Una cosa è proiettare il proprio esordio alla regia per Steven Spielberg. Un’altra cosa è proiettare il proprio esordio alla regia per Steven Spielberg come parte di un colloquio di lavoro. Ma è proprio questa la situazione in cui Bradley Cooper si è trovato nel 2018, quando gli è stato assegnato il ruolo del famoso compositore e direttore d’orchestra Leonard Bernstein.
Era la primavera di quell’anno quando Spielberg, che da anni stava lavorando a un film su Bernstein che avrebbe diretto lui stesso, aveva chiamato per dire al suo protagonista che non avrebbe più diretto il film, per concentrarsi invece sul suo remake di West Side Story, da tempo in attesa. Per la maggior parte dei progetti, questo sarebbe il momento in cui vengono accantonati, ma Cooper, che si è autoproclamato appassionato da sempre di musica classica e che da bambino dirigeva orchestre immaginarie, ha avuto un’idea: e se avesse diretto lui stesso il film, che si sarebbe chiamato Maestro?
Maestro e il “sì” di Steven Spielberg
“Bradley ha detto a Steven: ‘Ok, se non hai intenzione di dirigerlo, ho appena finito di mixare A Star Is Born e se vuoi venire te lo faccio vedere subito’”, ricorda la produttrice di Maestro Kristie Macosko Krieger. “’Se ti piace, sarei felice di cimentarmi con la regia di questo film”.
Spielberg, Krieger, la moglie di Spielberg, Kate Capshaw, e lo sceneggiatore Josh Singer, che a quel punto lavorava da anni al film biografico su Bernstein, andarono alla sede della società di postproduzione Company 3 di Los Angeles per la proiezione dell’esordio alla regia di Cooper. “A venti minuti dalla fine del film, Steven si è alzato dalla sedia e Bradley ha pensato: ‘Oh, cavolo, se ne sta andando’”, racconta Krieger. “Invece Steven si è avvicinato a Bradley e gli ha annunciato: ‘Lo dirigi tu il cazzo di film’”.
Singer, che aveva scritto la sceneggiatura di First Man – Il primo uomo di Damien Chazelle, che era in fase di post-produzione e doveva uscire la settimana dopo a A Star Is Born, ricorda di aver provato emozioni contrastanti mentre guardava l’esordio di Cooper alla regia.
“Nel giro di 10 minuti ho pensato: ‘Oh mio Dio, ho un grande regista per Maestro‘. Poi mi sono sentito male perché c’era un grande film che usciva la settimana prima di First Man“, racconta ridendo. “Credo di aver chiamato Damien e di avergli detto: ‘Ho una notizia buona e una cattiva. La buona notizia è per me e la cattiva è per me e per te’”.
A Star Is Born avrebbe poi incassato 436 milioni di dollari al botteghino a livello mondiale e portato a casa otto nomination agli Oscar, compresa quella per il miglior film.
Cinque anni dopo, la versione di Cooper di Maestro evita in gran parte la carriera di Bernstein come direttore d’orchestra per concentrarsi sul suo matrimonio. Girato sia negli Stati Uniti che nel Regno Unito (anche in location come la Carnegie Hall e la Cattedrale di Ely), il film non ha avuto paura di correre rischi: Bradley ha girato su celluloide, ha mescolato bianco e nero e colore e ha registrato l’orchestra dal vivo sul set, con lui in persona a dirigerla.
Prima ancora di terminare la campagna promozionale per la stagione dei premi per A Star Is Born, Cooper pensava già a Maestro. Mentre rilasciava interviste alla stampa per A Star Is Born, Cooper si è imbattuto in Krieger. “Mi ha detto: ‘Posso proporle la mia idea per l’apertura del film?’. Mi ha proposto, inquadratura per inquadratura, quello che oggi vediamo in un film nel 2023”, racconta Krieger. “Ha pensato al film per sei anni, senza sosta. Mi azzarderei a dire che ho ricevuto probabilmente 3.000 messaggi da lui, nel corso della realizzazione del film”.
