Volare è una di quelle opere a cui è facile voler bene, ma non altrettanto scriverne senza rischiare di essere banali. Ci sono categorie critiche (e anche dello spirito) che spesso vengono riassunte in un aggettivo, insopportabili. Sono quelle del film delizioso, godibile, necessario, iconico (prima che lo diciate voi, sì chi scrive a volte ci è cascato) e, in un ipotetico Taboo (il gioco da tavolo in cui devi indovinare una parola parafrasandola senza usarne le cinque a cui l’associ più facilmente) dell’esegesi filmica andrebbero escluse, sempre.
Eppure in alcuni casi rendono l’idea, perché Volare non è un capolavoro né vuole esserlo, è più una chiamata alle armi, un atto di solidarietà verso chi è corroso da manie e fobie e al contempo un’esposizione elegante e irresistibile di un’autoironia che molti (non tutti fortunatamente) cineasti hanno represso nella regista e protagonista, Margherita Buy, in favore di un archetipo soffocante a loro funzionale e che lei incarna meglio di tutte.
Volare, la trama
Anna B è Martina Sartori nella serie, ormai alla quinta stagione, Eroi della Finanza. La sua agente continua a convincerla a rimanere imprigionata in quella finanziera coraggiosa grazie agli zero nei contratti e alle sue mille paure. La diva ha per esempio il terrore di volare e per questo perde l’occasione della vita, un film con il regista coreano più famoso e amato dai festival. E sua figlia (lo è anche nella realtà, Caterina De Angelis) viene ammessa, contemporaneamente, a Stanford.
Quel tabù del volo va infranto, per amore e per lavoro, e così fa il grande passo, partecipa al corso “Voglia di volare” – che esiste veramente, ha cadenza mensile e ironia della sorte quello di ottobre è proprio nei giorni dell’anteprima del film (per la modica cifra di 640 euro, una notte d’albergo e un volo sul simulatore compreso) – e incontra un’Armata Brancaleone di uomini e donne con piccoli e grandi traumi che vogliono conquistare la libertà di viaggiare. Da qui parte una commedia picaresca ambientata, di fatto, tra il salotto di casa Bettini e l’Aeroporto Leonardo Da Vinci di Fiumicino.
Volare
Cast: Margherita Buy, Maurizio Donadoni, Pietro Ragusa, Roberto De Francesco, Giulia Michelini, Anna Bonaiuto, Francesco Colella, Euridice Axen, Elena Sofia Ricci, Massimo De Francovich, Caterina De Angelis
Regista: Margherita Buy
Sceneggiatori: Margherita Buy, Doriana Leondeff, Antonio Leotti,
Durata: 100 minuti
Volare, la recensione
Volare è un film che ha 4-5 anni di gestazione, una scrittura che è passata anche dal Covid – e nei non luoghi che diventano nidi emotivi, si sente – e la sensibilità di una donna di cinema che, lo scopriamo ora, ha messo sempre tanta cura non solo nel fare il suo lavoro di attrice, ma è stata profondamente attenta a ciò che la circondava e l’ha messo a frutto, con arguzia diligente. “Nel film non ci sono particolari movimenti di macchina – ammette Margherita Buy -la cura che ho messo è stata diretta agli attori, che mi hanno sostenuto e sposato il progetto”.
E la coralità garbata di un bellissimo gruppo di talenti – e non nomi, necessariamente – è una delle qualità migliori di quest’opera che con gentilezza quella solidarietà la mette in scena e allo stesso tempo la mette in atto per costruire una storia semplice, divertita e divertente. E se c’è da chiedersi perché le attrici italiane vedono i set come Pietro Castellitto Roma Nord, ovvero come un Vietnam – “e può succedere anche di peggio” -, visto che dopo Micaela Ramazzotti in Felicità, anche lei lo mostra come un luogo di cialtroneria mediocrità e meschinità un tanto al chilo, Volare è quel tipo di commedia intelligente che un po’ manca nel cinema italiano (e che, per esempio, aveva iniziato a fare Laura Morante, un’altra attrice).
C’è qualcosa anche di Viaggio sola di Maria Sole Tognazzi, indicata dall’attrice e regista come una delle cineaste, insieme a Moretti e Piccioni, che lei ammira molto “perché ha saputo far uscire fuori il suo bel talento in un cinema molto maschile e con questa spada di Damocle dell’essere figlia d’arte”, ma c’è soprattutto tanto di una donna che ha voluto esporsi, mostrarsi, raccontarsi.
Le parole di Margherita Buy
Non è un caso, probabilmente, che ci sia sua figlia nel ruolo della figlia di Anna B (che brava), non è un caso che la paura di volare sia la sua. “Non vivo, non mi butto, non faccio le cose che devo fare, ma ora, dopo aver fatto il corso, abbiamo una chat in cui ci raccontiamo i viaggi, ci diamo consigli e recensioni di voli e aerei. Siamo come gli alcolisti anonimi”.
L’eleganza della commedia sta nel giocare con fobie e manie come espressione di consapevole egoismo e inevitabile egocentrismo, sapendo con autoironia di esserne protagonista. Questo gioco metacinematografico è efficacissimo, Buy sa di essere un’icona di un certo cinema e di un certo archetipo femminile (Verdone, ad esempio, il suo animo comico e autoironico l’ha capito meglio di tutti e in fondo anche Moretti, che peraltro le ha fatto fare le prove generali da regista in Mia Madre) e sa farlo diventare un elemento narrativo e drammaturgico.
“Credo che gli spettatori ora sapranno conoscermi meglio, avrò molti più amici” dice sorridendo, ammettendo “che la mia paura di volare nasce anche dalla mia ansia del controllo. Voglio sapere tutto, critico. Vorrei fare tutto io. Ecco perché mi è piaciuto fare la regista! Anche se ora che so quanto è difficile e quanto lavoro c’è dietro una storia, non mi permetterò più di dire ‘questa scena potremmo farla così, questa battuta potrei dirla colà'”.
Volare è proprio quel film godibile e delizioso – sì, in questo caso si può dire – a cui vuoi bene, anche per la generosità di chi ha partecipato (Anna Bonaiuto nella parte dell’agente mostro è da urlo, ma in ogni posa ogni attore sa dare il meglio). E pure se Margherita Buy massacra la figura del critico cinematografico, l’unico che alla fine non si riscatta. Lo fa un dirottatore, ma non il critico.
Si poteva forse evitare il product placement pesantissimo di Ita Airways, ma in fondo era funzionale e alla fine se è servito, il tutto, ad alleggerire i produttori, ben venga.
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