Camicia di lino blu scura, occhiali dalla montatura leggera e un sorriso accogliente. Mario Martone è tra i protagonisti del Giffoni Film Festival dove, nel corso di un workshop, si è confrontato con ragazze e ragazzi che sognano di lavorare nel cinema. Dopo il successo ottenuto dal suo Nostalgia, titolo scelto per rappresentare l’Italia agli Oscar 2023 e il documentario Lassù qualcuno mi ama dedicato a Massimo Troisi e presentato a Berlino 73, il regista è ora a lavoro su un altro progetto scritto a quattro mani con Ippolita Di Majo e dedicato a Goliarda Sapienza.
Tra i professionisti del settore cinematografico firmatari di una lettera a sostegno del Centro Sperimentale di Cinematografia, Martone ha raccontato a THR Roma quando l’emendamento al DL Giubileo lo preoccupi e dell’importanza, da parte di chi governa, di imparare “ad ascoltare molto attentamente quello che hanno da dire le persone che fanno cinema”.
È tra i firmatari dell’appello a sostegno del Centro sperimentale di cinematografia. È in contatto con i suoi colleghi per monitorare la situazione?
Sì. In questo momento in tam-tam è fortissimo. Siamo rimasti tutti quanti molto sorpresi. E meno male che c’è chi è stato vigile e se n’è accorto. E siamo anche preoccupati. Anche nello scegliere legittimamente nuovi vertici alle istituzioni – ma magari quando è il momento e non prima, grazie – questa scelta dovrebbe far parte di un dialogo con il mondo. Che cos’è l’imposizione? È mai possibile che non si consideri la storia del Centro sperimentale di cinematografia? Quello che ha significato in Italia? I registi che sono venuti fuori da lì? Come si fa a governare senza dialogare? Chiedere fortemente un invito ad ascoltare molto attentamente quello che hanno da dire le persone che fanno cinema e che sanno parecchie cose in più di quelli che non lo fanno.
Se l’insegnamento non rimane indipendente, cosa può produrre?
L’insegnamento non può non essere indipendente. Del resto basterebbe entrare nella storia specifica dei docenti di cinema del CSC. Io non l’ho fatto, ho cominciato da autodidatta molto giovane. Ma naturalmente lavoro con tantissimi collaboratori – attori, attrici e il mio montatore Jacopo Quadri – che vengono dal Centro sperimentale. Ho conosciuto tanti dei docenti e ho capito quanto sono stati diversi l’uno dall’altro, quanta ricchezza e diversità c’è sempre stata. Bisogna capire che si tratta di un organismo estremamente ricco e variegato. Se non è indipendente l’insegnamento, è la sua fine. Ed è anche la fine del cinema.
Con lo sciopero negli Usa, quest’anno Venezia sarà ricca di titoli europei. Crede che, nonostante il momento di crisi, questa possa essere anche un’occasione per un cinema che spesso rimane all’ombra di Hollywood?
In generale, quando le persone si danno una svegliata è sempre meglio. Essere vigili su quello che succede. Capire che il mondo si trasforma, e anche molto velocemente. O si accetta quello che accade e poi dopo si sta zitti. Oppure si diventa attori di un cambiamento. Ben vengano tutti i movimenti di attenzione a quello che accade e di protesta se è il caso.
Quast’anno ha portato al Piccolo Teatro Strehler Romeo e Giulietta. Ha lavorato con attori giovani come Francesco Gheghi e Anita Serafini. Com’è lavorare lavorare con una materia del genere?
Per me è molto importante. Ho iniziato che ero giovanissimo e ho avuto la fortuna di lavorare con persone più grandi di me che non mi trattavano da ragazzino ma alla pari. E questo per me è stato fondamentale. Oggi che sono grande io mi piace restituire quello che ho avuto. Lavorare con persone più giovani da pari a pari. Il David di Donatello a Francesco Di Leva è stata una delle mie più grandi gioie umane oltre che professionali. Romeo e Giulietta è stato l’incontro con la generazione nata dopo il 2000 che mi interessa moltissimo. Sono le persone nuove nelle cui mani c’è il mondo adesso. Per fortuna. Vediamo cosa ne faranno. Io sono molto curioso.
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