Ambra Angiolini e Anna Ferzetti sorridono e si guardano complici, in una piccola chiesa. La prima è in piedi, dietro al leggìo, la seconda è seduta sui banchi. Al centro della sala, qualcuno giace per sempre nel suo cofanetto di legno. In prima fila c’è Massimo Poggio, sprofondato in un abito scuro. Tutti quanti, nell’asfissiante penombra della chiesa, si muovono a lutto. “Silenzio!”, tuona l’aiuto regista. Sul set di Best Friend Forever, la commedia “un po’ nera e politicamente scorretta”, come la descrivono i due registi Andrea Fazzini e Alessandro Pavanelli, si gira la scena del funerale. Uno dei due. Non c’è male, per una commedia.
“Non amiamo le commedie romantiche. Ma ci piaceva l’idea di far iniziare il film come se lo fosse, con uomo conteso tra due donne”, dicono i due dietro ai monitor della regia. I tre attori, nell’ordine Anna, Virginia e Diego, formano un insolito triangolo amoroso. “Piano piano diventa una black comedy”, specificano. Dopo un passato da autori e sceneggiatori, i due registi sono alla loro prima esperienza. Angiolini e Ferzetti sono felici di aver contribuito. “Mi piace assumermi la responsabilità di dare una mano a chi inizia, a chi fa qualcosa rischiando. Qualcosa magari imprecisa nella forma, ma perfetta nel contenuto”, dice la prima. “Con le opere prime si scoprono nuovi sguardi”, concorda la seconda.
Sono sintonizzate. Nel film interpretano due migliori amiche “che si completano”, dice Ferzetti, “da quando sono piccole. Hanno coltivato complicità e giocosa competizione”. Lavorare in coppia le piace, “farei un film con Anna ogni anno”, dice Angiolini. Sono già state migliori amiche nel 2017, nel film Terapia di coppia per amanti di Alessio Maria Federici, e sono state una coppia innamorata nella serie Le fate ignoranti di Ferzan Özpetek. In Best Friend Forever si litigano un uomo, che presto passa in secondo piano. “Conta di più prevaricarsi a vicenda”, spiega il conteso Massimo Poggio. “L’uomo è messo lì per essere smontato pezzo per pezzo, non per rappresentare l’obiettivo di realizzazione delle due donne”.
Ambra Angiolini e Anna Ferzetti
Dentro la chiesa le porte sono state aperte per creare una leggera corrente d’aria e per giocare con le ombre alla ricerca della luce giusta. Alcune comparse sono in fila a destra dell’altare. Un cenno e si muovono per andare a stringere mani, a fare le condoglianze. “Il pavimento scricchiola troppo”, avverte il fonico. “Dovete avere un passo felpato, cinematografico”, comanda alle comparse. “Il sopralluogo andava fatto meglio”, sussurra qualcuno. Il direttore della fotografia arriva in soccorso con una bottiglietta d’acqua e la svuota sulle doghe di legno: “Problema risolto”. Si va avanti. “Azione”, leggìo, parole in ricordo di chi non c’è più, sguardi tra Anna (Ferzetti) e Virginia (Angiolini), “condoglianze”, un abbraccio stretto.
“Ogni tanto queste scene un po’ amare nella commedia ci stanno proprio bene, danno vita anche alle parti più comiche”, dice Ferzetti. E in Best Friend Forever la percentuale di amaro è piuttosto alta. “Sembra un film d’amore ma non lo è. Il mio personaggio è una donna cinica da morire”. È stata proprio questa scorrettezza a colpirla quando ha letto il copione. “Mi stuzzicava l’idea di due personaggi sporchi, scorretti, dall’inizio alla fine, che dicono quello che pensano, fanno quello che pensano, massacrando tutto e tutti”. Donne senza stereotipi: “Le abbiamo raccontate senza orpelli, con le nostre reali imperfezioni”.
L’attenzione alla rappresentazione dell’universo femminile accomuna le due attrici anche fuori dal set. “Siamo due che si sono trovate nella vita”, dice Angiolini, “siamo, come tutte, attive in questa lotta per affermare noi stesse. Coalizzarsi è una carta vincente, così come lo è accettare ruoli femminili che abbiano la giusta profondità. E lo dico nonostante questo film sia scritto e diretto da due maschi”. Best Friend Forever “è uno di quei film che non ha l’ambizione di piacere a tutti”, continua lei. “Rispecchia questa fase della mia vita: basta voler mettere sempre tutti d’accordo, crea frustrazione”.
La decostruzione del maschio alfa
La bara è stata trasportata nel piccolo cortile davanti all’entrata principale della chiesa. “Dobbiamo riportarla dentro?” chiede un figurante nei panni dell’operatore funebre. Giacca, cravatta e occhiali specchiati. Il compagno risponde: “Non ho capito se era buona o se ne facciamo un’altra, rientriamo”. Ripercorrono la navata centrale, facendo la gincana fra operatori di macchina e truccatrici con marsupi pieni di ciprie e pennelli. Stretto nel completo, Massimo Poggio, in piedi, tamponato in viso con un fazzoletto, si fa sistemare il trucco.
“Il mio personaggio viene presentato come un uomo di successo, con tutte le certezze al posto giusto, un luogo comune vivente”, dice. “Lo svolgimento della storia va di pari passo col dissotterramento dei suoi punti fermi”. Se qualcuno si riconosce in questa figura, avvisa, “ha qualche problema. Non è proprio un bell’esempio, a partire dalla strana e divertente relazione con la madre ormai defunta”. Imparerà qualcosa, forse, dal dover rimanere in secondo piano: “Si accorgerà che lui non conta poi così tanto nella competizione tra le due amiche”.
Un’operazione che per i registi è al cuore della satira del film. “L’abbiamo chiamata ‘la destrutturazione del maschio alfa’”, dicono. Della controparte femminile, invece, Fazzini e Pavanelli hanno voluto raccontare “due personaggi negativi, senza romanticismo”. Le parti comiche “sono di solito affidate agli uomini, e anche la cattiveria è spesso raccontata al maschile. Ma non è la realtà. Ci sono tante attrici perfette in questi ruoli, come Ferzetti e Angiolini”.
In Italia, ammettono, “a costo di sembrare mitomani”, siamo abituati “a vedere delle commedie che iniziano in modo divertente ma poi si stemperano nel romanticismo”. Loro invece vogliono divertire dall’inizio alla fine. Si sono ispirati a tre film, due americani e uno italiano. “Il primo è Le amiche della sposa, per la relazione tra le due amiche, il secondo è La guerra dei Roses, per lo svolgimento inaspettato, il terzo è Amici miei, perché si può ridere di tutto. Anche della morte”.
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