, spesso lo fa in modo spiacevole e ingiusto.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma