Esistono film che non guadagnano dall’essere raccontati. È meglio entrarci, abbandonarsi al flusso emotivo di ciò che accade. Stare con i personaggi, letteralmente. Tempo fa Quentin Tarantino – parlando di tutt’altro, ovvero di un western classico come Un dollaro d’onore di Howard Hawks – creò la categoria degli “hangout movies”, ovvero di quei film che sono come una serata fra amici, alla fine dei quali vorresti trascorrere altro tempo assieme ai personaggi (“to hang out” significa proprio quello: uscire, passare del tempo con qualcuno). Pur nell’asprezza dei conflitti che racconta, Dall’alto di una fredda torre è un “hangout movie”.
Facciamo quindi la conoscenza con Elena e Antonio (rispettivamente Vanessa Scalera ed Edoardo Pesce), gemelli eterozigoti, diversi ma legatissimi; e con i loro genitori Michela e Giovanni (Anna Bonaiuto e Giorgio Colangeli), anziani ma vispi. I loro pranzi di famiglia nascondono ovviamente tensioni, latenti e non, ma avvengono anche all’insegna dell’affetto reciproco, del piacere di stare insieme. È un quartetto litigarello ma compatto. Non ci sono altri parenti. E questo diventerà un problema…
Nel primo pranzo a cui assistiamo, Elena propone ai genitori un “gioco della verità” molto arduo: se entrasse un terrorista, e vi dicesse di scegliere fra me e Antonio, dicendo ‘se mi dite quale dei due devo ammazzare l’altro si salva, altrimenti li ammazzo entrambi’, chi scegliereste? Il gioco rimane ovviamente senza risposta ma ha un senso – e qui veniamo al “mancato guadagno” di prima, alla necessità di accennarvi un plot che è ad alto rischio di improbabilità. Michela e Giovanni hanno contratto entrambi una malattia rarissima (non è contagio: è un caso, per la serie “uno su mille”) e per salvarli serve un trapianto. Ok, pensiamo: ci sono Elena e Antonio, i figli, entrambi disponibili. Ma – altro evento clamorosamente improbabile – Antonio si rivela incompatibile. Rimane Elena, che può salvare un solo genitore. Come scegliere? E soprattutto, è giusto “scegliere”, in un caso del genere?
Vi abbiamo raccontato i primi dieci minuti di film. Da qui in poi, visto che i genitori sono ancora ignari di ciò che sta loro accadendo, il film diventa un angosciante ping-pong fra i due gemelli. Un duello psicologico fatto di discussioni, di liti, di pianti, di silenzi.
È come se il mondo si rinchiudesse intorno a questi quattro personaggi, perché – come detto – non ci sono in giro per il mondo altri parenti a cui chiedere aiuto, le strutture sanitarie possono solo attendere la loro decisione e il contesto sociale (una piccola cittadina di provincia, riprese effettuate in Umbria, a Gubbio) fa sì che la famiglia sia ancora più isolata.
Francesco Frangipane impagina il film con grande sottigliezza, con fughe nel simbolico a volte azzeccate (l’inizio onirico, che si ripropone nel finale) a volte un po’ sottolineate (quel cavallo bianco che scorrazza nella campagna). Si parte da un testo teatrale di Filippo Gili, che Vanessa Scalera ha interpretato a lungo in palcoscenico: la straordinaria attrice gioca quindi in casa, accogliendo Pesce, Bonaiuto e Colangeli in un poker attoriale di altissimo livello.
Massimiliano Benvenuto, che era Antonio in teatro, qui compone assieme a Elena Radonicich la coppia di medici, unici altri personaggi di questo kammerspiel, che vorrebbero solo fare il proprio dovere ma rischiano giocoforza, in alcuni momenti, di trasformarsi in aguzzini: della serie “volete più bene a mamma o a papà?”. Domande che, purtroppo o per fortuna, non hanno risposte.
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