Tramonti color zucchero filato e brillantini, vestitini fluorescenti e alcool, letti sfatti e sudore, trucco sbavato e feste ininterrotte. E un imperativo: perdere la verginità. È quello che si è autoimposta Tara, adolescente protagonista di How To Have Sex con il volto di Mia McKenna-Bruce – a cui THR Roma ha assegnato la menzione speciale per la miglior interpretazione femminile ad Alice nella città durante la Festa del Cinema di Roma -, in vacanza con due amiche in Grecia. Ma quella che doveva essere l’estate più spensierata della loro vita, la prima da “adulte” lontane dallo sguardo protettivo della famiglia, cambia forma e assume i contorni dolorosi della consapevolezza su sesso e consenso. L’esordio alla regia di Molly Manning Walker, vincitore di Un Certain Regard a Cannes 76 – in sala con Teodora Film per poi arrivare in esclusiva digitale su Mubi – è un film che mette in difficoltà per l’onestà con la quale fotografa un’esperienza che – nella sua unicità – è così simile a quella di tante altre ragazze.
Una versione dalle sfumature horror dello spring-break che vengono a galla man mano che il racconto avanza. Una riflessione sulle prime esperienze sessuali. Su quello che sono e non dovrebbero (mai) essere. “Per parlare di questo argomento bisogna essere scomodi” racconta la regista, capelli corti biondissimi, marcato accento londinese e un passato da direttrice della fotografia. “Dobbiamo superare il disagio per renderlo più confortevole. È l’unico modo per innescare un cambiamento”.
Il suo film è ispirato a qualcosa che ha vissuto in prima persona. Nello scriverlo ha parlato con ragazze che hanno avuto esperienze simili?
No, non abbiamo incontrato persone che avevano subito aggressioni. Ma ci siamo confrontati con gli adolescenti e sul loro concetto di consenso. Era davvero evidente che i problemi erano sempre gli stessi e che la conversazione necessitava di più tempo di trasmissione per essere assimilata.
Perché le ragazze sentono l’esigenza di perdere la verginità? Pressione sociale o mancanza di educazione sessuale?
Penso entrambi. Credo che la pressione sociale sugli adolescenti sia enorme. Dato che l’età del consenso è fissata a 16 anni, ritengono che è allora che dovrebbero fare sesso. Hanno tutti una mancanza di educazione sessuale e quindi inventano come fare sesso all’interno dei propri gruppi sociali. Ciò porta a idee forzate basate sui media, sul porno e sul passaparola piuttosto che sulle emozioni e sulla comprensione del piacere.
Il suo film esamina le aree grigie attorno al consenso.
Per me non è affatto grigio. L’idea che due persone possano essere gentili e compassionevoli l’una con l’altra è davvero semplice. In generale, nel mondo, abbiamo perso tutto questo. Credo che per parlare di questo argomento si debba essere scomodi. Per molto tempo c’è stata tanta vergogna intorno a questo tema. Ma se non si abbatte lo stigma e non se ne parla, non si può andare avanti. Dobbiamo superare il disagio per renderlo più confortevole. È l’unico modo per innescare un cambiamento.
Come ha gestito le scene più intime per far sì che il set fosse un luogo sicuro per il cast e la troupe?
Avevamo a disposizione sia un coordinatore dell’intimità che delle figure di riferimento sia per gli attori che per la troupe. Per me era davvero importante. La regola sul set era che chiunque potesse fermarsi e parlare di qualsiasi cosa. In qualsiasi momento.
Il film esplora anche la doppia faccia dell’amicizia femminile nell’adolescenza.
Volevamo fare un film che non escludesse gli uomini. Non credo che si possa andare avanti senza di loro. Per questo non volevamo fosse giudicante e mostrasse che le pressioni arrivano da tutti i punti di vista. Donne comprese. Perché spesso ci mettiamo pressione a vicenda senza sapere veramente quale sia lo scopo. È come se tutti i personaggi fossero un prodotto della nostra società che abbia insegnato alle persone ad agire in questo modo.
L’uso del suono ha una valenza narrativa. Nel corso del film diventa sempre più ovattato per evidenziare lo stato d’animo della protagonista.
Il sound design è opera di un uomo straordinario: Steve Fanagan. Abbiamo parlato molto di queste due metà del film. La prima è un po’ magica mentre la seconda è caratterizzata da suoni che si contraddicono e sovrappongono l’uno all’altro, così che ci si senta davvero disorientati. Quando ci siamo messi a lavoro, ho fatto un grafico del film. Ho usato il rosso per quando c’è rumore e verde per il silenzio. Ci sono due piccoli frammenti di verde nella pellicola. Si trattava della pressione del mondo su Mia.
Il cinema essere un mezzo per aiutare gli spettatori, specialmente i più giovani, a comprendere i confini del consenso?
Abbiamo portato il film nelle scuole e abbiamo avviato una discussione con gli studenti. È stato davvero incoraggiante sentirli parlare del loro futuro in un modo diverso. Sembra che il film stia contribuendo a cambiare la percezione sul consenso. Penso che le persone si rendano conto di certi aspetti proprio mentre lo guardano. Anche la troupe, mentre stavamo girando, ha realizzato cose che aveva vissuto e che prima di allora non aveva capito, come l’aver subito un’aggressione.
Il titolo del film è aperto a molteplici interpretazioni. Qual è quello che l’ha ispirata mentre scriveva?
Per me si tratta di come ci mettiamo pressione a vicenda per fare sesso. Vorremmo insegnarci a vicenda come farlo, ma senza averne alcuna idea.
Cosa spera che il pubblico tragga dal suo film?
Di essere gentili gli uni con gli altri. Di parlare con i propri amici. E godersi del buon sesso, che sia consapevole del piacere femminile.
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