Ariane Louis-Seize porta in concorso alle Giornate degli Autori il suo primo lungometraggio, Humanist Vampire Seeking Consenting Suicidal Person. Un coming of age che incontra la black comedy strizzando l’occhio a Jim Jarmusch grazie alla stoia di Sasha è una giovane vampira con un problema molto serio: ha una sensibilità che le impedisce di uccidere.
Quando i genitori, esasperati dalla situazione, le tagliano i rifornimenti di sangue, la sua vita è in pericolo. Per sua fortuna incontra Paul, un adolescente solitario con tendenze suicide, disposto a sacrificarsi per salvare la ragazza. Il loro patto, però, si trasforma in un forsennato tentativo notturno di esaudire gli ultimi desideri di Paul prima che faccia giorno.
C’è una coincidenza bizzarra quest’anno a Venezia 80. Oltre al suo ci sono altri due film sui vampiri, El Conde di Pablo Larraín e The Vourdalak di Adrien Beau. Secondo lei perché queste storie sono ancora così attraenti per voi registi e per il pubblico?
Penso che i racconti sui vampiri siano un’ottima opportunità per parlare di questioni umane davvero profonde come la morte, l’accettazione. E penso che il fatto che i vampiri abbiano vita eterna li porti alla solitudine. Perché non possono avere relazioni davvero intime con gli altri. Questo tipo di racconti credo sia un modo per parlare del nostro bisogno di connessione con gli esseri umani e del nostro bisogno di essere amati. E poi sono figure attraenti. C’è una sottile linea tra attrazione e repulsione. È un bel terreno di gioco (ride, ndr).
Crede che i festival di cinema debbano dare maggiore spazio ai film di genere?
Forse da quando Julia Ducournau ha vinto la Palma d’oro a Cannes con Titane si è gettata nuova luce sui film di genere. E questo ha permesso di far sì che anche i festival ne fossero maggiormente attratti. Quelli sui vampiri non sono solo film commerciali!
La fotografia è un piccolo capolavoro. Come avete lavorato per creare il tono del film?
Quella per il film è stata la nostra sesta collaborazione insieme. Abbiamo stabilito un nostro modo di lavorare insieme. Il film ha un tono davvero particolare. Volevo camminare sulla sottile linea della black comedy, del coming of age, delle storie sui vampiri e del dramma. Fin dall’inizio abbiamo parlato di questo mio obiettivo. Abbiamo guardato insieme tutti i film sui vampiri partendo da Nosferatu per trarne ispirazione ma realizzare qualcosa che fosse solo nostro. Ci siamo ispirati ai vecchi film sui vampiri dell’espressionismo tedesco.
Anche il cinema di Jim Jarmusch è stato d’ispirazione?
Due dei suoi film mi hanno davvero ispirato quando ero all’università. Penso a Daunbailò e Dead Man. Ma anche Stranger than Paradise. Mi piacciono molto i vagabondaggi nei suoi film, l’atmosfera e i dialoghi. Si prende il suo tempo e c’è sempre qualcosa di davvero sincero nei personaggi, ma anche un po’ fuori dall’ordinario e inquietante. E ovviamente anche Only Lovers Left Alive è stato d’ispirazione per il trucco, i capelli ed i costume. Perché è come se si avvertisse che quelli del film sono personaggi strani, ma possono adattarsi al resto del mondo.
Nel suo film c’è un dualismo. Da un lato morte e solitudine, ma anche amicizia e tenerezza. Come ha bilanciato questi diversi elementi durante il processo di scrittura?
Fin dall’inizio volevo fare un film luminoso sulla morte. Era il mio obiettivo. Amo molto le black comedy ma non ne avevo mai scritta una prima. Ho chiesto alla mia co-sceneggiatrie, Christine Doyon, di farlo con me. Lei è brillante e bravissima con i dialoghi. Ho pensato che insieme avremmo avuto lo stesso senso dell’umorismo. Non abbiamo pensato troppo al tono quando l’abbiamo scritto.
Abbiamo seguito il nostro istinto e parlato molto. Ci piacciono i film in cui puoi essere davvero commosso e un secondo dopo scoppiare a ridere. E penso che sia quello che abbiamo fatto con il film. Non sapevo se avrebbe funzionato quando l’avrei montato. Ma ho avuto fiducia nel mio istinto e il cast ha capito cosa volevo fare.
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