“Ho fatto un film sperando di salvare le anime delle persone polacche. In fondo siamo a un festival promosso dal Vaticano. Lo posso dire che volevo salvare delle anime, no?”. A chiederselo è Agnieszka Holland, nata a Varsavia settantaquattro anni fa. La regista e sceneggiatrice di Green Border – in Italia di prossima uscita col titolo Il confine verde – è a Roma per presentare la pellicola passata in anteprima all’80esima Mostra del Cinema di Venezia, per cui ha vinto il premio speciale della giuria. L’occasione è la masterclass col pubblico in cui riceverà anche il premio Fuoricampo assegnato dal Tertio Millennio Film Fest (e da Religion Today di Trento e Popoli e Religioni di Terni).
Acclamato in tutto il mondo, Green Border ha smosso le coscienze mostrando le atrocità che i migranti devono attraversare sulla linea di terra che divide Polonia e Bielorussa. L’opera non è stata selezionata per concorrere come miglior film internazionale ai prossimi Oscar, al suo posto The Peasants di DK e Hugh Welchman. Ma Holland era consapevole del destino della pellicola, lo ha ammesso lei stessa durante un Q&A al New York Film Festival: “Sono diventata la più grande minaccia per la sicurezza nazionale polacca”. Per altri, invece, è una supereroina. Dipende dai punti di vista.
Green Border è stato presentato in anteprima a Venezia 80. Da allora, con tutto ciò che è avvenuto, trova che la sua vita sia cambiata?
Abbiamo realizzato Green Border molto velocemente. Abbiamo iniziato a girare a metà marzo, la presentazione è avvenuta solo sei mesi dopo, ma la reazione alla Mostra è stata incoraggiante. Ci ha fatto capire che ce l’avevamo fatta. Che il film funziona, cosa che non puoi sapere prima di mostrarlo al pubblico. Subito dopo è arrivata la risposta positiva dal resto del mondo, ma anche gli attacchi da parte delle autorità polacche. Di certo me lo aspettavo, a sorprendermi è stata la propaganda. È stata stupida, brutale e spudorata.
Anche perché, in Polonia, ottobre è stato il mese delle elezioni.
Infatti avevamo due possibilità. O presentare il film a Venezia, un mese e mezzo prima delle elezioni, o aspettare un momento successivo. Avevamo paura che qualcuno avrebbe potuto usare il film come scusa per alimentare l’odio contro i migranti e i rifugiati. Non volevo offrire un’arma ai fascisti. Alla fine abbiamo deciso che il pubblico polacco aveva bisogno di confrontarsi con una narrazione che non fosse distorta come quella dell’opposizione, ma piena di valori e di umanità. E abbiamo vinto. Avevamo ragione.
Dopo il film è rimasta aggiornata sulle sorti del confine tra Bielorussa e Polonia?
Sì, sono in contatto con degli attivisti e la situazione non è cambiata. Molte persone sono ancora in balia della precarietà, ci sono stati diversi morti, mentre giravamo noi ce ne furono una ventina. Penso però che il cambiamento stia arrivando. Non si tratta di una rivoluzione, in fondo l’Europa non sa ancora bene cosa fare con i migranti. Ma almeno non ci sarà la stessa violenza o le menzogne denigratorie e disumanizzanti che ci siamo dovuti sorbire, bensì si riuscirà a stabilire una sorta di politica migratoria umana e legale. Uno degli attivisti che conosco è diventato vice capo del Senato. È stato eletto e sarà sicuramente il portavoce e il difensore dei rifugiati. Sono ottimista. Il film ha sensibilizzato l’opinione pubblica e la gente improvvisamente si chiede cosa può fare.
Il procuratore polacco della giustizia Zbigniew Ziobro ha definito Green Border un film di propaganda nazista. Sta portando avanti la sua accusa di diffamazione?
Sì, ma ci vuole tempo. Non avremo un responso rapidamente. I tribunali in Polonia sono molto lenti. All’inizio ho chiesto dei soldi simbolici. E, ora, ne sto chiedendo altri, così da mandarli a diverse organizzazioni umanitarie.
Come la fa sentire essere stata etichettata come “nemica della destra”?
Bene, ma in occasione della prima di Green Border ho deciso di rimanere per un breve periodo in Polonia e quando mi sono messa in viaggio per promuovere il film avevo le guardie del corpo che si muovevano con me. Purtroppo avevo ricevuto delle minacce di morte e soltanto lo scorso fine settimana sono riuscita a camminare per le strade della Polonia senza protezione. La gente mi ha fermato in continuazione. Volevano abbracciarmi, mi dicevano quanto ero meravigliosa. La cosa più bella è che nel mio palazzo c’è la gelateria più buona del mondo. Sono andata a comprare dei dolci per mia madre che è anziana, e al negozio mi hanno detto: “Qui non paghi. Non pagherai mai. Avrai tutto gratis!”.
