Tutto è iniziato (o finito?) con una mail. Una nota arrivata a tutti i giornalisti volati a Londra poche ore prima per l’attività stampa internazionale di Oppenheimer, il film di Christopher Nolan nelle sale americane dal 21 luglio (in Italia arriverà il 23 agosto). Le interviste con il cast – Cillian Murphy, Matt Damon, Robert Downey Jr., Emily Blunt e Florence Pugh – programmate per il giorno successivo sono state annullate.
Il motivo è lo scadere delle negoziazioni del sindacato attori di Hollywood, la SAG-AFTRA, che non ha portato ad un accordo. Alla mezzanotte tra il 13 e 14 luglio lo sciopero è diventato realtà andando ad aggiungersi a quello degli sceneggiatori, Writers Guild of America, in corso dal primo maggio. Interruzione di qualsiasi attività, dalle riprese alla promozione dei film (con tanto di guida consultabile per i 160 mila iscritti).
L’attività stampa di Oppenheimer cancellata
Una mail che era nell’aria e, bisogna ammetterlo, non ha lasciato particolarmente stupiti. Solo una manciata di ore prima il red (anzi black) carpet del film allestito davanti il cinema Odeon di Londra era stato anticipato di un’ora in una blindatissima Leicester Square piena di turisti ipnotizzati da un maxischermo che trasmetteva l’evento.
Il tutto per permettere al cast stellare – comprensivo anche di Kenneth Branagh, David Dastmalchian, Josh Hartnett e Rami Malek – di poter sfilare al fianco del loro regista e promuovere il film prima che l’annuncio del possibile sciopero li costringesse a fermarsi. Uno sforzo produttivo, con tecnici e uffici stampa alle prese con dettagli da definire, schedule da riprogrammare, impalcature da fissare e una miriade di altri impegni da portare a termine in un lasso di tempo degno di una mission impossible.
Guy Talese per la sua leggendaria (non) intervista a Frank Sinatra era stato definito “a fly on the wall”, una mosca sul muro. E chissà cosa si sarebbe potuto ascoltare nelle stanze di interi piani d’alberghi a cinque stelle, prenotati da giorni e per giorni con file di fan in attesa di una foto o un autografo, quando la minaccia di un blocco degli attori stava per far scoppiare una bomba nell’industria cinematografica dalla potenza pari a quella creata da J. Robert Oppenheimer.
Il sì di Christopher Nolan
Ma quella nota arrivata via mail, oltre a contenere una cattiva notizia ne conteneva anche una buona. Se fino a 24 ore prima la possibilità di intervistare Christopher Nolan era “quasi zero” – per citare lo scambio tra Oppenheimer (Cilliam Murphy) e il generale Leslie Groves (Matt Damon) circa la possibilità che il Trinity test portasse all’Apocalisse – ecco che il regista si è reso disponibile all’attività stampa.
Un sospiro di sollievo per i cronisti arrivati da ogni parte d’Europa, dalla Germania alla Spagna passando per l’Italia, che hanno potuto adombrare ai loro caporedattori l’opportunità di un’intervista (e che il cospicuo investimento economico della produzione non fosse stato vano). Una conferma arrivata in tarda serata mentre la stampa era all’anteprima londinese del film al BFI Imax di South Bank. Lo schermo più grande in Inghilterra situato al numero 1 della Charlie Chaplin WalK, non lontano dal National Theatre.
L’anteprima Imax
Giornalisti locali, stampa internazionale, registi (avvistato Alfonso Cuarón). Tutti in fila nel sottopassaggio che porta all’ingresso principale del cinema, tra risate e chiacchiere per ingannare il tempo, nel loro dress code smart – come suggerito nell’invito – circondati da graffiti, perdite d’acqua e giacigli di senzatetto. Due facce di un mondo agli antipodi che si ignora a vicenda, forse senza neanche provare più imbarazzo. Vietato riprendere in sala.
