Tutto quello che Locarno potrebbe (e dovrebbe) insegnare alla Mostra del Cinema di Venezia

Il Lido, sotto il secondo regno Barbera, è diventato il centro di gravità permanente del cinema mondiale. Ma per un ulteriore salto di qualità potrebbe guardare a una realtà diversa: sette proposte dal Ticino, per migliorare ancora

Mostra Internazionale dell’Arte Cinematografica di Venezia. Siamo agli sgoccioli dell’estate e dopo il Locarno Film Festival, come sempre, inizia il conto alla rovescia per l’evento più atteso dal cinema italiano, europeo e ormai mondiale – se è vero che è dal Lido che negli ultimi anni, ormai, arrivano le candidature più pesanti agli Oscar.

Sotto il secondo regno di Alberto Barbera (12 anni, dopo i tre a cavallo tra vecchio e nuovo millennio) il festival da lui diretto ha scalato posizioni vertiginosamente, arrivando in vetta dal lato creativo – quasi tutte le opere migliori passano da lì – e politico (sia interno al cinema, sia esterno: le nuove realtà sociali e gli ideali vengono annusati in anticipo dai cineasti qui selezionati).

Eppure. Eppure tutto è migliorabile, e dopo essere stati al Locarno Film Festival, abbiamo scoperto che anche un festival internazionale, ma più ridotto per dimensioni e ambizioni (ma come vedremo neanche tanto) può essere un riferimento per un ulteriore salto di qualità della Mostra del Cinema di Venezia.

Ecco le magnifiche sette possibilità per andare verso l’infinito e oltre.

