Campioni, la recensione: quando anche i feel good movie (banali) sanno andare a canestro

Si sa già come andrà a finire: il protagonista - interpretato da Woody Harrelson - passa da una squadra di professionisti a una di ragazzi con disabilità a cui non potrà che affezionarsi. E, così, anche il pubblico

Campioni non è una storia originale. Anzi, se vogliamo dirla tutta, proprio come storia non è nemmeno un granché. C’è un uomo che viene cacciato dalla squadra di basket NBA in cui è l’aiuto dell’aiuto allenatore, viene beccato ubriaco dopo essere stato licenziato e viene spedito lontano dalla città per svolgere i servizi sociali assegnati per scontare la propria pena.

Il suo compito, obbligato dalla legge, è quello di continuare a ricoprire il suo ruolo di coach, stavolta però in una squadra di ragazzi disabili. Un obiettivo, l’essere finalmente diventato allenatore ufficiale, con cui dovrà confrontarsi, messo in relazione con una realtà lontana dal contesto professionistico da cui veniva e da cui vuole disperatamente tornare.

La prevedibilità che va a segno

Campioni, nonostante alla regia vi sia un fuoriclasse del politicamente scorretto come Bobby Farrelly, è una commedia dai buoni sentimenti, quindi il resto, ovviamente, vien da sé. Se si lasciasse allo spettatore la possibilità di indovinare il futuro del protagonista, interpretato da Woody Harrelson, non ci sarebbero dubbi sulle altissime chance che avrebbe nell’azzeccarne l’epilogo. E non solo perché, oltre alla sua prevedibilità, Campioni di Bobby Farrelly è il remake di un’omonima pellicola spagnola, uscita nel 2018 e diretta da Javier Fesser.

Una scena dal film Campioni

Una scena dal film Campioni

Ed è proprio qui che si vede se un film è valido oppure no. O, volendo usare una metafora rubata al basket, se riesce ad andare a canestro. Se è in grado di convincere pur avendo ben chiaro il destino del personaggio principale, pur sapendo che il lato umano vincerà su quello egoistico, e che tutti gli sforzi volgeranno al meglio per la nuova squadra, vuol dire che Bobby si è prodotto in un terzo tempo perfetto.

L’arte (leggera) di essere Campioni

Campioni sa come variare sul tema, non cambiando la struttura che appartiene ai feel good movies, ma sapendo muoversi all’interno di quei confini prestabiliti, divertendosi e intrattenendoci in tutti i modi che preferisce. Il tutto seguendo in maniera pedissequa i vari passaggi (obbligatori) che sappiamo questo tipo di commedia debba attraversare, coscienti che non importa quanto è difficile diventare migliori o ciò a cui si deve rinunciare, l’importante è percorrere finalmente la strada giusta.

L’opera cerca un brio che arriva soprattutto dalla libertà degli attori, e che riverbera dell’opportunità data dalla sceneggiatura di potersi sbizzarrire. I caratteri dei personaggi, e la genuinità con cui vengono ritratti, svettano di gran lunga sulla sequela di pellicole similari a Campioni, in cui lo stesso lavoro di Farrelly poteva rischiare di rientrare e che ha saputo invece farci simpatia e tenerezza più di quanto ci si potesse aspettare. Un’opera non buonista, ma buona. Che contiene la stessa ironia che può accompagnare ciò che di inatteso riserva la vita.