Questo potrebbe essere l’anno in cui il cinema africano conquista Cannes. La 76a edizione del festival presenta nella selezione ufficiale il numero più alto di sempre di film ambientati in Africa, tra cui due in concorso: Four Daughters della regista tunisina Kaouther Ben Hania (L’uomo che vendette la sua pelle) e Banel & Adama, opera prima della regista senegalese-francese Ramata-Toulaye Sy. Ci sono poi Omar la Fraise, un film di Elias Belkeddar, con Reda Kateb e Benoît Magimel, ambientato in Algeria e in programma tra le proiezioni di mezzanotte, e quattro titoli nella sezione Un Certain Regard: i film marocchini Les Meutes di Kamal Lazraq e il documentario The Mother of All Lies di Asmae El Moudir; Omen, il debutto nel lungometraggio dell’artista hip-hop belga-congolese Baloji; e Goodbye Julia di Mohamed Kordofani, il primo film sudanese proiettato sulla Croisette.
La selezione spazia tra generi e stili cinematografici. Omar la Fraise è una commedia poliziesca che si ispira ai film di Sergio Leone e Takeshi Kitano, e racconta la storia di Omar (Kateb), un gangster bollito, in esilio ad Algeri, che cerca di rientrare nel giro. Four Daughters è un documentario sperimentale in cui un regista, esplorando la storia di una donna le cui due figlie maggiori sono scomparse, fa intervenire attrici professioniste per interpretare i loro ruoli. Banel & Adama è un’epica storia d’amore in stile realismo magico ambientata in un remoto villaggio del Senegal settentrionale.
Il caso di Banel & Adama
“Per me era importante fare un film sull’Africa che non parlasse di miseria, stupri, corruzione, tutta quella roba da realismo sociale che sembra essere il modo in cui l’Africa viene solitamente rappresentata nei film”, dice Sy, la regista di Banel & Adama. “Certo, in Africa esiste la miseria e tutti questi problemi, ma io volevo adottare un approccio diverso, non naturalistico. La mia idea era di immaginare una grande figura tragica femminile, come quelle del mito greco, qualcuno al livello di Medea o Antigone o Fedra, ma con un background africano”.
L’accoglienza speciale di Cannes verso il cinema africano arriva in un momento in cui Hollywood sta scoprendo il fascino delle storie ispirate all’Africa – si veda il successo al botteghino di The Woman King (97,3 milioni di dollari a livello globale) e Black Panther: Wakanda Forever (859 milioni di dollari) – e in cui la stessa industria cinematografica africana sta vivendo una crescita senza precedenti, in parte trainata dagli investimenti dei servizi di streaming internazionali, tra cui Netflix, Amazon e il gruppo sudafricano Showmax, sostenuto da NBCUniversal di Comcast.
“Per la prima volta abbiamo più di un acquirente in Africa”, afferma Phillip Hoffman di Rushlake Media, un gruppo di vendita e distribuzione con sede in Germania che si occupa di cinema africano. “Questo cambia tutto”.
Ma i critici sottolineano un divario tra i film africani realizzati e visti in Africa e quelli celebrati sulla Croisette. La selezione di Cannes punta su film provenienti dai Paesi francofoni dell’Africa occidentale e settentrionale – Algeria, Marocco, Senegal – in misura sproporzionata rispetto alla loro popolazione e alla potenza dell’industria locale. La Nigeria, il Paese più populista del continente e sede della sua unica industria cinematografica autosufficiente, non ha mai avuto un film selezionato per il concorso ufficiale di Cannes.
Cannes sostiene solo l’Africa francofona?
“Sembra che Cannes continui a sostenere solo l’Africa francofona”, afferma Mo Abudu, fondatrice del gruppo mediatico nigeriano EbonyLife (e una delle 40 donne più influenti del cinema internazionale, secondo THR). “È come se stessero spuntando una casella: è un film sui neri, è un film africano, e questo per loro è sufficiente. Ma l’Africa non è un paese, è un continente. Ci sono storie diverse da diverse parti del continente che dovrebbero ricevere attenzione in un festival globale come Cannes”.
È da notare che tutti i film africani nel concorso ufficiale quest’anno – con l’eccezione di The Mother of All Lies, che ha ricevuto il sostegno del Marocco, dell’Egitto e dei Paesi del Golfo – sono stati co-prodotti e co-finanziati dalla Francia. Potrebbero essere tutti classificati come “film d’essai internazionali”, un genere che ha un forte appeal in Europa ma molto meno in Africa, dove i film più mainstream e commerciali – commedie romantiche, melodrammi e film d’azione – sono la grande attrazione.
“Festival come il Sundance, Berlino, Cannes e Venezia sembrano soddisfare maggiormente il pubblico interessato al cinema d’autore, ma questi film d’essai africani sono molto influenzati da un tipo di cinematografia europea, che sembra fuori portata e un po’ inverosimile per molte persone in Africa”, afferma la regista nigeriano Jáde Osiberu, il cui ultimo lungometraggio, Gangs of Lagos, un’epopea di gangster in stile Quei bravi ragazzi, è stato presentato in anteprima su Prime Video in aprile.
“Ma, d’altra parte”, dice Osiberu, “molti dei film commerciali qui non rispondono a nessun tipo di sensibilità artistica, quindi non sono il tipo di film che vengono proiettati ai festival”.
Traduzione di Nadia Cazzaniga
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