  1. Strutture: si sono fatti passi da gigante al Lido, almeno per quanto riguarda la parte cinematografica. Da casinò adattati, palatenda scomodi, sale bugicattolo dove nascevano amori per osmosi più che per volontà, si è passati a una maggiore razionalizzazione degli spazi, usati di più, meglio e con maggiori funzionalità, con un palazzo del cinema che non è il migliore possibile, ma è comunque di alto livello. Rimane tuttavia poco organico al resto – ci hanno provato, e bene, le Giornate degli Autori a rivalutare e riutilizzare sale del Lido già in funzione fuori dal festival – mentre Locarno si adatta come un guanto a tutta la rassegna. Sale, ex sale, rotonde (non scherziamo, con tanto di agende live di concerti e simili) e soprattutto quel Palacinema che è un gioiello di eleganza e architettura, oltre che una forma d’impegno verso il futuro. Unico neo? Il Fevi, sala da 3000 posti che va ripensata, un po’ come il PalaBiennale, per diventare ancora più giusta per una grande iniziativa internazionale. Magari non perdendola per il resto dell’anno.
  2. Bambini: Locarno è a misura di bambino. Ha una sezione a loro dedicata, la Locarno Kids laMobiliare, con film adatti ai minorenni, atelier, laboratori, incontri, masterclass, un festival nel festival che crea identità – come a Giffoni c’è posto per un popolo sorridente ed entusiasta munito di accredito e curiosità, capace di portare alla rassegna una vitalità che troppo spesso si perde nelle grandi iniziative. L’incontro tra i ragazzi e Luc Jacquet, quest’anno, è stato notevolissimo. Così come si è parlato a lungo della masterclass mattutina su Chaplin dell’artista performativa Gudrun De Chirico. Inoltre il Kids Corner, attivo dalle 9 alle 18, concede ai giornalisti, agli addetti ai lavori, agli artisti di poter portare in una sorta di cinecentro estivo i loro figli (da 1 a 6 anni) in un luogo meraviglioso: maestre fantastiche, giochi divertenti, nel pieno centro storico di Locarno. A 10 franchi a fascia oraria (tre ore!). Venezia, di contro, fa implodere le famiglie. Anche le più unite.
  3. Collaborazione della comunità: l’atteggiamento della cittadinanza veneziana verso il festival (il primo Barbera fu l’unico ad avere il coraggio di denunciarlo) è quasi esclusivamente predatorio: affittare stamberghe a giornalisti precari al prezzo della retta annuale del figlio del proprietario alla Ca’ Foscari, far pagare una singola mela tre euro, raddoppiare il costo dei menù dei ristoranti (quando si sentono generosi), decidere un prezzo per le camere d’albergo con cui in altri momenti dell’anno quei metri quadri, con quella somma, te li potresti comprare. A Locarno, la città, le attività rimangono care allo stesso modo (una quindicina d’anni fa fece scalpore il bellissimo documentario di Danilo Catti Giù le mani, su una storica mobilitazione delle ferrovie svizzere: una grande epopea sui diritti del lavoratore). Ma di qualità, a differenza di quelle veneziane, che sono troppo spesso mediocri. Tutte le vetrine o quasi sono leopardate, tutto è declinato al festival, persino insegne o idee di comunicazione. Dal parrucchiere “Edward mani di forbice” al “Bar Lume” dedicato alla serie italiana che si gira all’Elba, fino a una brandizzazione che supera persino quella di Cannes (sì, chi scrive ha comprato occhiali da vista leopardati a una cifra che non oserà confessare ai figli), per fantasia e visione e funzionalità. Quest’anno, su tutte, l’idea delle bici ecologiche date gratis agli accreditati.
  4. Daily: niente da dire sui daily veneziani o di Cannes, ma quello di Locarno, ai tempi di Carlo Chatrian PardoLive (e diretto da Lorenzo Buccella che se lo reinventò con il direttore di allora Olivier Père – era Pardo News allora – più di un decennio fa), ha un fascino particolare: cura dell’iconografia, titolazione, contenuti.Non c’è un committente, l’editore è il festival stesso. Un’idea economica e creativa che lo rende un pezzo della rassegna e non un amplificatore attribuito ad altri.
  5. Attenzione alle nuove leve: Non si discutono le scelte veneziane sulla classe dirigente, c’è sempre il meglio. Ma Locarno, di tutti i festival internazionali, è quello più audace nel puntare sui giovani. Carlo Chatrian divenne direttore che era ancora under 40, Olivier Père fu scoperto dopo la Quinzaine e portò un’enorme carica innovativa, Irene Bignardi è stata la direttrice donna più importante degli ultimi anni e lo è stata proprio in Svizzera. Marco Müller ha costruito le sue fortune partendo proprio dal Ticino. A Venezia, soprattutto per restare, ci si arriva come punto d’arrivo. Forse si dovrebbe invece cogliere la forza propulsiva dell’anagrafe, quando supportata da talento e competenza.
  6. Piazza Grande: non c’è qualcosa di simile al mondo. Eppure San Marco sembra essere lì apposta per far diventare la Mostra la più grande iniziativa popolare del pianeta. L’eccellenza cinematografica si può sposare con i grandi numeri, a Locarno lo sanno da sempre. A Venezia, e quindi non solo al Lido, potrebbe diventare qualcosa di epocale. A volte ci si è provato, è vero, con le pre-aperture. Ma andiamo verso un cinema che ha bisogno di grandi eventi, di momenti unici. Nella musica abbiamo Travis Scott al Circo Massimo o i Campovolo delle rockstar nostrane. Perché rimanere solo sul red carpet e non diventare un bene comune e popolare? Il ritorno prepotente dei live musicali come traino di un mercato nasce anche da questa nuova centralità, da questi tentativi riusciti di creare eventi di massa irripetibili.
  7. Indipendenza e trasparenza: Marco se n’è andato e non ritorna più. No, non è nostalgia dell’esordiente Laura Pausini, ma il lutto professionale che si prova per Marco Solari, che dopo quasi un quarto di secolo ha lasciato il timone del Locarno Film Festival. Lo ha preso che era una realtà di nicchia, lo lascia che è una capitale mondiale del cinema d’autore. Fermezza, garbo, capacità politiche incredibili nel tenere insieme le inevitabili forze centripete più provinciali e quelle centrifughe dell’arte e della sperimentazione, un talento imprenditoriale e strategico unico. Solari è stato eccellente persino nell’organizzare la sua successione (insieme, tra gli altri, a Mario Timbal, ora a capo della RSI, che proprio qui a Locarno è diventato uno degli uomini forti di media e cultura europei). Trasparenza, indipendenza dalla politica, comunicazione perfetta su regole e criteri di scelta. Risultato: gli succederà Maja Hoffmann, collezionista d’arte, mecenate, produttrice di documentari, impresaria e imprenditrice svizzera, fondatrice e presidente della Fondazione LUMA. Luma Arles, il fiore all’occhiello della sua attività culturale, non è un museo privato, non solo, tra i più belli della storia delle esposizioni, è un laboratorio creativo unico al mondo. Hanno scelto, per semplificare, la nuova Peggy Guggenheim. E questo può far cambiare il destino del Locarno Film Festival, che da ora si troverà nella posizione invidiata e invidiabile di chi può puntare al massimo (è anche nell’azionariato di famiglia dell’azienda Hoffmann-Roche) con infinite possibilità relazionali, organizzative, economiche. Una scelta che sarebbe difficile ripetere in Italia, a Venezia, dove la politica, su determinate scelte, ha un peso asfissiante. E qui potremmo tornare a un dibattito fondamentale, sull’indipendenza della formazione e divulgazione artistica. Ma è un’altra storia.