Mission: Impossible, Barbie, Oppenheimer. Qualsiasi altro film si sentirebbe così, Come pecore in mezzo ai lupi. In uno dei crocevia più esplosivi per le uscite cinematografiche da che se ne ha memoria, al centro di uno sciopero degli sceneggiatori e attori che attira ancora più l’attenzione su cosa sta succedendo a Hollywood, cercare di farsi strada tra le acrobazie di Ethan Hunt, il rosa schocking della bambola Mattel e la portata storica del padre della bomba atomica non è cosa da tutti.
Ma, nel suo piccolo, l’opera di Lyda Patitucci ce la fa. Trova uno spazio in cui immettersi offrendo un esordio teso come i piani della spia di Tom Cruise, deflagrante come l’esplosione che ci attende nel film di Nolan e il più lontano possibile dai colori accesi del guardaroba di Margot Robbie.
In una Roma dall’aria quasi periferica, in cui anche in centro – nelle prime scene ci troviamo al fianco del Circo Massimo – si respira la desolazione di un luogo abbandonato, Come pecore in mezzo ai lupi muove le proprie pedine per un colpo da cui è difficile uscirne vincitori.
Sia per la poliziotta sotto copertura Stefania (Isabella Ragonese), che diventa Vera quando ha a anche fare con il gruppo di criminali da sorvegliare, sia per il giovane Bruno (Andrea Arcangeli) che ha bisogno di soldi per portare via sua figlia, cercando di salvarla da una madre che non sta più bene.
Ma Stefania/Vera e Bruno hanno un passato ed è quel passato che metterà in crisi la posizione di entrambi. Perché in Come pecore in mezzo ai lupi non ci si può tirare indietro, si può solo andare avanti. Rovinosamente, pericolosamente avanti.
Come pecore in mezzo ai lupi, il destino tragico delle prede
Nell’atmosfera del crime di Lyda Patitucci, sceneggiato da Filippo Gravino, il senso di imboscata, di trappola, di irrimediabile perdita comincia a montare con sempre più insistenza nel corso della delineazione del piano criminoso dei “lupi”. Lupi che sono soprattutto loro, volti minacciosi con cui Stefania/Vera deve avere a che fare, lei che nella vita ha – e ha deciso di avere – solo il lavoro. Ma ce ne sono altri di predatori letali nell’esordio di Patitucci.
C’è una famiglia che ha abbandonato i protagonisti, rimasti esclusi senza alcuna rete di protezione. Ci sono le decisioni sbagliate, quelle sempre dietro l’angolo, che sembra inevitabile intraprendere quando ci si sente con le spalle al muro. C’è addirittura un vicinato rozzo e arrabbiato, sgarbato e indifferente. Un palazzo in cui la protagonista vive da cui si sentono in continuazione sbraiti e urla, con l’abbaiare costante e insistente di un cane che, come i personaggi, vorrebbe solo scappare.
Ma è evidente che in Come pecore in mezzo ai lupi il destino sia scritto, tragicamente, con i protagonisti in balia delle proprie stesse azioni, finite fuori controllo. Isabella Ragonese, volto rock e algido del nostro panorama, è granitica eppure fa trasparire tutto quello a cui la protagonista ha rinunciato, pur non scomponendosi mai.
Andrea Arcangeli, invece, riconferma di essere forse il più talentuoso dei giovani del cinema italiano (anche se, quest’ultimo, non l’ha ancora ben capito), qui quasi goffo e impacciato nel suo cercare di essere padre e delinquente. Uno di quelli che vogliono mettere la testa a posto, trovare un lavoro, mantenersi in maniera onesta, ma che si sono incastrati troppo nei loro stessi sbagli da non poter essere più perdonati. Non tanto dagli altri, quanto dalla vita.
Una pecora che rimane e rimarrà sempre una pecora. Per un film che gli artigli ce li ha e sa affondarli. Mortali, fin sotto la pelle.
THR Newsletter
Iscriviti per ricevere via email tutti gli aggiornamenti e le notizie di THR Roma