Una donna incinta lapidata, il figlio strappato dal ventre. Un maialino urlante abbattuto da un fucile. Un’intera popolazione arsa viva. Una giovane impalata, trafitta con un bastone dai genitali alla bocca. Sono alcune delle sequenze più famigerate – in un primo momento tagliate, dopo il passaggio in censura – di Cannibal Holocaust, film del regista Ruggero Deodato, arrivato in sala nel 1980 tagliatissimo eppur vietato ai minori di diciotto anni (al cinema, “integro”, ci arriverà solo quattro anni dopo: esattamente quarant’anni fa).
Una scena in particolare, quella della ragazza impalata, ha fatto la storia del cinema: ripresa, citata o “omaggiata” da più di un cineasta, suscitò la curiosità di Quentin Tarantino, che nel 2004 – alla Mostra di Venezia, durante la rassegna Italian Kings of the Bs – andò a chiedere al regista come l’avesse realizzata.
Eppure il successo di Cannibal Holocaust non arrivò subito. Né con la versione edulcorata né con quella integrale del 1984, che tanto aveva fatto penare produzione e distribuzione del film (ma non il regista, che aveva deciso di lasciare in Italia le beghe legali e di continuare a promuovere il film in America).
Tra mondo movies e found footage, dove ci scappa la denuncia
Catalogato tra i video “nasty”, opere bandite per eccesso di violenza, e primo autentico found footage della settima arte (la pratica di assemblare video e filmati d’archivio di formati diversi), l’horror anni Ottanta di Ruggero Deodato non è un horror e lo stesso autore non desiderava che venisse definito tale.
Il riferimento principale del film è ai cosiddetti mondo movies, il sottogenere che unisce documentario ed exploitation (l’esibizione esplicita, anche in chiave politica, di sesso e violenza). Cannibal Holocaust, scritto da Gianfranco Clerici, è una contraddizione in termini: coloro che subiscono “l’olocausto” sono cannibali, ovvero le vittime, le quali a propria volta – nutrendosi di carne umana – sono allo stesso tempo anche predatori. Si tratta di una critica, nemmeno tanto velata, alla società occidentale e alla sua presunta civilizzazione, capace di sfruttare le popolazioni indigene e di “cannibalizzarle” attraverso i mass media (i reporter, nel film, sono pronti a trasformarsi in vere bestie). Tra stupri, paletti, teste sgozzate e corpi maciullati, è incredibile pensare che Deodato fu aiuto regia di Roberto Rossellini per Il generale Della Rovere e Viva l’Italia, oltre che ditero alla macchina da presa di più serene soap e fiction Rai come Incantesimi e Padre Speranza.
Ma da chi partì la condanna nei confronti della pellicola?
Nonostante al film venne rinfacciata la brutalità perpetrata sugli umani, fu per una vecchia legge istituita durante il fascismo che Cannibal Holocaust venne citato in giudizio, perché colpevole di “tortura sulle cavie” – la stessa legge del 1934 vietò la corrida – e ritenuta contraria al buon costume e alla morale. Il 12 marzo 1980 il film venne sequestrato in tutto il paese e il 4 giugno dello stesso anno Ruggero Deodato, Gianfranco Clerici e i produttori Franco Palaggi e Franco Di Nunzio vennero condannati a quattro mesi di reclusione e al pagamento di 400.000 lire di multa, oltre che ad un mese di arresto, con la condizionale. La United Artist, la produzione del film, decise semplicemente di dileguarsi.
Ciò che resta di Cannibal Holocaust
Anni dopo sarebbe stato lo stesso Ruggero Deodato a indire una causa contro un’altra opera, palesemente ispirata a Cannibal Holocaust: l’horror The Blair Watch Project, che sfruttò – proprio come il suo film – la modalità del mockumentary attraverso i codici del found footage. Il film di Daniel Myrick ed Eduardo Sánchez fece scuola a tutto il cinema indipendente, dell’orrore e non solo, e nonincassò nessuna denuncia – Deodato non portò la minaccia a conclusione – portando a casa 248,6 milioni di incasso.
Se Cannibal Holocaust sia o meno uno snuff movie (se, cioè, le torture nel film siano reali) non se lo domanda ragionevolmente più nessuno. Ma a scioccare ancora oggi lo spettatore sono i maltrattamenti, quelli sì reali, sugli animali: la sopravvivenza degli attori protagonisti (leggenda vuole che avessero firmato un accordo per tenerisi “fuori dal giro” per qualche anno, il tempo di alimentare teorie ssulla loro scomparsa) è assicurata da tempo.
E se pure il grado di violenza nella serialità e nel cinema è aumentato (quante ne avrebbe da dire Nanni Moretti), mai nessuno è arrivato al livello di Deodato: lo sfregio al muso di una scimmia, il carapace dilaniato di una tartaruga, dettagli traumatici, e purtroppo realistici, di Cannibal Holocaust. “Il topo lo mangiavano gli indios. Il maialino è stata una necessità – raccontò il regista in un’intervista a Vice nel 2012 – Un giorno la sarta mi fa: ‘Ruggè, stiamo sempre a mangià ‘sto pesce dorado, che palle! Ce sta il maialino del villaggio, perché non lo ammazzate che stasera ve lo faccio per cena che è ‘no spettacolo? […] La tartaruga: la nostra guida colombiana ci fa, ‘Guarda al villaggio hanno preso ‘sta tartaruga, che loro se la mangiano, ci fanno il brodo. La possiamo ammazzare noi che poi gliela diamo a loro'”. Insomma, altri tempi. Come dice lo stesso regista: “Era 31 anni fa. In mezzo alla giungla se pure te magnavi un cavallo faceva lo stesso”.
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