“Devi scegliere da che parte stare e partecipare al discorso. Non ci sono scuse per restare in disparte. Devi agire”. Non è un cinema indifferente quello di Cristian Mungiu, Palma d’oro a Cannes nel 2007 per 4 mesi, 3 settimane e 2 giorni. Il regista rumeno è tornato dietro la macchina da presa con Animali selvatici, film presentato in concorso all’edizione del 2022 del festival francese, in sala dal 6 giugno.
Una storia ambientata qualche giorno prima di Natale in un tranquillo villaggio della Transilvania. Ma quando degli operai cingalesi vengono assunti nella piccola fabbrica di pane, la pace della comunità viene turbata facendo affiorare timori e frustrazioni oltre a far emergere conflittualità e intolleranza celati dietro un velo di apparente armonia.
Il titolo originale del suo film, R.m.n, si riferisce alla pratica medica della risonanza magnetica. Se l’Europa potesse sottoporsi a una risonanza magnetica, cosa vedremmo?
Spero niente di troppo brutto. Penso che l’Europa sia un fenomeno molto complesso. È più di un continente. Abbiamo molti valori e un voto in comune. L’idea del creare pace eliminando i confini è per ora la migliore che potevamo avere. Ma non è una nazione, quindi è inevitabile che ci siano molte differenze incluse in questo concetto. E queste creano inevitabilmente visioni diverse. Si tratta di differenze di educazione, cultura, sviluppo e ruoli storici diversi nello sviluppo del mondo. È molto difficile prendere decisioni oggi e aspettarsi che tutti la pensino allo stesso modo.
Un esempio?
Basta pensare a quello che alcuni dei Paesi membri dell’Ue pensano oggi del colonialismo. Si parla spesso delle nazioni che sono state colonialiste e che si sentono colpevoli. Ma in Europa ci sono Paesi che non hanno avuto questo tipo di esperienza e non condividono questo senso di colpa. Molte altre cose potrebbero essere spiegate basandosi sull’evoluzione della storia europea che è stata molto complessa. Tutti si sono fatti la guerra e i confini si spostavano continuamente. L’Europa è un magnifico costrutto idealistico con scopi molto nobili. Ma dobbiamo comprendere che serve uno sforzo costante perché vada avanti senza intoppi. Non può avere un solo ritmo per tutti e la cosa più importante da fare, per avere una prospettiva comune, è appianare le differenze di standard di vita. E non solo in Europa. Dobbiamo ridurle globalmente. Oggi il mondo è così piccolo che se non si fa un lavoro a livello mondiale ci sarà il caos.
Parlando di questo, pensa che la promessa di democrazia europea sia stata tradita?
Dovremmo iniziare capendo cos’è la democrazia. Non è necessariamente qualcosa che arriva naturalmente in una comunità. È stata imposta dalla parte “saggia” della società alle persone molto tempo fa ed ha funzionato per un po’ perché pareva essere il miglior sistema in date circostanze. Ma c’è una cosa da dire sulla democrazia: funziona per qualche tempo e dà buoni risultati se viene coadiuvata dall’educazione della gente alla quale dai la libertà di votare e scegliere. Non si può dare la democrazia a cani e gatti perché non capiscono la situazione. Quindi per gli esseri umani è possibile alla condizione che si investa nel fargli comprendere la situazione, per poi chiedere la loro opinione.
Se non si fa questo investimento?
Questo è il motivo per cui la democrazia è complicata. Per natura la gente è molto pigra e non è felice di lavorare o pensare. Le persone si sentono stanche della democrazia, preferiscono scegliere ma senza avere quest’istruzione propedeutica alla scelta. E questo è il motivo per il quale potremmo arrivare a decisioni molto poco etiche basate su un processo molto democratico, se si concepisce la democrazia solo come la volontà del maggior numero di persone. Ma questa è una distorsione della democrazia. È il risultato del mancato investimento nel mantenerla in salute, così che possa dare risultati sani.
Ogni Paese ha i suoi stranieri da guardare con sospetto. Siamo tutti lo zingaro di qualcuno?
Ho sentito dire questa cosa, come commento dopo una proiezione del mio film a Parigi. C’era questa signora che si è sentita molto toccata dal film e mi ha recitato un proverbio arabo: “Tutti hanno il proprio arabo”. Penso che, storicamente parlando, cerchiamo qualcuno che sia colpevole di quello che ci succede, perché è molto più facile pensare che siamo innocenti. Qualcun altro dev’essere colpevole. È molto difficile riconoscere che sia tua la colpa della situazione in cui ti trovi ed è un giudizio molto rudimentale pensare che qualcun altro dev’essere colpevole. E spesso è la persona che è più diversa da te, nel colore della pelle, nell’educazione, o qualsiasi attributo fisico. Dev’essere lui il colpevole. Questo è successo costantemente, in tutta la nostra storia, e sfortunatamente è parte di chi siamo. Se vogliamo cambiarlo non è abbastanza imporre questo politically correct, questi modi di rivolgersi alle persone. Non è un cambiamento abbastanza profondo.