Il direttore della fotografia di Maestro Matthew Libatique, che ha lavorato con Cooper in A Star Is Born, aggiunge: “Ti dice cose come: ‘Lascia che ti guidi attraverso questa scena’. È tutto nella sua testa e non se ne discosta”. Inoltre, nota che l’attore-regista non è un fan dello storyboarding o degli elenchi di inquadrature.
“Quello che faccio sempre è riprodurre il film inquadratura per inquadratura nella mia testa fin dall’inizio, pensando: ‘Fino a che punto posso arrivare?’”, dice Cooper. “E non inizio un film finché non sono riuscito a percorrere l’intero film inquadratura per inquadratura nella mia testa”.
Una lunga preparazione
Parlando con il cast e la troupe di Cooper, tutti commentano la straordinaria quantità di preparazione – anni di lavoro – che Cooper ha dedicato a Maestro. Il risultato è una visione molto specifica della storia e dell’aspetto del film.
Le prime bozze della sceneggiatura di Maestro si attenevano allo stampo più classico del biopic, concentrandosi su Bernstein, la sua istruzione e l’ascesa ai vertici della sua arte e della cultura popolare. La moglie, Felicia Montealegre – interpretata nel film da Carey Mulligan – era un personaggio secondario, ma Cooper vedeva in quel matrimonio la forza motrice principale del suo film. Insieme a Singer ha rielaborato la sceneggiatura, incentrandola sul matrimonio di Montealegre e Bernstein, raccontato nell’arco di più decenni, dagli anni Quaranta agli anni Ottanta.
Per quanto riguarda l’aspetto del film, Cooper ha voluto che includesse alcune scene chiave in formato 1.33:1, un rapporto d’aspetto più squadrato rispetto al comune 1.85:1 della cinematografia moderna. Il motivo pratico era che la mano di Cooper, quando è completamente estesa e sollevata durante le scene in cui dirige l’orchestra, poteva finire facilmente tagliata con un rapporto d’aspetto più orizzontale. La ragione più tematica? “Per via del suo rapporto con il suo destino, con Dio e con la spinta ad andare avanti”, dice Cooper.
“Continuava ad alzare la posta in gioco su come avremmo realizzato tutto questo”, dice Krieger. “Era come se stessimo per saltare. E io dicevo: ‘Quanto in alto?’. E lui: ‘Molto in alto!’”.
Quando è arrivato il momento di trovare un partner tra gli Studios, tutte le scelte creative di cui sopra, per le quali Cooper si era impegnato al 100%, hanno reso le cose difficili. “Cercare di vendere a tutti questi Studios un film sul matrimonio, con persone che per la maggior parte non sono giovani, con musica classica e metà del film in bianco e nero, e con un formato che cambia era un’impresa ardua”, racconta Cooper. Un paio di grandi Studios hanno rifiutato il film, tra cui la Warner Bros. che aveva distribuito A Star Is Born. Ma il gigante dello streaming Netflix ha accettato.
Finalmente Cooper aveva la sua visione, la squadra e i finanziatori, ma ha dovuto rimandare le riprese di un altro anno perché la pandemia di Covid implicava l’impossibilità per i componenti di un’orchestra di sedersi vicini per le riprese. “Abbiamo dovuto farlo per permettere ai musicisti di respirare l’uno vicino all’altro”, spiega il responsabile del mix audio Steve Morrow.
Il ritardo ha comportato alcuni vantaggi: i capi reparto e i protagonisti hanno avuto più tempo per fare ricerche e prepararsi per le riprese, che alla fine sono durate 52 giorni.
Maestro: una questione di perfezionamento
In tutto, Cooper ha impiegato sei anni per imparare a dirigere un’orchestra – spesso chiedendo l’aiuto di direttori d’orchestra e direttori musicali -, perfezionando al contempo il singolare stile di Bernstein.
“È stato il primo direttore sul podio a permettersi di incarnare completamente la musica e a non essere solo un supervisore con una bacchetta in mano, che dirige il traffico” spiega Yannick Nézet-Séguin, direttore musicale della Metropolitan Opera che ha lavorato come maestro di direzione d’orchestra di Cooper. “Viveva la musica in ogni parte del corpo. Le sue sopracciglia dirigevano tanto quanto le mani”.
