Una serata di musica e cinema nel nome di Expo2030 ieri a Parigi sulle rive della Senna, una festa in supporto alla candidatura di Roma all’Esposizione Universale del 2030, organizzata dal Festival Dolce-Vita-sur-Seine con il sostegno della Rappresentanza Unesco a Parigi e della Fondazione Expo 2030 della Capitale, matrimonio a distanza tra Paris e la Caput con Claudia Cardinale come madrina simbolica e di eccezione. Un gemellaggio tra due città simboliche e bellissime grazie a Tosca, formidabile interprete che unisce coordinate geografiche e sentimentali. Ha una voce da cinema Tosca, perché ama il cinema. Una voce che interpreta, suona, disegna immagini, storie. Una voce ritmica, che accelera, rallenta, segna, disegna, sottolinea, gioca. Tiziana Tosca Donati è una benedizione della musica. Dal 1992 ci porta in giro per il pianeta con quel suo stile, a metà tra la riscoperta dei suoni del mondo e la classe della canzone d’arte. Donna di teatro e di note, di viaggi e di miraggi.
Tosca, che valore ha avuto per lei questo evento?
Moltissimo. Tanto che ho portato in scena Romana, uno spettacolo che ha 18 anni e prova a tenere insieme i molti punti di riferimento della romanità intesa come stato dell’anima. Non solo canzoni ma anche inserti recitati presi in prestito da Fellini, dal duetto Totò-Magnani di Geppina Geppy, gli stornelli “a dispetto” di Nannarella da Mamma Roma e poi canzoni simboliche: canzoni da Cosa sono le nuvole di Pier Paolo Pasolini e Domenico Modugno, Serenata de paradiso di Romolo Balzani, Canzone arrabbiata di Nino Rota, ’Na serenata a pontedi Nicola Piovani, e molti dei brani del mio idolo assoluto: Gabriella Ferri. Se Magnani era il volto di Roma, Ferri era la voce. Ricordo ancora, come fosse ieri, una sera di dicembre quando mio padre mi portò, come faceva sempre, a teatro con lui. In una piccola sala del centro la vidi esibirsi per la prima volta. Era un’artista unica, che sapeva diventare bella, brutta, clown e sciantosa nello stesso tempo. Faceva ridere, piangere, sussurrava e graffiava.
Lei esordisce proprio al cinema con Nanni Loy.
Vero. Era il 1989. Mi trovavo a Napoli per caso e Loy stava cercando un ragazzino che cantasse Carcere ‘e mare, il pezzo portante della colonna sonora del suo film Scugnizzi scritta da Claudio Mattone con cui all’epoca collaboravo. Le prove si svolgevano al Teatro Diana ma tutti gli adolescenti selezionati non funzionavano. Allora Mattone disse: “Tosca, provaci tu”. Ci provai e andò bene. Tanto che la canzone si aggiudicò il David di Donatello.
Poi sono arrivate le collaborazioni con Ennio Morricone e Nicola Piovani.
Sì. Ma prima, nel 1996, c’è stato Zeffirelli: per lui ho cantato la title-track di Jane Eyre. Subito dopo ho doppiato le parti recitate e cantate di Anastasia, il film di animazione della 20th Century Fox insieme a Fiorello. Tornando a Morricone: lui era l’autore delle musiche della serie tv La Piovra. Ennio e Dalla composero a quattro mani un pezzo bellissimo – Di più – che doveva diventare la sigla finale del programma. Mi chiesero di interpretarlo, è la storia disperata e disperante della donna di un mafioso. Poi il produttore ci ripensò, aveva paura che cambiando qualche elemento nello sceneggiato il pubblico non avrebbe gradito. Lo inserii nel mio album del 1997 – Incontri e passaggi – e vinsi la Targa Tenco come migliore interprete. Con Piovani il rapporto è strettissimo, iniziato con il suo spettacolo teatrale Semo o nun semo, tanto che in Romana lo cito a più riprese. Veramente un grandissimo compositore che ho ritrovato anche nel film A casa tutti bene di Gabriele Muccino con quel brano meraviglioso che si intitola L’invenzione di un poeta.
Lei arriva dal teatro, ha un curriculum stellare. Ma è stata anche attrice nel film Ba Ba Baciami piccina di Roberto Cimpanelli del 2006 con Neri Marcorè e Vincenzo Salemme.
Attrice è una parola forte. Feci una particina e chiesi perfino che mi venisse tagliata perché c’era una scena su una zattera in mare che mai e poi mai avrei potuto girare. Troppa paura.
Il suono della voce è un disco ma anche un magnifico documentario diretto da Emanuela Giordano. Avete vinto il Nastro d’Argento 2020.
Un viaggio del cuore, una tournée durata tre anni partita da Algeri e Tunisi, terminata a luglio 2018 toccando Brasile, Francia e Portogallo. Un lungo cammino senza frontiere intorno alla musica e alle parole. Ho incontrato artisti straordinari, mi sono confrontata con il pubblico più disparato. Sono da sempre attratta da ciò che non conosco e sono certa che la musica sia il linguaggio che unisce popoli, sentimenti, una forza che travalica confini, che non ammette barriere. Un’esperienza che mi ha segnata profondamente dal punto di vista artistico e soprattutto umano.
Il cinema è presente anche nel suo ultimo disco dal vivo Morabeza Rendez-Vous.
Sì, ho voluto reinterpretare Volver, un pezzo meraviglioso degli anni Trenta scritto da Carlos Gardel che Pedro Almodòvar ha consegnato a una appassionata Penelope Cruz nell’omonimo film del 2006. Un tango che diventa flamenco, chitarre spagnole, palpiti grandi del cuore e malinconia canaglia. Perché ogni tanto si torna da dove si è partiti. Si deve tornare, per poi rimettersi in viaggio.
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