“Mi raccomando: ora scriva che voglio scroccare un viaggio alla prima del film a Londra per rivedere Jack Black”. Camicia color salmone con piccole righe verticali bianche, jeans, cintura western e una borraccia tra le mani. Fabio Volo scherza alla fine dell’intervista nello studio di doppiaggio dove THR Roma lo incontra per parlare di Kung Fu Panda 4, nuovo capitolo del franchise della DreamWorks Animation diretto da Mike Mitchel, in sala dal 21 marzo con Universal.
È lui che da oltre quindici anni presta la voce nella versione italiana a Po, panda gigante e maestro di kung fu più improbabile del mondo che in questo quarto capitolo ha un nuovo compito: diventare il capo spirituale della Valle della Pace. Un’evoluzione che, neanche a dirlo, comporta una serie di imprevisti e avventure. “Ora Po è arrivato, per dirla alla Conrad, a quella che lo scrittore chiamava ‘la linea d’ombra’. Deve diventare un adulto ma mantenendo sempre la sua leggerezza d’animo”.
L’ultimo capitolo di Kung Fu Panda è uscito nel 2016. Da allora il mondo è completamente cambiato. Crede che questa evoluzione sia presente nel film?
Secondo me sì. Perché intanto Po, che nei primi film era un ragazzo con un cuore da bambino che sognava con ingenuità di diventare un guerriero dragone, raccontava soprattutto la sua storia personale. Ma adesso in questa nuova avventura c’è una sorta di saggezza, di presa di responsabilità, di consapevolezza. E credo che rappresenti anche questo momento storico in cui molte persone che hanno conoscenza profonda dichiarano che il mondo è in un’evoluzione spirituale.
Ci saranno persone che riusciranno a superare questo Stargate e altri invece che resteranno indietro. Po è sicuramente portatore di questo messaggio, perché è costretto a diventare non solo un guerriero ma anche una guida con missioni più sagge e profonde.
Siamo entrati nell’era dell’acquario. Pare che sia un po’ la nostra nuova epoca.
Secondo lei perché le avventure di Po attraggono ancora così tanto il pubblico dopo tutti questi anni?
L’effetto su di me è che Po non è un supereroe. Non è un panda che impara a volare piuttosto che a diventare invisibile. È come ognuno di noi. Ha un sogno da realizzare che a volte ci sembra molto più grande di quello che ci possiamo permettere. Ma è proprio questa la parte straordinaria dei sogni: devono essere più grandi di quello che pensiamo di poter raggiungere. Altrimenti sarebbero solo dei progetti lavorativi.
Po attraverso la sua goffaggine e la sua leggerezza riesce a portare dei valori molto più profondi e intensi. Ma non si sente la pesantezza. Non è un corso di un’ora e mezza, dove si parla di meditazione o connessione. È dentro un gioco. Però quei messaggi arrivano.
Il lavoro sul doppiaggio non è solo sulla voce. Un ruolo cruciale è dato dal corpo.
Questo capitolo ha molte scene con combattimenti. Quindi, ovviamente, il corpo deve assecondare la voce. Anzi, a volte, arriva proprio dal movimento. È un lavoro completo. Anche perché mentre nell’originale c’è un attore che recita e poi su quella recitazione si disegna il personaggio – in questo caso Jack Black – noi facciamo il lavoro al contrario. Dobbiamo, cioè, adattarci alla recitazione dell’attore. Devi usare quella fisicità.
Credo abbiano scelto Black proprio perché è un attore che usa molto il corpo. E quindi è doppiamente divertente.
Il ritorno in sala di doppiaggio?
Un disastro. C’è un team che mi aiuta a ritrovare tutto, anche la borraccia dell’acqua (ride, ndr). Non è un posto dove mi sento a mio agio. Almeno quando arrivo al leggìo sento che non è il mio mestiere. Sono passati tanti anni dal terzo film a oggi. Ma l’ambiente è bellissimo, le persone con cui lavoro sono straordinarie, mi vengono incontro e pian piano imparo tutto da capo.
Il primo capitolo del film mostra un panda destinato a seguire le orme del padre. Un punto in comune con la sua storia?
Lo dico sempre: il primo Kung Fu Panda è il film più autobiografico a cui abbia mai lavorato. Po aveva un padre con un ristorante ma sognava di diventare un guerriero. Io avevo un padre che faceva il panettiere, lavoravo con lui, ma sognavo di fare le cose che faccio adesso. Mi ci sono davvero ritrovato.
Tra l’altro ero proprio come Po, senza talenti particolari. Non è che sono andato a giocare a calcio ed ero Messi, me la sono dovuta un po’ cercare questa strada. Se dovessi raccontare la mia vita con un film, la racconterei con Kung Fu Panda.
Inoltre nessuno sembra credere in lui. Nonostante questo, Po raggiunge i suoi obiettivi. Eppure quando qualcuno ha successo si tende a screditarlo.