Nézet-Séguin aggiungeva una traccia vocale ai video di Bernstein che mandava a Cooper, contando le battute e spiegando i movimenti di Bernstein come in una telecronaca azione per azione su Sunday Night Football. Provava di persona con Cooper, e durante le riprese comunicava con l’attore tramite auricolare per ricordargli come dare gli attacchi. “Il suo impegno per trasmettere autenticità non era solo per fare le cose per bene, ma anche per generare il giusto livello di emozione e intensità” spiega Nézet-Séguin. “C’è qualcosa di unico nella direzione d’orchestra e nel fare musica sul serio”.
Carey Mulligan e Felicia Montealegre
Per Mulligan, il tempo in più avuto per la preparazione è stato una gradita occasione per perfezionare l’accento distintivo del suo personaggio, un risultato del fatto che Montealegre era nata in Costa Rica da madre del Costa Rica e padre statunitense, aveva frequentato le scuole in Cile e d era infine approdata a New York. “Quando ho sentito la sua voce per la prima volta, ho pensato ‘Adoro il modo in cui parla, e non ho idea di come farò a riprodurlo’ dichiara l’attrice.
Oltre a lavorare con un coach per il dialetto, Mulligan ha iniziato a dipingere. “Montealegre era stata una pittrice. Era una sua grande passione, e così ho pensavo ‘Beh, devo provare a dipingere, perché non lo faccio da quando avevo 5 anni’. Ho convinto due miei amici a farlo con me, e abbiamo preso lezioni di arte una volta a settimana per circa tre mesi. Mi sono davvero innamorata della pittura”.
Mulligan è anche andata in Cile per incontrare i familiari di Montealegre ancora in vita, camminare nel quartiere dove la donna era cresciuta e visitare la scuola che Montealegre aveva frequentato da bambina. Mentre stava lasciando il Paese, Mulligan ha scoperto di essere positiva al Covid e ha dovuto fare 10 giorni di quarantena. “Ero in isolamento nella mia camera d’albergo e Netflix mi ha detto ‘Cosa ti serve per sopravvivere?’ e io ho risposto che mi serviva solo una tela, dei colori e un cavalletto. Mi sono seduta e ho passato 10 giorni a dipingere i quadri di Felicia”. Lo scenografo Kevin Thompson avrebbe poi usato molti di quei quadri sul set per arredare l’appartamento della famiglia Bernstein nel film.
Per quanto riguarda i tecnici, il tempo aggiuntivo è stato molto apprezzato, dato che non si trattava solo di un film d’epoca ma di uno che copre quattro decenni.
Thompson e la sua squadra avevano il compito di creare attrezzature musicali che fossero adeguate al periodo ma anche pratiche. Sono stati creati per l’orchestra dal vivo spartiti, leggii e sedie che permettessero ai musicisti di suonare al meglio delle loro capacità. Il team aveva creato delle sedie-Frankenstein, che avevano gambe e schienali in linea con l’epoca, per le telecamere, ma cuscini moderni, per permettere all’orchestra di suonare comoda.
Grazie a vecchie interviste e a un servizio su Architectural Digest, Thompson ha ricostruito in studio l’appartamento dei Bernstein nel famoso edificio Dakota a New York. È stata data una particolare importanza ai pianoforti, con modelli e stili che cambiavano a seconda della scena. L’arredatore e capo attrezzista sul set aveva creato una scaletta per i pianoforti (come un foglio chiamate, ma solo per i pianoforti). Spiega Thompson: “C’era scritto quale modello di pianoforte si trovava in ogni stanza a seconda del periodo”.
Le sfide dei vari reparti di Maestro
Libatique ha sfruttato il ritardo nella produzione per procurarsi l’attrezzatura richiesta per conferire l’aspetto giusto a Maestro, che alla fine è stato girato su pellicola 35mm film con una Panavision Millennium. “Cercare di ottenere quella grana dell’immagine in digitale avrebbe richiesto moltissimo lavoro” spiega. “L’aspetto del film era strettamente legato alla pellicola”. Ma la pellicola, specialmente la celluloide in bianco e nero, richiede un tipo di luce che le moderne luci a Led, leggere e facili da manipolare, non riescono a emettere. Libatique e la sua squadra hanno dovuto usare vecchie lampade a incandescenza. “È stata dura rendermi conto che dovevamo tornare a quello che usavamo prima, che era molto più caldo e ingombrante. Ero solo felice che le avessero ancora” dice Libatique, che ha setacciato i ripostigli di vecchie case in affitto per mettere insieme le luci adatte.
