“Non c’è un libretto di istruzioni per vivere”. Che questa frase la dica una madre a una figlia la rende tanto più vera quanto più desolante, quasi perfino “una riflessione comica”, come dice Donatella Finocchiaro, l’attrice che questa battuta la pronuncia nel film L’anima in pace, il terzo lavoro del regista Ciro Formisano. Lei, alle spalle anni di teatro, cinema e televisione, gli ultimi successi con il film La Stranezza, e le serie tv I leoni di Sicilia e Monterossi, al cinema dal 18 gennaio sarà la “madre bambina” di Dora (Livia Antonelli), una ragazza della periferia romana che durante il lockdown dovuto alla pandemia consegna la spesa a domicilio. Nel cast anche Daniela Poggi, Federico Mancini e Lorenzo Adorni.
“Una donna esuberante, sempre sopra le righe”, così descrive la sua Lia, un personaggio per cui è facile provare un sentimento doppio, di attrazione e repulsione. “Alla fine non la giudichi ma riconosci che è una madre disfunzionale”. Quando Finocchiaro si è preparata al ruolo ha pensato che L’anima in pace è un film capace di parlare della realtà. “La realtà di molte famiglie è quella che abbiamo raccontato, le storie di violenza sono all’ordine del giorno, la storia di Lia e Dora, della loro autodeterminazione, della loro identità ci dice molto su che cosa è oggi la famiglia”.
Lia è personaggio tanto attraente quanto respingente: quale percezione ha avuto nell’interpretare questo ruolo?
Lia è una donna che fa tanta tenerezza ma allo stesso tempo è una madre disfunzionale. Alla fine non la giudichi ma riconosci che non è una persona equilibrata. Questa è la cifra della sua storia. Lia è una donna che per liberarsi dalla violenza del marito ha tentato di ucciderlo e per questo non ha più la custodia dei due figli piccoli. E se ne fa anche una ragione poi, del perché il tribunale non glieli vuole restituire. Anzi, crede che alla fine sia meglio così, che i gemelli che non può riavere con sé staranno meglio altrove. Ci ho visto anche il paradosso della giustizia: è facile pensare che qualcosa non va se una donna viene picchiata e vessata per anni dal marito e poi la colpevole è lei.
La figlia più grande infatti, Dora (Livia Antonelli), le risponde dicendo che nonostante tutto, nonostante la vita migliore che attende i gemelli, loro erano una famiglia.
In nessun caso la violenza va osannata. Forse però il senso dell’”anima in pace” di Lia è proprio qui. “La nuova famiglia darà a questi figli tutto quello che noi gli possiamo dare”, dice Lia. Una famiglia è fatta di affetto ma se poi non sei un genitore in grado di mantenere i tuoi figli, di dargli da mangiare, da vestire, di portarli a scuola, di fare il loro bene, non puoi tenerli con te.
In questa conversazione finale tra madre e figlia Lia dice anche che “non ci è stato dato un libretto di istruzioni per vivere”.
Sì, è una battuta quasi comica ma fa tanto riflettere. Nessuno sa come fare, non sappiamo come educare i nostri figli e il problema principale è proprio la gestione delle emozioni. Se non siamo in grado da adulti di gestire le nostre emozioni, come facciamo a insegnarle ai nostri figli? Spesso non abbiamo ricevuto un’educazione sentimentale e quindi non possiamo neanche trasmetterla. Quando si parla di femminicidi, si chiede come è possibile che questi figli si trasformino in “mostri”? Come è possibile che una ragazza subisca la violenza di un innamorato che poi la uccide? Sono domande che mi fanno pensare a quello che è la famiglia oggi.
Forse è anche per questo che alla fine ci sentiamo empatici con Lia, perché nonostante la violenza il suo è un racconto di autodeterminazione?
Alla fine questa donna nel suo assurdo fa tenerezza. Disfunzionale, ubriaca, esagerata, ruba i soldi, è una donna bambina che vuole essere persino essere difesa dalla figlia grande. Una madre bambina, cui la figlia finisce per fare da madre.
Come sono state le reazioni del pubblico alle prime presentazioni del film?
Sempre molto belle, di empatia, di commozione anche perché ci sono delle scene molto belle, come il ballo della famiglia riunita, un simbolo del gioco e della follia, quasi una dimensione magica.
Il film è molto femminile, anche se dietro la macchina da presa c’è un uomo, nella trama gli uomini sono assenti, di contorno, inetti o violenti, mai del tutto figure positive.
Di sicuro il regista e sceneggiatore Ciro Formisano ha sviluppato questo sguardo al femminile sul film. Ma credo gli sia venuto naturale anche perchè ha raccontato la realtà. L’anima in pace è un film molto vero. E lo è a prescindere dalla realtà della periferia romana che pure è un racconto ingombrante, non rimane sullo sfondo. Lo è perché sono vere le emozioni che escono fuori da questo film. Che riesce a farti ridere, piangere, senza pietismi o esercizi di stile.
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