Alla seconda esperienza sul grande schermo, Roberto Lipari lancia So tutto di te, prima commedia da regista, sceneggiatore e protagonista, in cui analizza il mutare dei rapporti umani dopo l’avvento dell’intelligenza artificiale. Ad accompagnarlo nell’intento di sradicare i pregiudizi sulla sua terra – che sa essere “molto altro rispetto ai soliti cliché” – un cast di attori e di maestranze quasi tutte siciliane, tra cui Leo Gullotta, Sergio Friscia e Barbara Tabita.
Roberto è un ragazzo goffo e impacciato. Lavora come agente immobiliare e viene sempre confinato a posizioni di scarso rilievo. La sua vita sembra cambiare diametralmente quando scopre la possibilità di scovare le ricerche e gli algoritmi di tutte le persone che incontra. Ma riuscirà l’innovazione a farsi strada davvero in una storia ancora tanto contaminata dai costumi e dalle tradizioni?
So tutto di te esce il 25 luglio, in un momento storico delicato per i lavoratori del cinema. A Hollywood, sceneggiatori e attori stanno protestando anche per questo: chiedono di attuare dei piani che possano proteggere la creatività dall’intelligenza artificiale. Come si colloca il suo film in questa ondata storica e sociale?
Nel mio film la tecnologia è protagonista. Negli anni Ottanta o Novanta c’era bisogno dell’espediente magico per creare degli inneschi, ora c’è la tecnologia che può svolgere lo stesso lavoro. Abbiamo concesso ad un computer, ad un sistema o un software di avere delle informazioni che non avremmo rivelato neanche al nostro migliore amico. L’intelligenza artificiale è la conseguenza di questo: avendole fornito tutte queste informazioni, le viene data la capacità di connetterle insieme esattamente come farebbe un cervello.
Immagino che la sceneggiatura sia stata scritta ben prima dell’inizio dei picchetti e degli scioperi. L’avanzata della tecnologia la preoccupa anche a livello personale?
Il film nasce prima delle proteste, ma ciò che mi spaventa è sempre il silenzio. Nel momento in cui si smette di parlare di qualcosa, significa che stiamo accettando che il mondo vada così. Il fatto che ci sia una protesta mi fa ben sperare. Essendo io uno sceneggiatore, questa cosa ovviamente mi preoccupa, perché con l’avanzata di tutto ciò rischiamo di perdere le qualità dell’essere umano. Nel mio film parlo della possibilità di scelta. Quante cose scegliamo perché veramente le vogliamo e quante, invece, perché siamo stati bombardati dall’algoritmo?
La tecnologia può essere una minaccia?
La tecnologia è un elemento ambivalente: sa essere anche una minaccia. Sono dell’idea che anche scegliere le cose sbagliate sia un vantaggio, se l’alternativa è l’assenza di scelta. In questo periodo storico, le nostre scelte sono inevitabilmente condizionate dall’algoritmo: lasciamo che l’homepage di una piattaforma scelga per noi che film vedere, in un processo che non servirà a creare dell’arte, ma ci porterà solo tutti a fare e vedere le stesse cose.
Se So tutto di te fosse stato scritto dall’intelligenza artificiale, in cosa differirebbe?
Farebbe meno ridere. Sono convinto che la cosa più difficile del mondo sia scrivere qualcosa di comico: l’ironia è la più alta forma d’intelligenza che esiste. Nessun animale fa le battute: il più alto elemento dell’evoluzione è saper far ridere. Quando l’intelligenza artificiale riuscirà a costruire una battuta, lì arriverà il momento di preoccuparsi, ma la vedo dura.
Roberto è un uomo impacciato che, a partire dalla scoperta delle interazioni web che vengono registrate dall’algoritmo, diventa uno scalatore sociale. Come nasce il suo personaggio?
Sono uno che fa sempre brutte figure, si imbarazza; lui è una parte di me portata all’estremo. Mi interessava mostrare l’aspetto dopante della tecnologia: Roberto non è un genio, anzi, è l’ultimo degli ultimi, ma con questo potere in mano potrebbe sembrare un vero talento. È un personaggio fantozziano, solo che al mio Fantozzi ho dato una chance, l’ho voluto far vincere.
Il film analizza i rapporti umani e il modo in cui la tecnologia attuale può intaccarli. È possibile preservare la sfera emotiva da tutto ciò?
Si può assolutamente, anche se ne siamo bombardati. Siamo – come dico nel film – dei pupi, trainati da dei fili mossi da qualcuno. Bisogna avere il coraggio di tagliare questi fili, di agire in maniera autonoma. I sentimenti sono tutto nella vita.
Alla fine del film, Roberto dice “Tutto di una persona non puoi saperlo mai”. È necessario preservare aspetti privati in un’epoca sociale segnata dall’ostentazione?
Abbiamo trasformato la nostra vita in un Grande Fratello orwelliano: ci siamo piazzati delle telecamere addosso da soli. Ma è davvero utile questa cosa? I social alimentano il narcisismo, e hanno trasformato la nostra vita in un Truman Show. È come nei filmini dei matrimoni: vedi arrivare il cameraman e fai la faccia impostata, raddrizzi le spalle e fai un sorriso smagliante. Però fino a cinque secondi prima eri tutto gobbo e sudato. E quella è la verità; non di certo quella che appare nelle riprese.
Un’altra battuta del protagonista è: “Si può anche essere prevedibile, l’importante è che sia tu a scegliere”. È anche questa possibilità che ci distingue dall’intelligenza artificiale?
Sì. La cosa bella è che in quanto esseri umani possiamo scegliere anche di fare cose senza senso. Mio nonno si metteva seduto davanti al mare senza fare niente, e quando gli chiedevo “perché lo fai?”, lui mi rispondeva solo “perché mi va”. E questo l’intelligenza artificiale non lo potrà fare mai.
Il film è dedicato a loro, ai suoi nonni.
Esatto. Ho avuto anche la fortuna di riuscire a far vedere il film intero a mia nonna, che se ne è andata poco dopo. L’idea di mettere al centro del film una figura anziana venne fuori perché in piena pandemia un politico disse che gli anziani erano poco produttivi: volevo dimostrare che non è affatto così.
So tutto di te ruota attorno alla dicotomia rappresentata dal teatro dei pupi siciliani e dall’algoritmo. Esiste secondo lei un punto d’incontro in cui tradizione e innovazione riescano a convivere pacificamente?
La mia speranza è che grazie a questo film più gente decida di tornare nei teatri dei pupi. La tecnologia può essere davvero utile in questo: per riempire un teatro, per far tornare la gente al museo. Mi piace molto il contrasto tra due mondi completamente opposti: Roberto vive il sogno capitalista, mentre suo nonno è un mastro puparo che lavora solo per passione. Ho voluto mostrare la Sicilia senza bisogno di dover raccontare quegli stereotipi che non tollero.
In effetti, la pellicola si concentra sulla tradizione.
Dobbiamo cercare di pulire l’immagine della nostra regione. Io spesso utilizzo la coppola, anche in pubblico, perché voglio pulirne l’immagine e ricordare che non è affatto un capo d’abbigliamento da mafioso. Ci provo in tutto ciò che faccio: cerco di raccontare la storia, quella che amo, la parte più bella della Sicilia, quella che spero rimarrà nella storia.
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