È l’anno duemila, i giovani sono sintonizzati su MTV e il canale in chiaro comincia a produrre serie televisive e reality show. Il gusto è già iconico, sullo schermo passano colori flou accesissimi, tute e pantaloni a vita bassa, i video musicali delle hit che invadono la radio.
La musica si può vedere e presto anche i prodotti del tubo catodico diventeranno sempre più mixati, in un turbinio di suoni e racconti riprodotti dai cantanti del momento. MTV è stato un luogo, un simbolo, una matrice di creazione. Ed è stata la MTV Films con Fox Searchlight Pictures e Paramount Pictures a occuparsi della produzione e distribuzione di Napoleon Dynamite, fenomeno indie del 2004 che quella cultura popolare, seppur di nicchia, la conteneva tutta quanta.
Da Peluca a Napoleon Dynamite
Bisogna iniziare dal budget del film: 400 mila dollari. Investimento stanziato dopo il cortometraggio Peluca, che ci mostrava per la prima volta il personaggio interpretato da Jon Heder, scritto e diretto da Jared Hess: Heder frequentava ancora la Brigham Young University nel 2002, e il corto gli venne commissionato come compito universitario, presentato un anno dopo, in anteprima, allo Slamdance Film Festival.
Ma il protagonista, la sua recitazione, i modi di dire e come vengono pronunciati (“Oh gosh!”) sono da subito intercettati, capiti e interpretati come portatori di un possibile universo da ampliare in futuro. Dal bianco e nero su pellicola 16 mm, Peluca si espande e diventa Napoleon Dynamite, nome del personaggio principale, nonché opera a colori. Un nucleo che dilaga a raggiera istituendo il proprio quartiere, la sua scuola (Preston High School), l’animale da compagnia, il lama Tina (“Tina you fat lard, eat the food!”).
Figli del Sundance
Napoleon Dynamite ha creato un mondo, fatto di slang adolescenziali e idiosincrasie degli emarginati, aggiungendo quel sapore camp che lo ha reso un instant cult al momento della sua uscita. Un successo che poteva essere auspicato, ma non dato per scontato. Finisce per incassare un totale di 44,4 milioni di dollari, vedendo le sue citazioni diventare parte del tessuto cinefilo e sociale di un gruppo ben distinto di appassionati, che in quel decennio hanno cominciato a portare fieramente in alto la bandiera dei geek.
Una bandiera sventolata alla première mondiale, in quel Sundance una volta crocevia di pietre preziose raggruppate con progetti da pochi spicci, cresciuto e mutato nel tempo fino a trasformarsi in richiamo più di “genere” che di budget.
L’adolescenza nell’Idaho
“Tutto nel film è autobiografico”, dice il regista e sceneggiatore Jared Hess, che nell’Idaho c’è nato costruendo una comunità pastello, démodé, fissata e circoscritta come in una palla di cristallo. Anche per il protagonista Jon Heder si tratta di una questione personale: lui non ha interpretato Napoleon Dynamite, lui è stato Napoleon Dynamite. “Quando ero più giovane, se mi arrabbiavo, dicevo sicuramente qualcosa come ‘Chiudi la bocca idiota!’”, ha affermato raccontando dei suoi nunchaku intagliati a mano e del tempo trascorso al campo scout.
Un panorama in cui a galoppare è solo il puro nonsense – come la scena post credit sul matrimonio del fratello Kip, aggiunta a un anno di distanza dall’uscita del film, con Napoleon che doma e cavalca uno stallone (altro che cinecomic Marvel).
Napoleon Dynamite, geek è bello
Il tempo passa, la cultura geek diventa una moda, e anche se ormai è mainstream essere strani e impopolari, Napoleon Dynamite ha rappresentato per lungo tempo la quintessenza degli alternativi, dei diversamente divertenti, di quegli imbranati inaspettatamente coraggiosi. Perché il protagonista i bulli li affronta, tiene loro testa, anche se poi lo picchiano o gli fanno cadere a terra le crocchette della mensa tenute al sicuro in tasca. È anche per questo che il film è diventato un piccolo grande simbolo della rivoluzione nerd, per cui si organizzano, ad anni di distanza, Q&A con gli autori e visite nelle location scolastiche, mentre si continuano a ipotizzare deliranti e oscure proposte di sequel.
Forse è stato questo senso di capillarità e risonanza a illudere i piccoli produttori dell’opera di poter intentare una causa multimilionaria a Fox Searchlight. Persa, ovviamente. Così come sono andati persi i presunti 10 milioni di dollari in royalties non dichiarate e deduzioni improprie dei ricavi che gli sconfitti rivendicavano. Ma in fondo che importa (“Oh gosh!”, direbbero loro) ai fini dell’iconografia partorita dall’opera, mettiamo piuttosto un po’ di musica e diamoci al freestyle, sulle note eighties di Canned Heat, come Napoleon ci ha insegnato.
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