Questa intervista a Valeria Golino è pubblicata nell’edizione cartacea di The Hollywood Reporter Roma, Numero 1, in cui i protagonisti della 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma raccontano la loro Roma e i loro luoghi del cuore. Valeria Golino è presente alla Festa del Cinema nel film Te l’avevo detto di Ginevra Elkann.
Valeria Golino, che è al culmine di un lavoro matto e disperatissimo su Goliarda Sapienza con la serie L’arte della gioia, nonostante la stanchezza riesce a rendere incredibilmente vivida la sua percezione di Roma. Una città che ha scelto, da cui se n’è andata e tornata così tante volte da averlo dimenticato. E come fa da attrice e da regista, riesce con la sua voce meravigliosa a dare contorni fisici e poetici insieme alle immagini che le vengono prepotentemente in mente.
“Non sono romana e non lo sarò mai, ma voglio bene a questo strano posto che mi colpisce e mi scuote in ogni sua accezione, dalla Roma notturna a quella agostana, da quella dell’alba a quella al tramonto: l’unica che non sopporto è quella dalle 9 alle 17, che ci soffoca. Napoli, Atene, Los Angeles, Parigi, ma poi se faccio i conti è qui che ho vissuto di più, in termini di qualità e quantità di tempo. E soprattutto credo sia il luogo in cui mi fermerò, anche se domani me ne vado ad Atene, che è un mondo da raccontare pure quello. Parto per fare tre giorni da figlia. Buffo, fuggi dall’esserlo per una vita e poi arriva un momento in cui non desideri altro”. Con Valeria Golino è sempre così, viaggi sull’onda di ricordi, impressioni, riflessioni. Provi a immaginare domande, un percorso di intervista, ma poi con lei è come essere in mare aperto.
“Il non essere nata qui mi dà un privilegio, non trattenere lo stupore della bellezza: ogni giorno so che scoprirò un minuto, un angolo, una luce che si infrangerà su un palazzo, un vicolo, pure una fontanella che mi meraviglieranno senza scampo, mi faranno fermare ed entusiasmare. Roma è una città esagerata, ma poi ti mette ko con un dettaglio. Credo sia questo il motivo per cui riesco, riusciamo a sopportare le continue e sempre più crescenti difficoltà quotidiane a cui ti sottopone, provocandoti tante piccole rabbie. Roma ti riempie di felicità, ma un attimo prima, o dopo, stai sicuro che ti ha fatto smadonnare. È incanto e imprecazione, anche questo la rende unica”.
Il viaggio da regista di Valeria Golino
L’ha percorsa da regista con una curiosità e un’originalità difficilissima per una cineasta: con Roma si sono messi alla prova i più grandi e riuscire a restituirla sempre nuova è ogni volta di più un’impresa. “In Miele era la Roma del lungotevere Flaminio, dove abitava il personaggio di Carlo Cecchi, non quella rotonda a cui siamo abituati ma quella più squadrata e piemontese, amo quel tipo di architettura, l’acqua che accarezza quei palazzi ambiziosi.
Penso sempre che di quel ventennio maledetto l’unica cosa buona rimasta sia l’architettura razionalista. Invece con Euforia ho cercato di più il centro storico, ma sempre trasversalmente, con inquadrature oblique, di sbieco che allo stesso tempo volevano rubare ed evitare la maestosità di Roma, uscire fuori dalla cartolina e da tutto quello che si è inesorabilmente e straordinariamente preso Paolo Sorrentino, che con La grande bellezza ha fatto un capolavoro ma anche reso difficile la vita dei colleghi che vogliono continuare a fare cinema qui! La fortuna è che Roma ha talmente tante facce, oltre a quelle ben conosciute e rotonde, è cinque città in una, quindi se hai desiderio e curiosità lei non ti tradisce. Sa essere opulenta e grassa, nel senso bello, “rotondona”, tutta tette e culi con le sue colline, morbida, ma anche austeramente moderna e spigolosa. Conta come la guardi”.
Il battesimo con Lina Wertmuller
I primi ciak capitolini non si dimenticano mai, e allora proviamo a ritrovarli nella memoria. “In Miele credo fosse a Maccarese, sulla spiaggia in cui viveva il personaggio di Jasmine Trinca. Invece da attrice avevo 16 anni e mezzo, stavo a Monteverde Vecchio, in una villa che adesso è l’Accademia Americana: un battesimo di fuoco, con Lina Wertmuller dietro la macchina da presa e come compagno di set Ugo Tognazzi: dovevo corrergli tra le braccia”. Era il 1983, il film era Scherzo del destino in agguato dietro l’angolo come un brigante di strada, che a suo modo potrebbe essere un bel titolo per raccontare questa città e questa intervista.
“Io poi vivo nell’angolo più drammaturgico della Capitale, dove ti affacci e vedi da un lato il Colosseo e dall’altra Colle Oppio e quello spicchio ti racconta già tutto. Da lì parte la mia passeggiata mattutina: Piazza del Colosseo, Colle Oppio, Via Mecenate, giro su Via Merulana, più o meno all’altezza di dove avete la redazione voi di THR, poi salgo a prendere il caffè da Panella, attraverso Santa Maria Maggiore, passo lungo Via Torino e arrivo al montaggio. E mi piace perché quella è un’altra Roma ancora, né razionalista, né imperiale, un centro storico quasi alternativo, perché io sono una da Rive Gauche, come si dice a Parigi, sono più da Campo de’ Fiori, Piazza Farnese, Via Giulia, più che da Piazza di Spagna e Via del Babuino. Che bella che è Via Giulia – e sembra percorrerla mentalmente mentre la racconta – ci ho vissuto con Fabrizio (Bentivoglio) otto anni, che camminate. E poi finivo dritta a Via Monserrato, all’Hollywood (che proprio qualche settimana fa ha festeggiato i 40 anni, ndr) ad affittare videocassette, che tempi”.
A Roma va così
Gli eterni ritorni di Valeria hanno luoghi e momenti che cerca più di altri. “La scrittura con le mie amate Francesca Marciano e Velia Santella, che mi porta a una deriva trasteverina, con i suoi ristorantini e le piccole botteghe. Ma soprattutto amo quella sensazione di essere in un posto in cui tutto è procrastinabile, come vivere in una bolla di tempo e bellezza che allontana il dovere, che ti dà l’illusione di una tregua dalla quotidianità caotica. A Roma puoi permetterti il lusso di non essere puntuale. Questa città mi fa sempre pensare a quella canzone bellissima di Tutti Fenomeni A Roma va così. Ecco un’altra cosa speciale: quello sembra un pezzo classico, uno stornello e insieme è modernissima e scritta e cantata da un ragazzetto”.
Ti saluta Valeria , tornando a casa. “Sono così stanca, fare una serie è come fare tre film, ma va bene così”. Senti nella voce che forse proprio in quel momento è stata colta da un attimo di quella meraviglia di cui parlava. Con la testa, ora, è già ad Atene. “Dobbiamo parlarne, su The Hollywood Reporter, la prossima volta”. Arrivederci amore, ciao. Arrivederci, Roma.
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