Il look degli attori presentava sfide simili. “Abbiamo dovuto fare vari tentativi” spiega il costumista Mark Bridges a proposito dei frac che Cooper doveva indossare mentre dirigeva l’orchestra. Bisognava creare un indumento che permettesse la gestualità tipica di Bernstein ma che cadesse comunque come una giacca tradizionale. “Bradely faceva i suoi ampi movimenti durante le prove dei costumi, e ci accorgevamo subito se avrebbe funzionato o no”. Quanto a Montealegre, Bridges ha lavorato con Chanel per ricreare un tailleur classico che era tra i suoi preferiti, e la casa di moda ha fornito tessuti, bottoni e rifiniture adeguate all’epoca.
Il truccatore prostetico Kazu Hiro ha ricostruito l’aspetto di Bernstein in diverse fasi della sua vita. Pe il Bernstein degli anni Quaranta, c’erano protesi per il naso, il labbro inferiore e superiore e il meno, e Hiro ha sperimentato diversi nastri adesivi chirurgici per sollevare la mascella di Cooper. Per gli anni Sessanta, sono state aggiunte protesi per mento, guance, collo e lobi delle orecchie. Il look per la parte finale, con Bernstein a 71 anni, comprendeva protesi per braccia e spalle e una tuta che alterava la postura e il fisico di Cooper.
La querelle sul naso prostetico
(Quando è uscito il primo trailer di Maestro, alcuni osservatori online hanno messo in discussione l’uso di un naso prostetico nel film per far assomigliare di più Cooper, che non è ebreo, a Bernstein. I figli di Bernstein, Jamie, Alexander e Nina Bernstein, che sono stati consultati durante l’intero processo di realizzazione del film, hanno sostenuto Cooper e la produzione. “Si dà il caso che sia vero che Leonard Bernstein avesse un bel nasone,” hanno scritto in un comunicato su X, precedentemente noto come Twitter. “Bradley ha scelto di usare il trucco per amplificare la sua somiglianza, e a noi va benissimo. Siamo anche certi che sarebbe andato bene anche a nostro padre”).
Nel complesso, le protesi di Cooper richiedevano tra le due e le cinque ore per l’applicazione, ogni giorno delle riprese. Visto quanto ci voleva per essere truccato da Bernstein e visto che stava svolgendo il quadruplo ruolo di regista, attore, produttore e co-sceneggiatore, Cooper si è adattato a dirigere già truccato e vestito. “È stato bravissimo a dirigermi interpretando Lenny” spiega Mulligan. “Il modo in cui recitava una scena influenzava il modo in cui io recitavo una scena. Aveva un’idea della direzione in cui voleva andare, quindi invece che farmi degli appunti a voce, a telecamere spente, semplicemente interpretava Lenny in un modo che avrebbe suscitato una certa reazione in me”.
Il culmine del lavoro del cast e della troupe si vede forse al meglio nella sequenza che si svolge nella Cattedrale di Ely, in Inghilterra, dove Bernstein aveva diretto la London Symphony Orchestra con grande successo, negli anni Settanta. Per le riprese, anche Cooper avrebbe diretto la London Symphony Orchestra.
Thompson e il suo team avevano rimosso le panche moderne della cattedrale per sostituirle con le sedie che c’erano nella chiesa nel 1976. Nézet-Séguin era a disposizione per far scaldare l’orchestra e fornire istruzioni via auricolare a Cooper mentre dirigeva. Registrare la musica si è rivelato una sfida. “La domanda diventa: come catturiamo tutto questo dal punto di vista tecnico?” dice Morrow. Risposta: con 61 microfoni.