Cosa dovremmo cambiare?
Quello che la gente pensa e crede, non quello che dice. C’è ancora molta discriminazione nel mondo e credo, da una parte, che sia perché è il modo in cui siamo fatti. Vediamo le differenze e le sfruttiamo a nostro vantaggio. Dall’altra forse, tra mille anni, grazie alla globalizzazione ci saranno persone con un mix di caratteristiche differenti e forse avremo superato questo tipo di discriminazione. Ma ne troveremo altri.
Uno dei molti temi presenti nel suo film è la mancanza di compassione. Qualche giorno fa è affondata una barca con 500 persone nel Mediterraneo, ma l’accaduto non ha suscitato molto clamore. Pensa che siamo diventati incapaci di provare compassione?
Generalizzare è difficile, e non andrebbe fatto. L’Europa è un continente, molti politici hanno fatto cose per risolvere la situazione e ci sono molte persone che personalmente provano molta compassione. Ma non possono fare molto per cambiare le cose. Non si può dire che globalmente, in generale, non proviamo più compassione. Ma allo stesso tempo c’è un certo livello di empatia che si può provare per i torti che accadono vicino a te. E viviamo in un mondo che, specialmente per il grande accesso ai media e il loro racconto delle cose atroci che accadono vicino a noi, fa sì che dovremmo provare compassione per molte cose, continuamente. C’è una lista infinita di cose per le quali provare compassione, e ci si stanca. Fa parte anche questo dell’essere umano.
Perché?
Perché non è che succede qualcosa e lo puoi trattare umanamente e dopo c’è un periodo di calma. È una successione infinita. Guerre dopo guerre, la crisi dei migranti. Ad un certo punto le persone reagiscono con varie emozioni. Se il livello è sempre alto c’è un limite ed è il motivo per il quale ci sentiamo in colpa per non essere abbastanza empatici. Poi c’è il modo nel quale presenti questi fatti alla gente. Se si parla di 500 migranti, non genera molta empatia. La foto del bambino annegato sulle coste della Turchia commosse molto la gente perché c’era un’individualità. Penso sia il modo nel quale le notizie vengono presentate, ma anche com’è il mondo. Onestamente se fossimo coscienti di tutte le sfortune del mondo in questo momento, in Africa, in Asia, dove la gente muore di fame e non ha acqua, o di tutte le guerre, non riusciremmo a vivere. Il mondo non sta benissimo, e parte dell’essere in vita è essere egoisti in un certo senso perché altrimenti impazziremmo.
La sequenza dell’assemblea cittadina racchiude alla perfezione tutto il razzismo e la paura che proviamo. Com’è stato realizzarla?
Non è stato facile, per ragioni tecniche perché l’ho girata solo con delle inquadrature che inglobavano tutti i personaggi ed il livello di precisione dev’essere molto alto per rendere la sequenza naturale. È una scena molto stratificata, ci sono cose che succedono davanti alla cinepresa, dietro, in profondità in questo enorme gruppo. Venti persone che parlano in varie lingue e ci sono molte comparse che rappresentano, se vogliamo, il personaggio collettivo che esprime i suoi sentimenti. Portarla a termine da un punto di vista tecnico è stato difficile. Ma avevo due giorni per realizzarla. Ho iniziato a lavorare così molti anni fa e più o meno so come muovermi ma è stato comunque difficile. La cosa importante però non è lo sforzo dietro le quinte ma che alla fine sembra che nessuno abbia ragione.
Cioè?
Tutti hanno delle posizioni che sembrano valide e la scena parla del nostro bisogno di avere una vera conversazione. Spesso quello che facciamo è lanciarci in degli scambi con gli altri convinti di sapere già la verità. E questa non è una conversazione. Quella del film è una scena che parla del bisogno di dialogo e del bisogno di crescere con la propria opinione. Anche contro gli altri. Il film parla inoltre di questo processo attraverso il quale si passa da un individuo con le proprie opinioni a piccola pecora in un gregge che perde la propria personalità e spera di non avere responsabilità perché è parte di un gruppo. Ma hai la responsabilità di individuo che nessuno ti può togliere. Probabilmente questa è la cosa principale che il protagonista impara alla fine del film. Devi scegliere da che parte stare e partecipare al discorso. Non ci sono scuse per restare in disparte. Devi agire.
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