Laila Al Habash è in piedi sul piccolo palco della sala conferenze del Giffoni Film Festival. Al suo fianco Carolina Sala, Rocco Fasano e Tiziano Russo, rispettivamente i protagonisti e il regista di Noi anni luce, in sala dal 27 luglio. È il momento dei saluti e delle foto di rito. Dalla platea si alza una ragazza sottobraccio a suo padre che tiene tra la mani un vinile di Mystic Hotel, il suo primo album pubblicato nel 2021 con Undamento e prodotto da Niccolò Contessa e Stabber.
“È bellissimo. Solo il fatto ce una persona si prenda del tempo per venire in questo posto perché ci sono io mi riempie di gioia” racconta la cantautrice e attrice a THR Roma. “Va oltre le mie aspettative. Non lo do mai per scontato”. Classe 1998, romana di origini palestinesi, Al Habash sta vivendo un anno di grandi esordi, tra quello di attrice e quello di artista chiamata ad aprire il concerto dei Coldplay al Maradona di Napoli lo scorso 21 giugno e di Lana Del Rey a La Prima Estate Festival a Lido di Camaiore i 2 luglio. Con un obiettivo: finire il nuovo disco che uscirà “il prossimo anno”.
Da cantautrice, tra videoclip e promozione, è abituata a a stare davanti la macchina da presa. Ma da attrice si è trovata a vivere un’esperienza diversa?
Sì, è molto differente e mi è piaciuto tanto. Non amo molto la routine. Quando ho avuto l’occasione di provare il cinema ho detto subito di sì. Fare l’attrice è un mestiere molto diverso da quello della cantante. Ma la musica e il cinema sono due ambienti comunicanti. Nei film ci sono le colonne sonore e già solo la parola “colonna” fa capire quanto sia importante la musica all’interno di un racconto cinematografico.
Com’è arrivata sul set di Noi anni luce?
Mi hanno chiamata loro. È un ruolo che mi è cascato addosso. Anna Pennella, la casting director, insieme a Tiziano Russo, il regista, hanno voluto me. Il primo incontro è stato molto divertente. Mi spiegavano il personaggio ma io continuavo a dire: “Siete proprio sicuri? Io?” (ride, ndr). È stato proprio un bell’esordio.
Gli ultimi dodici mesi sono stati ricchissimi di tante prime volte.
Mi ero presa un anno quasi di contemplazione e solitudine perché dovevo finire il disco. E invece poi sono arrivate tutte queste cose. Di Lana Del Rey me l’hanno detto il venerdì per la domenica. È stato molto interessante ma anche molto divertente. Per i Coldplay me l’avevano fatto sapere con anticipo, ma non ci credevo. Sapere che il loro team ha scelto me tra tante persone più famose mi ha dato fiducia e coraggio. L’ho presa come un’opportunità, una di quelle da una volta nella vita. Per un’artista non c’è niente di più grande di suonare in uno stadio. Farlo così, dalla porta d’ingresso, è stato un regalo. Avevo zero aspettative per quest’anno. E invece mi sto proprio divertendo.
Esibirsi davanti a tutte quelle persone come l’ha fatta sentire?
Il palco non mi spaventa. Ero molto preparata. Ho fatto tante date. Quest’anno sono stata in tour in Brasile e in Germania. Ero allenata. È la cosa migliore per le persone emotive come me. È l’unica arma che hai: essere preparato. Volevo andare su quel palco. Quando sono arrivata lì non sono stata sopraffatta. Ero pronta, non vedevo l’ora. Dopo il primo pezzo è passata un po’ la tachicardia ed è andata liscia (ride, ndr).
È stata il volto della playlist Equal di Spotify, una campagna dedicata a promuovere la parità di genere nell’industria musicale. Ma ha sentito o sente un pregiudizio nei suoi confronti in quanto artista donna?
Certo. È un tema tangibile in tutti gli ambienti la discriminazione o avere dei bias cognitivi nei confronti delle donne. Ma nella musica ancor di più, perché storicamente è fatta da uomini al 90%. Ci sono delle artiste incredibili, ma siamo sinceri: quando pensiamo alla musica ci immaginiamo probabilmente un palco con degli uomini. È molto difficile essere una donna in questo ambiente. Le iniziative come Equal sono un piccolo passo verso la sensibilizzazione. Già il fatto che ne stiamo parlando è un progresso. Ma vanno prima di tutto fatti al di fuori della musica. Dobbiamo migliorare come società riguardo alla concezione delle donne nel mondo del lavoro.
In che modo?
C’è sempre stato il pensiero che se una donna è arrivata ad un certo livello chissà come ci è riuscita e grazie a chi. Invece no. Noi musiciste ci siamo, siamo tante, siamo brave e se andiamo avanti è perché ce lo meritiamo. Queste domande non ce le facciamo se ci sono degli uomini di mezzo. Questa è la vera discriminante. Solo le donne vengono messe in dubbio. Gli uomini no. E questa cosa mi fa molto arrabbiare.
Nata e cresciuta musicalmente a Roma. Eppure, rispetto ad altri colleghi, le sue canzoni sembrano voler andare oltre i confini della città.
Non ho l’ambizione di appartenere ad una scena geografica particolare anche se ascolto tantissimi artisti che ne fanno parte. Anche perché sono di Roma ma sono nata e cresciuta in provincia da un padre palestinese e una madre italiana. Sono un mix di cose. È restrittivo dire che appartengo alla scena romana.
In Soffice canta “Io sono a mio agio nel calore, nella gentilezza e nell’amore”. Crede che dovremmo provare ad esserlo un po’ di più tutti?
Sono fortunata. Chi mi sta intorno è soffice. Li ho scelti bene (ride, ndr). Per quanto riguarda me, spero di rimanerci meno male per le cose della vita. Corazzarmi un po’ di più. Ma il fatto che si parli tanto di empatia in questi tempi scatena delle reazioni. È un bene.
Un’ultima cosa: ma è vero che Sbronza l’ha scritta di notte mentre messaggiava su Whatsapp con Coez?
Come lo sa? (ride, ndr). In parte è vero. Ci siamo incontrati più volte in studio per finalizzarla. Però sì, l’idea è nata in tarda notte sul telefono.
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