Chi è attratto dai Bassifondi? Nella Roma di Trash Secco nessuno, ma dal suo film in sala dal 15 giugno molto pubblico. Il più variegato. Ci sono gli amici del regista, al secolo Francesco Pividori, ci sono le comparse che hanno partecipato alla pellicola – e che devono sbrigarsi a finire di mangiare il tramezzino appena comprato prima di entrare -, ma anche gli spettatori abituali del Cinema Troisi di Trastevere, monosala in cui l’opera viene proiettata in anteprima dopo il passaggio lo scorso anno nella Festa del Cinema di Roma.
Volti giovani, tra chi un domani vorrebbe fare a sua volta cinema e chi prova invece a fuggire dalle proposte mainstream del mercato. Non preoccupatevi però, che nella programmazione del Troisi non mancano i Disney Pixar come Elemental o Polite Society distribuito da Universal.
Anche autori francesi fanno capolino silenziosamente nella sala, amici dell’associazione Piccolo America come Mathieu Kassovitz, mimetizzato tra dilatatori agli orecchi, cappellini sportivi e studenti accademici, lui che degli invisibili aveva fatto un ritratto potentissimo nel cult L’odio. Correva l’anno 1995, 28 anni fa.
“Voglio supportare le opere prime. Vado a quante più première possibili. E che non siano di film che posso trovare ovunque” mi rispondono due ragazzi seduti al bancone dell’area ristoro, mentre attendono la proiezione prevista per le 20.30. C’è invece chi Trash Secco lo segue per i suoi lavori artistici, stipati nel suo studio nel quartiere di Centocelle: “Conosciamo il regista come artista, vogliamo vedere cosa ha saputo fare sul grande schermo. Le aspettative sono alte, perché sappiamo che talento sia. È davvero bravo, chissà cosa avrà combinato”.
Madri, studenti, registi
Qualcuno ritorna anche dopo il passaggio alla manifestazione romana, come farebbe qualsiasi mamma orgogliosa dei figli impegnati in un’impresa artistica. “Bassifondi è un film un po’ sopra le righe, quasi una favola – commenta la madre del compositore della colonna sonora originale, Giacomo Falciani, parlando del film e di Trash Secco – Alcune cose mi sono piaciute, altre meno, altre ancora sono estremamente poetiche. È un racconto pasoliniano, ma è così che è Francesco. È sicuramente un film da vedere. Spero abbia successo”.
Per questo la signora ha convinto la sua amica a seguirla: “Senz’altro c’è da lodare l’originalità dell’argomento. Noi possiamo risultare una categoria di benpensanti, ma è bene osservare come all’esterno esistano simili problematiche”.
Se da una parte è l’inaspettato a incuriosire, dall’altro è il divismo dei fratelli D’Innocenzo, sceneggiatori del film, a fare da catalizzatore dell’attenzione di molti. Ospiti fissi del Cinema America, gli autori sono di ritorno dalla chiacchierata su Hereditary insieme al regista horror Ari Aster: “Siamo fan dei D’Innocenzo” confessa un gruppo di ragazzi, tra cui un aficionado del Troisi, reduce dalla rassegna della mezzanotte di marzo sul maestro dell’orrore Mario Bava.
Gli fanno eco tre studenti di cinema, aspiranti critici e sceneggiatori, che pur avendo seguito corsi alla Officina Pasolini, Laboratorio di Alta Formazione artistica del teatro, della canzone e del multimediale della Regione Lazio, ne ammirano “lo sguardo fuori dal comune, le storie che fanno nascere completamente da zero, il non aver mai frequentato alcuna scuola di cinema. La loro passione, senza freni, che li rende al momento unici nell’attuale panorama italiano”.
La realtà dei Bassifondi di Trash Secco
È evidente questo della realtà di Trash Secco, dei D’Innocenzo e del luogo che ne ospita l’anteprima: la fame del pubblico di confrontarsi con ciò che, solitamente, non possiamo o non vogliamo vedere.
Neanche ammettere, forse. “Non so come sarà il film – ragiona un altro ex studente di regia, stavolta dell’accademia Renoir -, ma sono attratto da tematiche sociali. Sono tre anni che abito a Roma e ho notato l’umanità della gente e dei senzatetto che vivono ai margini del Tevere, voglio sapere qual è il rapporto tra loro e chi la città la abita”.
Così si spegne la luce, la sala diventa sporca e ostile come i sottopassaggi capitolini, dal cui buio non si può scappare. Come la prigionia a cui sono costretti i protagonisti di Bassifondi, ancorati ai ponti della Città Eterna, quelli che potremmo trovare appena all’uscita del cinema e i quali, da adesso in poi, non potremmo che guardare con occhi nuovi.
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