Un trio – Laura Linney, Maggie Smith e Kathy Bates – è al centro di The Miracle Club, film di Thaddeus O’Sullivan su sceneggiatura di Jimmy Smallhorne, Timothy Prager e Josh Maurer, in sala dal 4 gennaio. Seppur sui toni della commedia, l’opera contiene in sé un pizzico di dolore. Quello di una donna che non vuole affrontare un male incombente, di una sua amica che non riesce a scendere a patti con la morte del figlio avvenuta anni prima, e di un’esiliata che torna nel proprio paese di origine per affrontare i fantasmi del passato.
Tre protagoniste che cercano soluzioni e risposte in un viaggio per Lourdes. Ma i miracoli sono ben altri e le protagoniste lo capiranno presto. Lo ha fatto la stessa Linney, che da Love Actually a Ozark ringrazia gli dei dell’arte e del teatro, oltre alle persone che ha incontrato sul suo cammino.
Lei crede nei miracoli?
Certo che sì. La vita stessa è un miracolo. Il corpo umano è un miracolo. Le relazioni sono un miracolo. Avere figli è un miracolo. Credo nei miracoli, in qualsiasi loro forma.
È un miracolo aver accettato di far parte del film di Thaddeus O’Sullivan?
Il film è arrivato in momenti diversi per ognuno dei suoi membri. Sono vent’anni che Maggie Smith è legata alla storia. La trama ha avuto diverse stesure e ha dovuto attraversare molte difficoltà prima di essere realizzata. Alla fine, siamo arrivate noi tre: Maggie, Kathy ed io. Per me era poco prima della pandemia, tant’è che eravamo pronti a partire, ma ci siamo dovuti fermare per il Covid. Così sono passati altri anni e circa un anno e mezzo fa lo abbiamo portato a termine. Quindi sì, un altro miracolo.
Un momento che porterà nel cuore dell’esperienza al fianco di Maggie Smith e Kathy Bates?
Le nostre conversazioni sulla recitazione, teatrale quanto cinematografica. Le ammiro così tanto. Che gran privilegio stare accanto a loro. Continuerò ad aggrapparmi a ciò che mi hanno insegnato per il resto della mia carriera.
Vedendo il tema della spiritualità in The Miracle Club viene da chiederle se si ritiene una persona religiosa.
Sono una persona spirituale. Non appartengo a nessuna chiesa in particolare. L’unica chiesa in cui sono cresciuta è quella delle arti e del teatro. Chiesa e teatro sono intrecciati. Forse la gente non lo sa o non lo capisce bene, ma ci sono molte somiglianze tra i due luoghi, molto teatro è nato proprio dalla chiesa.
E di cosa è più grata al Dio delle Arti?
Di essere entrata alla Juilliard. Averla frequentata ha fatto davvero la differenza.
Nel film il suo personaggio, Chrissie, dice che ci sono persone che sopportano il dolore con troppo orgoglio. Come si dovrebbe vivere, invece, il dolore?
Ognuno lo affronta in modo diverso. Io cerco di rimanere sempre positiva, ma non è uguale per tutti. Anche le forme del dolore possono cambiare. C’è il dolore fisico, il dolore mentale, spirituale, emotivo. In The Miracle Club c’è molto dolore non necessario. Un dolore traumatico che è durato per decenni, e decenni, e decenni, plasmando la traiettoria della vita dei personaggi. Questo è il tipo di dolore, irreparabile e duraturo, che si genera quando la verità rimane nascosta.
Incomprensioni che, nella pellicola, riguardano anche il ruolo che una donna deve ricoprire nella società. Pensa che guardare a film come The Miracle Club, ambientato negli anni sessanta, possa contribuire al dibattito sulla posizione della donna a livello familiare e culturale?
Il mondo è un posto molto grande e i tipi di lotta per l’indipendenza delle donne sono diversi a seconda delle società e delle culture. Gli statunitensi sono diversi dagli irlandesi, come le situazioni sono diverse in Italia rispetto all’Afghanistan. Ma parlando della mia esperienza, in quanto donna americana, riconosco che si sta attraversando un periodo di grandi cambiamenti, carico anche di visioni politiche. Vedremo cosa succederà. Ma è sempre importante confrontarsi e conoscere cosa viene e cosa non viene accettato sul ruolo della donna, e come tale pensiero si sia evoluto nel corso del tempo.
A tal proposito, qual è il suo rapporto col passato? C’è un momento in cui la sua Chrissie lo rivive guardando delle vecchie fotografie in bianco e nero.
Tutti abbiamo cose che ci mancano, cose che ci addolorano, che sono finite. Ma da quel passato si può trarre per un futuro migliore. Allo stesso tempo cerco di non farmi trascinare troppo dai ricordi. Rispetto il passato, lo porto nel presente, ma solo se può educarmi e preparami al futuro. È uno strumento enorme, che non dovrebbe mai essere rinnegato.
Sia Chrissie che un altro suo personaggio iconico, la Wendy di Ozark, sono donne molto determinate, sebbene in modi completamente diversi. Cosa ha preso della loro forza?
Ad essere sincera non prendo mai dai personaggi. Certo, posso imparare alcune cose. Ma sono le persone con cui lavoro a influenzarmi, a darmi forza, non i ruoli. Ad esempio ora, dopo The Miracle Club, una delle cose più preziose della mia vita è l’amicizia con Maggie Smith. E il mio rapporto con gli sceneggiatori e gli attori di Ozark è ancora intatto. Spero di tenere Jason Bateman sulla mia strada per molto tempo. Sono le persone a rimanere con me, a condizionarmi, perché sono reali.
E di ciò che è reale e cosa non lo è se ne intende, essendo stata tra i protagonisti di The Truman Show. Avendo partecipato a un cult così puntuale sulla trasformazione della percezione mediatica, cosa ne pensa del futuro che ci aspetta, soprattutto nel rapporto tra spettacolo e tecnologie?
Ciò che sta accadendo con la tecnologia e come influisce sulle nostre vite è qualcosa di profondo, soprattutto culturalmente. Dobbiamo vedere cosa succederà. Nel migliore dei casi le tecnologie si integreranno alla nostra quotidianità, come già avvenuto, e contribuiranno ad essere dei semplici supporti. Non credo potranno mai sostituirsi all’uomo.
Una speranza che, probabilmente, arriva anche dopo gli accordi raggiunti con gli Studios a seguito degli scioperi del 2023.
Sono così felice che tutti siano potuti tornare al lavoro. Sono ancora molto preoccupata per le IA e la maniera in cui potrebbero modificare il nostro mestiere, ma so anche che l’arte ha in sé qualcosa di intrinsecamente umano di cui non potrà fare a meno. D’altra parte, trovo inutile negare il progresso, anche se con questa mescolanza di tecnologie bisogna andare cauti, ricordando di mettere sempre gli esseri umani al primo posto.
È appena finito il periodo natalizio, ma vorremmo sapere: essendo stata parte di un classico come Love Actually, anche lei lo riguarda ogni anno sotto Natale, come tantissimi fan?
Posso dire che, quando mi ci imbatto in televisione, faccio molta fatica a toglierlo. È un film così dolce e adoro il fatto di esserne stata parte. Amo tutte le persone che ci hanno lavorato. Quindi sì, se lo incrocio sul mio cammino, ancora oggi, faccio difficoltà a staccarmene.
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