“Come sto? In questo periodo sto viaggiando così tanto che non ricordo i nomi delle cose”. Scoppia in una risata fragorosa Lila Avilés, regista di Eye Two Times Mouth, corto #25 targato Miu Miu Woman’s Tale presentato alle Giornate degli Autori. Quando la incontriamo virtualmente è dall’altra parte del mondo, in Australia, per accompagnare Tótem, il suo primo lungometraggio presentato al Festival di Berlino, dove ha vinto il premio della giuria ecumenica. Tra qualche mese, assicura la regista, “uscirà anche in Italia”.
Il corto racconta la storia di Luz, una cantante che lavora come gallerista. Una donna ragionevole e impegnata, con il sogno di dedicarsi interamente alla musica lirica. Quando viene invitata all’audizione di Madama Butterfly in uno dei principali teatri di Città del Messico, la accompagnano gli amici Luciano e Chío, che sono anche i suoi insegnanti. Grazie alla gratitudine e alla perseveranza, Luz riuscirà a dischiudersi e trasformarsi, proprio come una farfalla.
Il suo corto è un inno alle seconde occasioni. C’è la sua esperienza in quella di Luz?
Sì. Sono stata una giovane madre con un gran bisogno di lavorare. Ero troppo impegnata, ma quando hai una passione e vuoi fare le cose con il cuore, cerchi di comportarti con il massimo dell’onestà. E non si tratta di avere o meno successo. Per niente.
Come ha lavorato con Miu Miu per i costumi?
Il team seguiva un mantra: libertà. Puoi fare quello che vuoi con questi vestiti. E la cosa fantastica è che sono dei bei vestiti (ride, ndr). Ho lavorato sul design dei costumi con Nora Solis. La sua collezione si adattava incredibilmente alla mia storia.
Perché ha deciso di usare la Madama Butterfly come ispirazione per la storia?
Vengo dal teatro, dall’opera. E amo veramente tanto Puccini. Madama Butterfly è stata la prima opera cui ho lavorato, ero assistente alla regia. Provavo in una piccola sala, da sola, con un pianoforte. È stato un grande momento di verità. Ricordo che quando gli attori hanno iniziato a cantare sono scoppiata a piangere. Da quel momento in poi l’ho adorata.
Il corto mescola cultura messicana e giapponese. Come ha lavorato su questo aspetto?
Se c’è un film messicano, secondo il cliché parla sicuramente di Frida Kahlo. Io penso che la bellezza del mio lavoro consista nell’esplorare la diversità. Puoi parlare del tuo paese anche mescolando le culture. Ho sempre amato la filosofia orientale e documentandomi per il film ho scoperto che c’è una stretta relazione tra la storia messicana e quella giapponese. Ci sono addirittura delle parole simili.
Akemi Endo (la soprano, ndr) è straordinaria. Come l’ha trovata?
Conosco i cantanti e spesso non sono naturali quando recitano. Akemi è stata la prima a presentarsi al casting. Quando la guardavo pensavo fosse perfetta. Poi ho scoperto che aveva radici messicano-giapponesi.
Luz è circondata da arte e bellezza. Dovremmo prendere esempio da lei per essere persone migliori?
Assolutamente. Dobbiamo trovare le piccole cose che ci rendono felici. Non importa di cosa si tratti, ma è necessario ritagliarsi il proprio momento sacro, un rituale di gioia quotidiana.
Fin dal titolo il suo corto evoca simmetrie. Come le ha tradotte in regia?
Ho cercato di non essere troppo formale, di non utilizzare storyboard. Catturo la location e il personaggio. Inseguo il desiderio.
La storia dei corti di Miu Miu è costellata di nomi importanti. Ci sono registe che l’hanno ispirata tra quella che l’hanno preceduta?
È buffo perché molte delle registe che ammiro avevano diretto per Miu Miu. Quando mi hanno chiamato non ci credevo. Lucrecia Martel, Agnès Varda, Alice Rohrwacher, Mati Diop, Carla Simón. Ognuna di loro ha uno sguardo unico. Speriamo che ci sia Miu Miu Women’s Tales #200 (ride, ndr). Sarebbe fantastico.
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