Anche quando entra Christopher Nolan che ringrazia il pubblico per essere lì e loda il suo cast che, invece, non lo ha potuto accompagnarlo perché al fianco della “Writers Guild of America in una lotta per stipendi più alti e diritti”.
La mattina successiva l’appuntamento è al Corinthia Hotel – tra Trafalgar Square e il London Eye – sfondo di quasi tutte le attività stampa organizzate a Londra. “Non ci vediamo da tantissimo tempo” dice una giornalista tedesca. “E non ci vedremo per tantissimo tempo, temo. Forse a Venezia, ma senza star” aggiunge. Il riferimento è allo sciopero e alla ricaduta che avrà per tutta l’industria e le attività collaterali, stampa e festival compresi. L’atmosfera è silenziosa.
La consapevolezza di trovarsi di fronte a qualcosa in continuo divenire è palpabile. Il service che si occupa delle registrazioni è cordiale ma ricorda che le interviste dovranno concentrarsi solo ed esclusivamente sul film (sottotesto: ogni riferimento allo sciopero è strettamente vietato).
Nelle stanze riservate alla stampa la temperatura è gelida, aria condizionata a 16 gradi, con una tempo esterno più simile a quello di novembre che di luglio. Una giornalista si avvicina, tentennando, verso il pannello di controllo. Un’altra, ad alta voce, la esorta: “Push the button!” (Schiaccia il bottone, in un riferimento al film visto la sera prima, ndr). Tutti scoppiano a ridere. “Non c’è una piccola possibilità che farlo abbia delle conseguenze?”. Altra risata generale. Dieci minuti di ritardo sulla tabella di marcia e tutti i presenti avranno la possibilità di trovarsi, per soli quattro minuti, faccia a faccia con Nolan.
L’estate di Barbenheimer
È il mondo della promozione, baby. Tempi serratissimi – lo sa bene chi è solito fare le interviste via Zoom dove, appena pronunciata la prima domanda, la chat si riempie di messaggi con un solo testo: “Please, wrap” (“Per favore, chiudi”, ndr) – e una tabella di marcia dai contorni militari. Lo sciopero degli attori arriva in un momento cruciale per il destino della sala. Nell’estate che sembrava aver allontanato l’ombra lunga del Covid e con una serie di uscite sulla carta potenti e in grado di rimpolpare i numeri dei botteghini, da Indiana Jones 5 a Mission: Impossibile 7, Oppenheimer e Barbie erano la ciliegina sulla torta di una stagione estiva che prometteva di fare scintille. Solo per la prevendita, nel circuito Amc, sono stati strappati 200mila i biglietti per la combo Barbenheimer.
Un’occasione per ripensare il futuro?
L’amaro in bocca, al di là di interviste saltate all’ultimo minuto, è rendersi conto di come i picchetti – sacrosanti – degli attori e l’incertezza della loro durata porteranno ad un’altra ondata di crisi per i lavoratori del settore. Perché se Matt Damon o Florence Pugh non possono sfilare su un red carpet o fare una prova costumi, è anche vero che centinaia e centinaia di persone che lavorano dietro le quinte rischiano di restare ferme e, nella peggiore delle ipotesi, perdere il lavoro.
Per il Covid, l’impossibilità di viaggiare e prendere parte ad eventi esclusivi legati all promozione dei film è venuto in soccorso Zoom. Una realtà dalla doppia faccia. Se da un lato ha accorciato le distanze, dimezzato i costi e permesso a sempre più giornalisti di fare il proprio lavoro, dall’altro ha acuito una realtà già profondamente problematica. Le attività stampa “a batteria”, dove i talent, seduti in una stanza d’albergo si vedono passare sotto gli occhi (o su uno schermo) decine e decine di professionisti che in un lasso di tempo fulmineo, con l’ansia di non sforare i tempi, provano a portare a casa un contenuto. Qualcosa che non fa bene a nessuna delle categorie coinvolte.
Chissà se lo sciopero degli attori non regali il tempo necessario anche ripensare e rimodellare questo aspetto. O forse, molto più probabilmente, sarà un’altra occasione mancata per migliorarci.
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