Non dico sia giusto, ma è normale che le persone reagiscano così. Perché quando nella vita decidi di non seguire il sentiero tracciato da altri ma una voce interiore non sai se si tratta di presunzione o se è sbagliata. Finché non c’è un risultato puoi anche essere semplicemente un matto. E allora ti dici: “Ma forse dovrei accontentarmi di quello che ho?”.
Tutte le frasi che ammazzano i sogni non sono fatte di grandi grida ma di piccole paure. Per poter seguire i propri sogni, e questa voce, serve il coraggio di non piacere. Richiede uno sforzo di indipendenza emotiva fortissimo e non tutti riescono a superare questo ostacolo iniziale. I latini dicevano che la cosa più difficile di un lungo viaggio è il primo passo.
Po in Kung Fu Panda 4 deve diventare il leader spirituale della Valle della pace. In questi anni anche lei ha fatto un percorso personale incentrato sulla sua spiritualità.
È incredibile. Quando sono venuto qui il primo giorno e ho iniziato a doppiare le prime cose, c’è una scena in cui Po medita e chiede all’universo delle risposte, come facciamo tutti. Quest’anno in radio, al Volo del mattino, abbiamo iniziato a fare richieste all’universo. Quando sono arrivato in sala di doppiaggio mi sembrava una puntata del programma. Il giorno dopo in radio ricordo di aver detto che ci sono talmente tante cose simili che, come diceva Jung, non esistono le coincidenze.
Quando entri in una certa frequenza poi arriva la musica. O uno segue le forme, le regole, le opinioni oppure la verità e il ritorno a casa. Sono i due grandi sentieri di questo momento.
Il terzo capitolo di Kung Fu Panda parlava anche di famiglia allargata, con tanto di polemiche a seguito. Crede, invece, sia necessario per un bambino riconoscere che esistono più forme di amore invece che solo quella “tradizionale”?
Quelli sono i ruoli sociali e quello che nella società viene chiamato amore. Una specie di contratto fra persone. Difatti tu entri in una relazione e dici: “Ti amo però non voglio che esci il sabato con le tue amiche. Ti amo però non voglio che vai in bicicletta la domenica”. L’amore con i “se” non è mai vero. L’amore è quello che hai per i figli. Che sia un cantante, un calciatore o un impiegato della posta, lo ami sempre. È un sentimento incondizionato.
Quando ci sono state le polemiche sui due papà, si trattava sempre di un amore sociale che non ha nulla a che fare con quello reale. Perché l’amore non ha tempo, non ha spazio, non ha forme. Un uomo e una donna non si amano di più di due uomini. Tant’è che non puoi nemmeno dire: “Ti amo tanto o ti amo poco”. Sarebbe come dire: “Sono morto tanto o sono morto poco”. L’amore non è un baratto.
In questo capitolo Po avrà a che fare con vecchie conoscenze.
Non so se sia stato fatto di proposito o meno, però spesso le cose che pensiamo di aver risolto nella vita poi ritornano. Se si guarda anche alle condizioni di questo momento nel mondo, i motivi delle guerre sono sempre gli stessi. È sempre un’invasione di campo, una presa di posizione. Sono delle situazioni che tornano e sono lì per vedere se tu sei cambiato e come reagisci. Come nella vita, anche in questo film, torna il male dal passato. Ma Po lo affronta in maniera diversa perché è più saggio.
Quale crede sia la qualità principale di Po e come pensa sia cresciuto?
Fin dal primo film, l’ho sempre fatto con quello che chiamo il cuor fanciullo. Po è una sorta di ingenuo da un certo punto di vista. È un buono, non ha cattiveria, non è uno che per realizzare il suo sogno è disposto a far del male agli altri. È una persona che si stupisce, riesce a vedere ciò che è invisibile agli occhi di molti. Nietzsche diceva che le persone che ballavano erano considerate pazze da chi non poteva ascoltare, da chi non poteva sentire.
In questo capitolo Po è arrivato, per dirla alla Conrad, a quella che lo scrittore chiamava “la linea d’ombra”. Diventa una guida spirituale, quindi ha una responsabilità che non è più quella del “semplice” guerriero. Dice sempre che vuole andare “a dare calci e pugni”, cerca il divertimento del gioco. Ma adesso è arrivato al momento in cui deve diventare un adulto, ma mantenendo sempre la sua leggerezza d’animo. Credo sia uno dei tanti messaggi del film.
Ha parlato di responsabilità. Lei attraverso la radio e i suoi romanzi arriva a molte persone. Sente una responsabilità nei confronti di chi la segue?
Nel dare qualcosa, quello sì. Ma non mi è mai piaciuto intrattenere, neanche quando faccio radio, tv o altro. Mi piace dare qualcosa a persone che mi danno attenzione e tempo. La responsabilità non ce l’ho mai verso gli altri, ma verso me stesso. Perché devo stare con me, devo guardarmi allo specchio, devo andare a dormire sereno.
Sono anche un padre, un figlio, un amico e quindi quella responsabilità la sento su di me. Nel senso che se migliora la mia persona, migliora anche il mio lavoro, le mie relazioni. Insomma: parte tutto da me.
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