Registrare i suoni con la tecnologia Dolby Atmos ha significato piazzare microfoni – tantissimi microfoni – in tutta la cattedrale: nelle navate, vicino ai violini, in mezzo alla sezione dei corni, e sui cantanti d’opera. E dato che ci volevano ore per posizionare i microfoni, non potevano essere spostati tra una ripresa e l’altra.
Avevano due giorni per girare la sequenza. “Stavamo dirigendo dal vivo, e per tutto il primo giorno avevo tre machine da presa, cinque setup, e ho incasinato tutto” ricorda Cooper. Il secondo giorno, è arrivato la mattina ed è andato da Kazu per farsi applicare trucco e parrucco di Lenny, Dato che aveva finito prima dell’arrivo della troupe, ha passeggiato per la cattedrale di Ely. “Ho capito quello che serviva davvero al film, e che si doveva fare tutto in un unico piano sequenza” racconta.
La paura risputata indietro
Cooper aveva inizialmente impostato la scena con varie macchine da presa e setup, con l’idea che, se avesse fatto un errore mentre dirigeva, avrebbe sempre potuto montare una performance coerente in post-produzione. Poi ha cominciare a mettere in discussione questo approccio: “Avevo progettato tutta quella sequenza per paura di non riuscire a cavarmela con la direzione d’orchestra. Era quella la verità”.
Quando Cooper ha deciso che la scena doveva essere girata in un unico piano sequenza, ha fatto spostare il cast, comprese molte comparse, all’esterno, mentre lui e la troupe impostavano la nuova sequenza. “Avevamo una Technocrane per le riprese degli esterni, e l’ho portata dentro. Ho chiesto a tutti di rientrare, e ho detto solo ‘Ne farò una, senza paura’. Perlomeno, se avessi sbagliato, avrei potuto dire di aver comunque fatto tutto quello che potevo” spiega. “E per qualche motivo, non ho sbagliato”.
Dice Nézet-Séguin, “Alla fine, lo spirito di Lenny era con noi”.
Cooper si è trovato di fronte a un dilemma simile per un litigio in crescendo tra Lenny e Felicia nel loro appartamento al Dakota il giorno del Ringraziamento. È la miccia esplosiva di una scena che dura diversi minuti ed è girata con un’inquadratura statica. Ma il piano non era sempre stato quello: Cooper inizialmente aveva optato per una copertura con vari setup. Ma ammette: “Lo stavo facendo solo per paura”.
Dopo tre riprese in cui Mulligan e Cooper avevano recitato l’intera scena, dall’inizio alla fine, in un campo lungo, sono andati tutti in pausa pranzo. “Siamo rientrati e stavamo ancora impostando la copertura, e Bradely è venuto da me e mi ha detto ‘Guarda questa ripresa’” ricorda Krieger. “E io l’ho guardata fino alla fine, e lui mi fa ‘Cosa ne pensi?’ e io ‘È fantastica, mi piace’ e poi lui mi ha detto ‘Non voglio la copertura’”. Krieger ha appoggiato la sua scelta ma sapeva anche che avere la copertura era l’opzione più sicura contro possibili appunti dello studio.
“Si stava davvero alzando la posta” ricorda Cooper. “Ma alla terza ripresa, ho sentito davvero che ce la stavamo facendo, al punto che ho pensato che non era nemmeno necessario avere la copertura. Credo che Netflix stesse perdendo la testa”.
Sapeva che stava correndo un rischio, ma era un rischio calcolato.
“Avrebbero potuto licenziarmi e farlo girare a qualcun altro. Ma l’unico problema era che io interpretavo Leonard Bernstein. Per tutto il tempo ho continuato a pensare: Sono anche Leonard Bernstein nel film, quindi ho sicuramente un vantaggio. Altrimenti forse sarei stato licenziato. Ovviamente, avrebbero anche potuto prendere un altro attore per Leonard Bernstein. Ma poi la continuità sarebbe stata un problema”.
Ripensando a quel giorno, Cooper ritorna ancora una volta all’idea che il film l’ha costretto a superare i suoi dubbi.
“Sono riuscito a fare la maggior parte del film senza paura” spiega. “Ogni volta che agivo spinto dalla paura, era come se il film me la risputasse addosso”.
Traduzione di Nadia Cazzaniga
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