“Mi fanno male i capelli” è la battuta più citata e più travisata del cinema italiano. La pronuncia Monica Vitti in Deserto rosso di Michelangelo Antonioni, in una scena in cui racconta il proprio malessere a Richard Harris. La battuta completa è “mi fanno male i capelli, gli occhi, la bocca, la gola… vedi che sto tremando?”, ed è una scena straziante in cui una donna cerca di rendere a parole il dolore di qualcosa che anni dopo avremmo chiamato “depressione”. Per anni Vitti e Antonioni sono stati presi in giro per questa battuta, e oggi la regista Roberta Torre la riprende in modo programmatico, per dare il titolo a un film in cui si parla di un altro malessere, diverso ma altrettanto drammatico.
Aggrapparsi alla vita
In Mi fanno male i capelli Alba Rohrwacher è Monica, una donna che sta perdendo la memoria (come per altro è davvero successo alla vera Monica Vitti nei suoi ultimi anni di vita). Filippo Timi è Edoardo, il marito che l’adora e che per star vicino a lei, in una situazione “protetta”, si è anche messo nei guai con gli strozzini, abbandonando l’appartamento di Roma e rifugiandosi in una casetta isolata al mare.
Per comunicare con Monica, Edoardo le mostra spesso foto e filmini del loro passato felice, raccolte su dei dvd; un giorno Monica si sbaglia e infila nel lettore il dvd di La notte, uno dei film della cosiddetta “trilogia dell’incomunicabilità” (gli altri sono L’avventura e L’eclisse). Vedendo Monica Vitti e Marcello Mastroianni sullo schermo, la Monica del film va ulteriormente in confusione e chiede a Edoardo: “Ma qui dove eravamo? Quando è stato girato?”. Da quel momento in poi la sovrapposizione delle due Moniche, quella di Antonioni e quella di Torre, diventa una sorta di “áncora” grazie alla quale i due coniugi si aggrappano alla vita.
Il triplo livello del film
C’è dunque un triplo livello, in Mi fanno male i capelli. Il primo è la descrizione della malattia, per la quale Roberta Torre racconta di essere rimasta affascinata da un’intervista in cui John Lydon (l’ex Johnny Rotten dei Sex Pistols) parlava dell’Alzheimer che aveva colpito sua moglie. “A me interessa solo stare con lei. Se questo vuol dire chiuderci in casa e non vedere più nessuno, mi sta bene, anzi, mi rende felice. Io vivo per guardarla negli occhi”.
È quello che ha fatto Roberto Russo, il marito di Monica Vitti, per anni: e in effetti Mi fanno male i capelli è fondamentalmente la storia di un uomo che, di fronte alla malattia della moglie, non fugge ma addirittura la “cavalca”, ci entra dentro, la vive in simbiosi per poter continuare a stare con lei. Il secondo livello è appunto l’identificazione del personaggio femminile con la diva, che è molto insistita ed eccede nelle citazioni (il continuo passaggio dalle immagini di Antonioni e di altri film con la Vitti, e il trucco che tenta di trasformare Alba Rohrwacher in una sorta di “sosia” potevano forse essere usati con più parsimonia).
Ma il terzo livello nobilita il film: il cinema nel cinema diventa la memoria di due individui e, di riflesso, di una comunità, qualcosa con cui ci si può identificare, in ultima analisi uno strumento di salvezza. Per chi il cinema lo ama davvero, come noi, è un messaggio di speranza: in Casablanca si diceva “avremo sempre Parigi”, noi potremmo rispondere che “avremo sempre il cinema”.
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