Felice Farina era un visionario che faceva commedie. Un ex-attore del glorioso teatro d’avanguardia romano anni 70 scopertosi regista. Un falegname provetto e un inventore di cose bizzarre. Un artista appassionato di scienza e di tecnica che spesso si costruiva da sé gli attrezzi da usare sul set e aveva collaborato a realizzare gli effetti speciali dei suoi due ultimi film, La fisica dell’acqua e Patria.
Era, insomma, un personaggio fuori da ogni schema che nel nostro cinema sempre così avido di schemi, cordate, format, generi e cognati, faticava a trovare il suo posto. Ora che se n’è andato a soli 69 anni, dopo una breve malattia, forse finalmente capiremo quanto sarebbe stato bello, importante, perfino conveniente dargli la possibilità di usare meglio e più spesso i suoi talenti. Anche perché di Felice Farina ce n’era uno solo ma di autori trascurati, scherniti, emarginati come lui, ce ne sono e ce ne saranno ancora molti, troppi altri.
Felice Farina e il dono del comico
Eppure Farina aveva il dono del comico, che in Italia è quasi una religione (il comico vero, quello che brucia anche un po’ e non rima necessariamente con botteghino). Basterebbe citare il suo primo film, Sembra morto… ma è solo svenuto, un titolo passato quasi in proverbio, girato nel 1987 con due giovani e scintillanti Marina Confalone e Sergio Castellitto. O il successivo, esilarante e nerissimo Condominio, che regalò a Ciccio Ingrassia il primo e unico David della sua carriera, sembra incredibile. O ancora lo stravagante Affetti speciali, scritto con Gianni Di Gregorio e con i Gemelli Ruggeri, anche protagonisti accanto a comprimari come Sabina Guzzanti, Piero Natoli, Remo Remotti. Senza dimenticare la serie tv Nebbia in Valpadana, che nel 2000 riunì dopo una lunga separazione Cochi e Renato.
Ma naturalmente comico e commedia erano solo una delle tante lenti con cui guardava al mondo, perché Felice Farina era un osservatore instancabile e uno sperimentatore inguaribile. Dunque anziché capitalizzare quel codice accessibile a tutti per costruirci sopra un’immagine e magari una carriera, concetti che sicuramente gli facevano orrore, si era messo a fare le cose più diverse seguendo la logica ludica di chi pensa vediamo un po’ che succede.
Road movie donchisciottesco
Non solo film come La fisica dell’acqua, sfortunato thriller con Paola Cortellesi e Claudio Amendola, ma mostre, documentari (l’inclassificabile Conversazioni atomiche, “road movie donchisciottesco” sulla Fisica che era tra i suoi lavori preferiti, 2018), installazioni come Memory Box, una scultura progettata con l’artista Gregorio Botta in cui il passaggio di ogni visitatore attivava tracce sonore sempre diverse estratte dalla nostra più oscura storia recente, dal Caso Moro in poi.
Un’idea che veniva da Patria, altro film-scommessa realizzato con tre soli attori, Francesco Pannofino, Roberto Citran e Carlo Giuseppe Gabardini, per portare sullo schermo tra invenzione drammaturgica e documenti d’archivio il fluviale libro omonimo di Enrico Deaglio, piccolo grande caso alle Giornate degli Autori 2014.
La nostra sbrindellata memoria collettiva, era del resto una delle sue ossessioni. Tanto che anche il suo nuovo film, l’ancora inedito Falso storico, ricostruisce in chiave sarcastico-paradossale quattro storie emblematiche del Ventennio per ricordare come, malgrado i proclami roboanti, anche sotto il Duce la corruzione ai piani alti andava fortissimo. A Venezia, chi l’avrebbe mai detto, non s’è visto. Chissà se sarà in programma alla Festa del Cinema di Roma.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma