Il respiro inquieto di J. Robert Oppenheimer, una serie di materassi disposti in fila nel deserto del New Mexico sui quali sdraiarsi faccia in giù, dei vetri anneriti per proteggere gli occhi, un bottone rosso e un timer sul quale scorrono i secondi che separano l’umanità dalla sua possibile fine. E poi un’esplosione. Muta. Nessun suono, nessuna musica. Solo una luce accecante e la consapevolezza di aver scritto la pagina più importante della Storia dell’uomo. Senza conoscerne ancora le conseguenze.
Oppenheimer, tra John Donne e Terrence Malick
Alle 5:29 del 16 luglio 1945 con il Trinity test, nome in codice della detonazione scelto su ispirazione di una poesia di John Donne, il fisico statunitense chiamato a dirigere il progetto Manhattan diventava ufficialmente il padre della bomba atomica. Quasi una beffa del destino per uno scienziato teorico che si ritrovò ad assemblare la più potente arma di distruzione di massa di tutti i tempi. Dodicesimo film diretto da Christopher Nolan, Oppenheimer è un dramma storico epico, verbalmente denso (forse troppo), visivamente spettacolare (con immagini che ricordano The Tree of Life di Terrence Malick) ma emotivamente tiepido (eccezione fatta per due sequenze memorabili, quella del test e quella del discorso del fisico all’indomani dell’attacco atomico su Hiroshima e Nagasaki).
Basato su American Prometheus, il libro scritto da Kai Bird e Martin J. Sherwin nel 2005, Oppenheimer è anche un racconto sul paradosso e il dualismo. Quelli di un’arma pensata dallo scienziato per redimere l’umanità e sconfiggere i nazisti che, invece, macchiò di sangue le sue mani. “Sono diventato morte, il distruttore di mondi” pronuncerà una volta resosi conto delle conseguenze agghiaccianti di quell’intuizione scientifica che oggi, più che mai, è spaventosamente attuale guardando a est dell’Europa.
Un racconto di dualismi e paradossi
Ma il dualismo messo in scena da Nolan risiede anche nel racconto di una storia che riguarda il destino del genere umano, sull’orlo dell’Apocalisse, contrapposto alla storia di due uomini. Da un lato Robert Oppenheimer, interpretato da un Cillian Murphy magistrale nell’incarnare il tormento interiore dello scienziato, e dall’altro Robert Downey Jr. – nel ruolo migliore della sua carriera – nei panni di Lewis Strauss, presidente della commissione per l’energia atomica.
Sequenze a colori e sequenze in bianco e nero (e zero uso della CGI). Le prime dedicate al punto di vista soggettivo del fisico e le seconde a quelle di Strauss che, con l’aiuto del capo dell’Fbi, J. Edgar Hoover, proverà a denigrare l’operato di Oppenheimer gettando su di lui l’accusa di essere legato ai comunisti. Una vendetta per le opinioni e i dubbi espressi dallo scienziato sull’utilizzo dell’atomica da parte degli Stati Uniti.
Oppenheimer, tra ambizione e (poco) trasporto emotivo
L’uso della colonna sonora di Ludwig Göransson, modulata tra piano, archi e synth, i suoni e la loro totale assenza sono una delle intuizioni narrative (ed emotive) migliori del film. Ricchissimo di primi piani e dettagli, Oppenheimer indugia sul volto del suo protagonista. Dietro gli occhi cristallini di Cillian Murphy c’è tutto lo spettro dei turbamenti di un uomo che sentiva di non avere altra scelta.
Un film enorme per le tematiche messe in campo, l’accuratezza, le prove degli attori (da Emily Blunt, ex biologa e madre frustrata, a un Matt Damon che regala brevi momenti di leggerezza). Oppenheimer è pensato solo ed esclusivamente per poter essere visto sullo schermo più grande possibile. Ma quella maestosità, quell’epicità visiva non riescono a tradursi in un trasporto emotivo all’altezza della materia trattata (comprese le tanto chiacchierate scene di sesso).
I personaggi scritti da Nolan rimangono come in un limbo. Se il formato Imax è pensato quasi principalmente per esaltare, sottolineare, drammatizzare i loro pensieri, inquietudini e paure, è anche vero che la stessa verbosità che caratterizza il film ne smorza la necessaria esplosione emotiva. Oppenheimer è un film ambizioso, enorme per le sue implicazioni storiche e morali. Ma c’è un ma e risiede in un distacco tra la materia trattata e le reazioni capaci di suscitare.
La natura dell’uomo e i limiti della scienza
Ricco di salti temporali tra passato e presente (ma più lineare nel montaggio rispetto ai film precedenti di Nolan), Oppenheimer parla del prezzo che bisogna pagare per essere testimoni delle conseguenze dei nostri traguardi. Una riflessione sulla natura dell’uomo e i limiti morali ed etici oltre i quali la scienza non dovrebbe andare.
J. Robert Oppenheimer ha modellato i contorni del mondo in cui viviamo e ne ha portato il peso sulle spalle per il resto della sua vita. Come un moderno Prometeo, ha donato al mondo il fuoco. E il mondo ha deciso come usarlo. “Non la capiranno finché non la capiranno”, disse lo scienziato della bomba. “E non la capiranno finché non l’avranno usata”.
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