Più forti di qualsiasi ironia maschilista, le registe/attrici italiane hanno fatto un’ottima figura alla Festa del Cinema di Roma. Cortellesi, Smutniak, Torre, Dante, Buy… chi più chi meno, i loro film hanno comunque convinto, e ogni battutina sulle attrici che diventano registe si ritorcerà contro chi l’ha fatta. La cosa non riguarda ovviamente Francesca Comencini, che è da tempo una delle nostre cineaste più importanti e che dà sempre il meglio di sé quando si muove sul sottile crinale che separa la finzione dal cinema del reale (espressione più congrua della vecchia, e intimidente, parola “documentario”). Pensate a quanto era bello Carlo Giuliani, ragazzo, il film più duro e al tempo stesso più emozionante sul G8 di Genova del 2001, assieme a Diaz di Daniele Vicari.
Tante facce nella memoria (oggi e domani nei cinema: da non perdere) non è un documentario, ma è un film che “documenta” qualcosa: uno spettacolo teatrale con lo stesso titolo, andato in scena anni fa al Teatro Argentina di Roma e in varie altre piazze, e che chi scrive conserva nella memoria come una delle esperienze teatrali più emozionanti della vita.
Lo spettacolo era semplicissimo, il film lo è altrettanto: sei donne sedute in scena, illuminate via via che prendono la parola. Parlano. Raccontano. Non c’è altro. Ma ciò che raccontano è terribile, e riporta alla luce uno degli episodi più atroci della Seconda guerra mondiale e dell’occupazione nazista a Roma: l’eccidio delle Fosse Ardeatine. Le attrici in scena sono Mia Benedetta, Bianca Nappi, Carlotta Natoli, Lunetta Savino, Simonetta Solder e Chiara Tomarelli. Interpretano tre partigiane – Lucia Ottobrini, Carla Capponi, Luisa Musu – e tre cittadine, parenti di uomini uccisi dai nazisti – Ada Pignotti, Vera Simoni, Gabriella Polli. Nulla è inventato: il testo viene integralmente dal libro di Alessandro Portelli L’ordine è già stato eseguito, uno dei capolavori della cosiddetta “storiografia orale”, basata non su testi e documenti ma sulle testimonianze, raccolte sul campo, di chi c’era.
Le sei donne si alternano nei loro racconti. Le partigiane ricordano la loro militanza nei Gap, la preparazione dell’attacco di via Rasella, i giorni terribili dal settembre ’43 al giugno ’44 in cui Roma fu vittima di una guerra feroce combattuta da nazisti e fascisti contro il popolo stesso della capitale.
Le altre donne ricordano i loro padri e/o mariti, l’angoscia di chi vide un parente portato via dai tedeschi senza sapere perché, e altri aspetti che la storiografia ufficiale ha spesso ignorato: l’attesa angosciosa di sapere che fine avessero fatto i loro uomini (in certi casi i fascisti ebbero il coraggio di presentarsi a casa di queste donne, per rassicurarle, per dir loro che gli uomini erano salvi, erano solo stati spediti a lavorare in Germania). Poi, molte settimane dopo la strage, la scoperta dei cadaveri nelle Fosse Ardeatine e il tragico, pietoso compito di riconoscerli a volte in base a un paio di occhiali, una scarpa, un documento, qualche altro oggetto: perché dopo tutto quel tempo i cadaveri ammucchiati erano diventati un unico, spaventoso ammasso di carne putrefatta.
Al di là della sempre sacrosanta memoria dell’eccidio, Tante facce nella memoria ha infatti due meriti. Il primo è proprio quello di raccontare il “dopo” dal punto di vista di chi scoprì lentamente la verità, perché i nazisti fecero di tutto per tenere nascosto l’accaduto. Il secondo, naturalmente, è l’aver assunto il punto di vista femminile, di tre partigiane valorose e spericolate quanto i loro compagni, e di tre donne del popolo che hanno avuto la vita distrutta dalla barbarie. Film assolutamente da vedere e da ascoltare, che la Rai (questa Rai?…) avrebbe il dovere civile di mandare in onda.
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