Con la cultura non si mangia. No non lo ha detto Claudia Pandolfi.
Lo disse il ministro Tremonti, anche se da anni lo smentisce, ma lo pensano in tanti. Persino l’illuminato Barack Obama, faro della sinistra moderna, si lasciò sfuggire qualche anno dopo, di fronte ai giovani del Wisconsin (mica i nazisti dell’Illinois), il consiglio di cercare settori più redditizi di quelli a cui avrebbero potuto accedere “con una laurea in storia dell’arte”.
Eppure diversi studi indipendenti e autorevoli dicono, senza tema di smentita, che un euro pubblico speso in cultura ne porta, allo stato, due. Quando va male, perché la media è uno a sette e si è arrivati nei momenti migliori anche a uno a trenta. Insomma, puntare sulla cultura è più intelligente (e sicuro) che giocare in borsa. Gli artisti sono tra i più precari, anche per vocazione, va detto, ma, cosa ancora più insopportabile, tra i meno tutelati, esposti più di altri alle crisi economiche, alla scarsa serietà dei committenti ma anche a una facilità di accesso alla professione che molto spesso penalizza i più preparati e titolati.
Ed è questo che vogliamo ricordare in questo primo maggio, con l’esempio degli “uno su mille” che ce l’hanno fatta (e purtroppo la proporzione è ancora più punitiva). L’artista troppo spesso ha studiato e lavora sulla sua arte per la maggior parte del tempo della sua giornata, ma il suo reddito, quando è mediamente fortunato, è da secondo lavoro e molto più spesso confina con la paghetta o l’arrotondamento occasionale.
I mille provini finiti male, l’esercito di turnisti che nella musica tengono su l’industria e che rasentano l’indigenza, i comici che battono la penisola tra villaggi vacanze e ingaggi incerti in saghe e affini, la costante incertezza e posticipazione dei pagamenti costruiscono un esercito di uomini e donne che credono nella bellezza e la praticano, così da rendere migliore il nostro mondo, ma quest’ultimo non li ricambia mai.
Ecco perché oggi riproponiamo alcune interviste a due registi di successo e ad alcuni de I David di The Hollywood Reporter Roma nella forma di un appello ai e dei lavoratori, mostrando le storie di chi, magari venendo dalla provincia e vivendo quel precariato, ce l’ha fatta.
Per una volta non incorniciando i loro nomi e cognomi in titoli sfavillanti di giornali, ma rendendo loro onore con l’essenzialitá di ciò che sono e fanno. Con il cognome prima del nome, come nelle buste paga, negli albi professionali, negli ordini di servizio e nella lista dei lavoratori di una qualunque azienda.
Claudia Pandolfi: l’attrice
“Da piccola ero molto socievole, diversa da come sono ora. Non avevo tutto questo peso addosso, avevo responsabilità diverse”. Così Claudia Pandolfi racconta i suoi esordi, una vita sotto ai riflettori fin da piccola, un “peso” avvertito da quando, come racconta lei stessa alla direttrice di THR Roma Concita De Gregorio, durante una selezione per Miss Italia si accorse che le ragazze la prendevano in giro.
Adesso, alla soglia dei cinquant’anni, è cambiata: “Gestisco l’inquietudine con allegria. Non mi prendo sul serio. Se la giornata è storta cerco di raddrizzarla, altrimenti lascio passare il tempo”.
Paolo Virzì: da Ovosodo a Siccità
C’è stato un momento nella sua vita in cui diventare attrice le sembrava un’utopia. Prima di iniziare a studiare recitazione aveva intrapreso la carriera di modella: “Non volevo fare la modella, studiavo per diventare una ginnasta. Ho fallito a 17 anni, volevo diventare insegnante di ginnastica artistica. Avere a che fare con i bambini e incoraggiarli mi sembrava una cosa bella e utile”.
Lascia la scuola, poi recupera quattro anni in uno. Cruciale l’incontro con Paolo Virzì: “Con Paolo (Virzì, ndr) c’è stata fin subito una grande affinità, che va al di là del lavoro. Ha sentito qualcosa di diverso in me, ha osato. Per Ovosodo ho imparato a parlare livornese”.
L’attrice ha raccontato anche l’esperienza sul set di Siccità, film in cui recita nel ruolo di Sara della Rocca. “In Siccità interpreto una donna molto diversa da me. Virzì ha scommesso ancora una volta. Il mio personaggio è molto trattenuto nelle emozioni. Io invece ci tengo a esprimere i miei sentimenti”.
The Bad Guy
Con la serie tv Prime Video The Bad Guy ha riscosso molto successo. “Sono contenta, è un progetto molto curato, dall’inizio alla fine. Amore, coraggio, rispetto, creatività e due registi meravigliosi che sono stati incredibili”, dice di Giancarlo Fontana e Giuseppe G. Stasi.
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