Che Laure Calamy sia uno dei volti più versatili del panorama attuale è cosa ben nota al pubblico francese e (ormai) non solo. Si è guadagnata il successo con Dix pour cent, la versione francese e originale di Call my Agent. Ha recitato in vari progetti, tra cui Io, lui, lei e l’asino – che le è valso il premio César come migliore attrice protagonista -, ed è sbocciata definitivamente col suo ruolo nella pellicola drammatica Full time – Al cento per cento.
Ora, nella pellicola Tutti a parte mio marito presta il volto a Iris, una donna di mezza età nel pieno di una crisi di coppia, spaesata e insoddisfatta dalla staticità in cui è confinata la sua relazione. Calamy incarna perfettamente lo spirito impacciato e la frustrazione di una donna totalmente incapace di scegliere in un momento di dubbio personale e relazionale, a metà tra la noia coniugale e un desiderio di ribellione che a tratti la spaventa.
Ciò che differenzia la commedia diretta da Caroline Vignal dalle sue (numerose) simili è la narrazione inedita e poco convenzionale del piacere femminile. Per una volta questo viene rappresentato e raccontato come fine a se stesso, bisogno naturale femminile sradicato da ogni sentimentalismo. E soprattutto, Vignal lo mostra dal punto di vista della donna stessa, con un uso accorto di autoironia, leggerezza e anche picchi di goffaggine, che rendono quella di Tutti a parte mio marito una raffigurazione immediata e universale, e il personaggio di Iris un’entità con cui risulta piuttosto facile entrare in empatia.
Nel film interpreta Iris, una donna insoddisfatta della sua vita coniugale che inizia a ricercare divertimento nelle app d’incontri.
Iris cerca delle avventure, non sono sicura che voglia trovare davvero dei sentimenti o dell’affetto. Spesso, però, in questi incontri sessuali trova anche della tenerezza, dell’attenzione per l’altro. Insomma, tutto quello che un’autrice (Sheree Conrad, ndr) ha definito l’intelligenza sessuale. Penso che a partire da questo discorso ci sia qualcosa di molto interessante e sconvolgente che riguarda l’ambito della sessualità, soprattutto per le donne.
A cosa si riferisce?
Ci è stato un po’ inculcato che il massimo della sessualità è quando sesso e amore combaciano e si uniscono insieme. In realtà non è sempre così, spesso ci sono delle difficoltà a combinare le due cose.
Crede che ci sia una disparità tra i sessi in questo senso?
Certo. Come sempre, agli uomini viene data la libertà di parlare in maniera libera, quasi fosse più normale per loro avere delle avventure di sesso senza amore. Quando si tratta di donne, invece, se ne parla molto meno. Eppure, ovviamente è una possibilità che esiste in egual misura. La cosa interessante di Iris è proprio questa: attraverso le sue avventure lei tenta anche di conoscere se stessa e scoprirsi per quella che è.
Ad un certo punto Iris dice “penso che dobbiamo anche imparare a dire di sì”. Il film anche in questo senso sembra essere un inno alla libertà femminile di lasciarsi andare a desideri reconditi che ci hanno sempre insegnato a tenere celati.
Apprezzo molto che questo elemento sia stato notato. Ritornando al discorso di prima, in effetti ci sono alcuni temi che vengono accettati per quanto riguarda gli uomini e molto meno per le donne. Ad esempio, parlando di masturbazione, si accetta normalmente che gli uomini la pratichino e che se ne parli in tranquillità. Per le donne è assolutamente un tabù, e risulta sempre più difficile parlarne, invece. Eppure, è proprio attraverso la scoperta di ciò che ci hanno sempre insegnato a tenere nascosto, che le donne cominciano a conoscere il loro corpo e i loro desideri.
È proprio il percorso che svolge Iris nel film.
Mi piace pensare che questo film possa essere l’inno di una donna che nel corso della sua vita di coppia ha perso di vista il suo desiderio sessuale e cerca di ritrovarlo e risvegliarlo. Spesso nelle coppie unite da tanti anni, soprattutto quando si hanno figli, capita che si diventi fratelli e sorelle, coinquilini. Si perde di vista l’intimità della coppia.
Gli spettatori conoscono Iris in questo punto della sua vita: non sanno se lei in passato avesse già avuto dei momenti in cui questo desiderio sessuale doveva essere risvegliato. Sanno solo che a un certo punto lei prende consapevolezza di questo e decide di esplorare quello che lo anima. Secondo me è qualcosa che tutte le donne dovrebbero imparare ad accettare, ad appropriarsene e a fare sempre di più.
Pensa che la tecnologia abbia cambiato la nostra percezione degli incontri e dei rapporti?
Credo che ogni avanzamento tecnologico abbia i suoi lati positivi e negativi, dipende dall’uso che se ne fa. Ci sono delle persone che rischiano di perdersi in questa specie di vertigine, di essere risucchiate dalle tante possibilità che abbiamo. E se parliamo di applicazioni di incontri, le possibilità sono davvero infinite. Oggi andiamo tutti di fretta: gli incontri veri, le cene di riunione, le uscite tutti insieme, sono elementi che non esistono più. Quindi al giorno d’oggi incontrare qualcuno attraverso le app può essere veramente molto interessante e utile.
Alla fine però si arriva a parlare anche di consumismo, e l’uso smodato che se ne fa diventa una spinta quasi ossessiva. Ciò che si vede anche in Tutti a parte mio marito è che questa evoluzione tecnologica ha un lato diabolico e un lato geniale. Bisogna solo imparare a distinguere i vari usi che se ne possono fare.
Parlando della serie Chiami il mio agente!, com’è stato recitare in un progetto che parla di cinema analizzandolo da un’altra prospettiva rispetto alla sua?
Non è un mondo che conosco bene, in realtà. Prima di Chiami il mio agente! non sapevo nulla di come funzionasse il mondo degli agenti. È stato un soggetto totalmente inaspettato. Addirittura, so che hanno impiegato parecchio tempo a trovare i finanziamenti per realizzarlo, tutti dicevano “a chi potrebbe mai interessare una serie su un ambiente così ristretto quello degli agenti di cinema”?
Quale pensa sia stato il segreto del successo di questo format, che ha avuto vari remake di successo tra cui quello italiano?
Attraverso il glamour delle star, tra dissidi tra colleghi e macchinette del caffè, si racconta in realtà un mondo retrostante in cui è facile ritrovarsi. Tra capi, assistenti e precari, la serie non è altro che la descrizione di un ambiente di lavoro universale rappresentato a partire da tutte le sue gerarchie.
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