Praticamente è una supereroina?
Lo sono.
Anche le supereroine, però, possono avere paura delle minacce di morte.
Sono un’essere umano, ovvio che ricevere minacce di morte non lo trovo piacevole. Dopo la Mostra di Venezia siamo stati invitati a diversi festival. A Toronto ci sono stati gli attacchi peggiori. Un giorno dovevo volare da Toronto e andare direttamente a Varsavia su un aereo polacco. Improvvisamente ho avuto paura. L’idea che sarei rimasta otto ore chiusa con delle persone che non conoscevo e che, invece, sapevano chi ero mi metteva angoscia. Ho cambiato volo e sono atterrata a Parigi.
Come l’ha fatta sentire?
È un evento che mi ha depresso, ho iniziato a pensare che la destra avrebbe vinto nuovamente le elezioni e che il clima del paese sarebbe diventato insopportabile. Che ci sarebbe stato troppo odio in giro e che non sarebbe stato facile tornare a una vita normale. Anche andare a portare in giro il cane mi spaventava. Ma, per fortuna, è andata per il meglio.
Era consapevole che sarebbe stata esposta a un simile pericolo mentre girava?
Volevo scuotere le persone. Quindi sì, certamente lo sapevo. Mi hanno giusto sorpreso le reazioni tanto ostili, mirate a creare odio e paura.
Dopo l’elezione in Polonia, pensa che il paese stia andando verso la fine del populismo?
È bello vedere che in un paese come la Polonia possano cadere populismo, razzismo e nazionalismo. Avevano tutto, sapete. La destra aveva i media, i soldi, la possibilità di violare la legge, i peggiori trucchi per fermare l’opposizione. E adesso hanno perso. È un segno di speranza per l’Europa. Al momento siamo tutti nervosi, ieri c’è stata la prima sessione del Parlamento. I governi populisti non riescono ancora a capire che hanno perso. Forse, quando lo faranno, cercheranno di fare il possibile per risalire sul trono. Ma ciò di cui bisogna tenere conto è che sono stati tantissimi giovani a votare, il che è un’autentica sorpresa. C’è stata la più alta affluenza di sempre. La gente sta dicendo ai politici: non potete sbagliare, vi terremo d’occhio.
Com’è stato crescere in Polonia?
La Polonia era un paese comunista che aveva avuto momenti in cui ha subito più o meno delle oppressioni. Me ne sono resa conto molto presto, per questo ho cercato da sempre di lottare. Da qui i problemi con le autorità, che ci sono stati fin dall’inizio della mia vita. Nello stesso periodo, le persone avevano smesso di essere attratte dal consumismo, dalla ricchezza. Si è sfiorato un livello d’uguaglianza maggiore rispetto a quanto si potrebbe fare oggi. E, soprattutto, una maggiore solidarietà. Per queste ragioni essere giovani, quando lo sono stata io, non significava vivere una vita troppo difficile.
Veniamo dallo scoppio della guerra tra Russa e Ucraina, brevemente mostrata nel suo film. Ora lo scontro tra Palestina e Israele. La guerra è una storia che è destinata a non finire?
La situazione sembra disperata. È tragica. L’Europa è impotente. Non c’è nessun pro-Palestina, pro-Israele. Dobbiamo essere innanzitutto pro vite umane. Bisogna impegnarsi per trovare una soluzione che sia reale e politica e che possa essere sostenuta anche dall’Europa. La verità, però, è che siamo ancora molto lontani.
L’Europa ha fatto troppo poco?
Sì. Da un lato c’è l’incredibile sofferenza della popolazione di Gaza. Dall’altro non c’è alcun aiuto concreto. Anche i fratelli arabi, l’Egitto, hanno appena chiuso le frontiere. L’antisemitismo sta crescendo in tutto il mondo, come se stesse aspettando solo una scusa prima di diffondersi in maniera tanto pericolosa. Ho degli amici ebrei in Francia e negli Stati Uniti che si ritrovano ad affrontare un problema di fronte a cui non si erano mai trovati prima. Ora hanno paura di uscire. Vengono segnalati con stelle di David sul pavimento e questo, soprattutto per chi ha l’esperienza dell’Olocausto nei geni, è incredibilmente, incredibilmente spaventoso. E a volte, quando parlo con alcuni palestinesi, è come se non vedessero gli israeliani in quanto esseri umani. L’odio è unilaterale. Noi siamo testimoni e spettatori, non possiamo schierarci. Bisogna lottare perché ci sia vita per tutti e pensare che la soluzione arriverà. Non tutto è inutile, non esiste solo la violenza. Non esiste solo la guerra.
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