Trento film festival: Wild Life, il sogno americano può (r)esistere. In Patagonia

Si chiude oggi, 7 maggio, la 71esima edizione di uno dei festival più interessanti del panorama culturale italiano. Montagne e culture, è il sottotitolo, perfetto per il film National Geographic che ha conquistato tutti

In questi giorni a Trento, fino al 7 maggio, si trovano ovunque bandiere che segnalano il Trento Film Festival, appuntamento giunto alla 71° edizione dedicato al cinema di montagna e d’avventura. Se i titoli dei giornali locali alternano faide a tema orso e la preparazione delle liste per le prossime elezioni provinciali, ogni piazza e sala cinematografica ospita incontri, eventi e proiezioni.

Al posto del tappeto rosso, baite di legno per bere e chiacchierare, l’abito lungo sostituito da abbigliamento tecnico e zaini, tanto che è difficile distinguere registi da alpinisti, scrittori d’alta quota da spettatori e turisti. Ospiti quasi fissi da queste parti personaggi come Reinhold Messner, Mauro Corona o Paolo Cognetti, che ha presentato proprio qui anni fa il suo Le otto montagne, poi vincitore del Premio Strega nel 2017.

Proprio il successo dell’adattamento per il cinema di quel romanzo, premiato a Cannes e da incassi quasi miracolosi per l’epoca e il genere, sembra confermare una rinnovata attenzione per le storie all’aria aperta, per la natura da vivere in pieno, in cerca della melanina perduta negli anni della pandemia di Covid-19. Anche in Francia il fenomeno sembra radicato, la conferma giunge dal milione di spettatori appena superati in patria da A passo d’uomo, film che ha aperto il Trento Film Festival e uscirà in sala da noi a ottobre. Protagonista il premio Oscar Jean Dujardin che gira tutto il paese lungo sentieri in alta quota e non battuti.

Trento Film Festival, l’incredibile storia di Douglas Tompkins

Ma parlando di storie, quella di Douglas Tompkins, imprenditore e alpinista, filantropo e ambientalista, è diversa dalle altre. È così particolare che farà parlare di sé nel corso della prossima stagione dei premi. Il tutto grazie a Wild Life, documentario National Geographic che lo racconta, dal 26 maggio sulla piattaforma Disney+, diretto da Jimmy Chin e Elizabeth Chai Vasarhelyi, autori di Free Solo, premio Oscar nel 2019.

In quel caso, raccontavano l’arrampicata senza imbracatura di un alpinista sulla parete di El Capitan, la più verticale del Parco dello Yosemite. Questa volta, invece, per conoscere Mister Tompkins sono necessari pochi chilometri, rimanendo in California, ma tornando indietro alla metà degli anni Sessanta, nel pieno del movimento hippie.

La corsa all’oro più prezioso di quegli anni, la libertà, aveva spinto un ventenne nato nel grigio Ohio e cresciuto nei dintorni di New York, espulso da scuola più volte senza finire le superiori, a girovagare per Europa e Sud America, sciando in alta quota e surfando. A quel punto perché non trasferirsi in quella California che gli permetteva di fare entrambe le cose in un giorno solo?

Per mantenersi creò un servizio di guide di montagna, costruendo amicizie solide come le rocce che il gruppo affrontava nel corso di ogni giornata libero. In caso di vento forte, erano pronti a un salto lungo la costa con la tavola a sostituire gli sci. Proprio nel fatidico 1968, Doug – come preferiva essere chiamato – partì per un viaggio on the road fino alla Patagonia, insieme a pochi amici fidati, fra cui il più caro di tutti, Yvon Chouinard.

Pochi anni prima si era sposato, e proprio con la moglie Susie aveva ovviato alla mancanza di abbigliamento adatto alle scalate fondando The North Face, mentre il sodale Chouinard, esperto fabbro e poi imprenditore di attrezzatura tecnica, dai chiodi alle corde, aveva pensato bene di seguirne le tracce creando un altro marchio celebre anche oggi: Patagonia.

Insomma, questi hippie scapigliati e scottati dal sole avevano creato il necessario per “vestire” uno stile di vita, loro, e di milioni di persone.

Wild Life, il sogno americano in Patagonia

La storia di imprenditore di successo capace di creare un immaginario, al di là di un brand, insomma? Non esattamente. Visto che, al contrario della storia dell’esplosione delle scarpe Nike nel basket NBA degli anni ’80, al centro di Air di Ben Affleck, attualmente in sala, in Wild Life si racconta un altro tipo di sogno americano.

Pochi anni dopo, infatti, nel 1990, Douglas Trompkins decise di abbandonare potere e denaro, oltre alla guida di un altro marchio iconico come Esprit, creato dopo aver venduto North Face, per tornare in pianta stabile in una terra che aveva imparato ad amare più di vent’anni prima. Il motivo per cui abbandonò gli affari lo spiega lui stesso, “non volevo più farlo, perché contribuivo alla distruzione del mondo”.

In quegli anni, tutti gli scalatori diventavano ecologisti, perché vedevano la natura distruggersi e si rendevano conto che, così facendo, distruggevano loro stessi.

La Patagonia gli sembrò un ovest americano di cento anni prima, ma autentico. Tompkins si spogliò quindi di tutto, vendendo e incassando, per trasferirsi insieme a una donna conosciuta superficialmente da anni, ma ora diventata la sua seconda moglie, Kris McDivitt, che aveva fatto un passo simile, abbandonando il suo posto di amministratrice delegata proprio dell’azienda del suo amico Yvon, Patagonia.

Infatti, Wild Life è anche la storia d’amore più americana che possa esistere, quella di due che ricominciano da capo, quando ancora l’abusato termine resilienza non si usava, scoprendo di amarsi e scegliendo come testimone di nozze, a cui giurare fedeltà eterna, la splendida natura del Cile meridionale. I soldi a quel punto li avevano, come anche un sogno, quello di comprare sempre più terra, fra le Ande e il mare, poi anche in Argentina, per creare o allargare parchi nazionali e zone di ripopolamento animale.

L’obiettivo finale era restituirli ai cittadini di quella parte del mondo. Inutile dire che la lotta fu molto complessa, specie in un Cile ancora stordito dal lungo periodo di dittatura di Pinochet, ma portò alla più estesa donazione privata di possedimenti terrieri nella storia. Ma questo Wild Life lo racconta per bene, nel dettaglio, concedendosi anche toccanti momenti sulla strana storia di una coppia di visionari con la voglia di rimboccarsi le maniche, senza paura di farlo con un obiettivo così utopistico e che oggi attirerebbe risposte sui social piene di faccine minacciose e LOL di scherno: “salvare il mondo”, partendo da quello che vedevano dalle finestre di casa.