Anni quaranta: sotto una pioggia battente di una New York livida e notturna, il fotoreporter trova un uomo biancovestito riverso per terra in un vicolo fatiscente. Forse è solo ubriaco, forse è morto. Il fotoreporter gli aggiusta i capelli con delicatezza, prima di caricare il flash e fare lo scatto che illumina la notte. E’ una scena di The Public Eye, in Italia Occhio Indiscreto (Usa 1992, regia di Howard Franklin, ora recuperabile su Prime Video), storia variante noir e assolutamente infedele di Weegee, aka Arthur Fellig, uno dei più grandi fotografi che abbiano solcato la crosta terrestre.
Morti ammazzati, ubriachi e poveracci
Weegee, ucraino d’origine approdato ad Ellis Island nel 1909, fu la quintessenza del fotoreporter di strada: i suoi scatti in bianconero di morti ammazzati, di ubriachi e poveracci, di celebrità dell’epoca colti nella loro fragilità all’ingresso dei locali più luccicanti, sono, ognuno di essi, uno squarcio di verità nella New York noir tra gli anni trenta e gli anni cinquanta, sono lo sguardo rivelatore e poetico di realtà nascoste al benpensante.
Il primo ad avere il permesso di avere la radio della polizia nella propria automobile (trasformata anche in una camera oscura ambulante), leggendario nella sua capacità di essere sul luogo del delitto – sempre con il sigaro in bocca – prima dei poliziotti e prima dei fotografi concorrenti, considerato cinico eppure sentimentale, finì per essere “scoperto” dal Moma e coinvolto da Stanley Kubrick sul set di Dottor Stranamore, oltrepassando per primo la linea d’ombra tra la “maledetta” fotografia di strada e quella materia impalpabile che chiamiamo arte.
Immenso Joe Pesci nei panni di Weegee
Qui Weegee si chiama Leon “Bernzy” Bernstein, la sua faccia è quella di un immenso Joe Pesci: molte foto che si vedono nel film sono quelle originali di Fellig, e s’illumina il cuore quando il suo sguardo, per magia filmica, si tramuta in scatti veri e propri, mentre passando in macchina osserva la vita notturna dei marciapiedi newyorkesi, con i suoi personaggi dolenti, la sua linfa multietnica, la vita che brulica nonostante noi. “Nessuno fa le cose che faccio io. Nessuno”, ripete Weegee-Bernzy, consapevole della propria arte, per quanto nutrita di cadaveri, lacrime, sofferenze, vanità.
Franklin ha immerso la storia di Weegee nel canone filmico del noir, regalandogli una meravigliosa dark lady con lo sguardo tenero di Barbara Hershey, mentre è un ancora giovane Stanley Tucci il mafioso che pagherà con la vita il tradimento del proprio boss, anche se non sarà sventato il massacro della gang avversaria a cui, ovviamente, Weegee assiste, guardando – piangendo – in faccia la morte pur di avere i suoi scatti.
Un clamoroso insuccesso
Ebbene, noi parliamo di questo film perché fu un clamoroso insuccesso, come se la crudezza dell'”occhio indiscreto” di Weegee non fosse mai stata perdonata. Pur essendo passato al Toronto Film Fest ed a Venezia, The Public Eye incassò pochino, e anche la critica fu tiepida come una minestra lasciata sul davanzale.
E invece, visto a oltre trent’anni di distanza, il film merita di essere riscoperto, rivalutato e celebrato. Non solo Pesci (che aveva da poco avuto l’Oscar per Goodfellas) regala a Weegee un’intensità dolente e profonda, non solo l’aura noir ha niente da invidiare ai film di genere che sono seguiti (i celebrati L.A. Confidential e Black Dahlia soprattutto): soprattutto è la tensione tra cinema e fotografia – la storia d’amore tra cinema e fotografia di strada – che Franklin ha saputo imprimere al film a regalargli i connotati di una pellicola senza tempo. In barba agli aridi del 1992.
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