Tra tutte le emozioni che Il colore viola evoca, la gioia non è di solito tra queste. Dopo tutto, il film tratto dall’omonimo romanzo Premio Pulitzer di Alice Walker racconta la storia di una donna nera, Celie, che subisce indicibili abusi sessuali e fisici da parte degli uomini della sua vita, vede i suoi figli portati via alla nascita, vive nella dura realtà del Sud post-schiavista ed è umiliata dal mondo circostante, considerata indegna di essere amata. Il suo viaggio, raccontato attraverso le sue lettere a Dio, arriva alla fine all’incrocio tra pace e perdono, ma la gioia è qualcosa che sembra latitare per gran parte della storia di Celie.
Il remake musicale del classico del 1985 non stravolge la narrazione, ma la filtra attraverso una lente diversa, concentrandosi sui momenti che ispirano Celie, sulle donne della sua vita che la portano a quel punto e, cosa più importante, sulla guarigione spirituale che le restituisce non solo la sua umanità, ma anche quella di coloro che la circondano.
Un nuovo adattamento, nel rispetto dell’eredità culturale
Riflettendo sulla storia, le tre protagoniste femminili – Fantasia Barrino, Danielle Brooks e Taraji P. Henson – parlano con riverenza del film originale e del libro. Henson lo definisce come Shakespeare per la comunità nera e Brooks lo considera patrimonio culturale cinematografico afroamericano: “È la cosa più preziosa che ci è stata tramandata dal 1985. Ce ne si prende cura e la si trasmette al prossimo”.
Nonostante questo profondo rispetto, Henson riesce anche a vedere alcuni dei suoi difetti. “Il primo film non ha raggiunto i suoi obiettivi in termini culturali. Noi non ci crogioliamo nel fango. Non rimaniamo bloccati nei nostri traumi. Ridiamo, cantiamo, andiamo in chiesa, balliamo, festeggiamo, lottiamo alla ricerca della gioia, la troviamo e la conserviamo. È tutto ciò che abbiamo”, ha raccontato Henson a THR durante una recente intervista, con Barrino e Brooks accanto. “Non abbiamo potere. Siamo continuamente oppressi, tenuti sotto controllo. Quindi cos’altro possiamo fare se non ridere e celebrare la vita? Dobbiamo farlo, altrimenti moriremmo. Quindi, appena vedrete il primo fotogramma, capirete che questo film è diverso. La colorazione è diversa. È leggero, luminoso, vibrante. Siamo noi”.
“Vibrante” potrebbe anche essere usato per descrivere il trio, il cui forte legame è stato forgiato durante le riprese quasi due anni fa. Ridono, si commuovono, si completano le frasi a vicenda. Il colore viola ha rappresentato per loro una grande opportunità, in quanto attrici nere in un settore in cui ruoli da protagonista come questi sono ancora una rarità. “Tra di noi è stato un rapporto autentico. Non abbiamo mai avuto bisogno di indorare la pillola, possiamo avere conversazioni profonde sulle ferite e sul dolore che abbiamo vissuto in questo settore”, afferma Brooks. “Siamo oneste”, aggiunge Henson. “Tutto quello che faccio, lo faccio per poter passare il testimone, perché alla fine verrà passato. Non posso lavorare per sempre. Ma per voi che venite dopo di me, voglio solo che abbiate una strada più facile”.
I rischi dello sciopero SAG-AFTRA
Quando lo sciopero SAG-AFTRA si è trascinato oltre Halloween fino a novembre, Oprah Winfrey ha iniziato a innervosirsi. In qualità di produttrice del remake a grande budget, era preoccupata per la possibilità che le sue star – tra cui Colman Domingo, Corey Hawkins, Halle Bailey e Gabriella Wilson, meglio conosciuta come la cantautrice vincitrice dell’Oscar per H.E.R. – non potessero promuovere il film. “Uno dei motivi per cui pregavo che lo sciopero finisse era perché volevo tanto che questa esperienza, l’esperienza che ho avuto con Il colore viola, fosse condivisa da tutte queste donne”, racconta Winfrey a The Hollywood Reporter, prima di commuoversi. “Ho pensato: se lo sciopero non finisce, non potranno mai fare questo viaggio. Nulla è paragonabile all’essere in giro per il mondo per un film, poterne parlare e condividere la bellissima energia di tutto ciò che Alice Walker voleva quando ha scritto quella storia. È come se ogni volta che parliamo, riuscissimo a parlare degli antenati. E non c’è persona in questo film che non si renda conto che il film è più ampio, più importante di tutti noi”.
Oprah Winfrey e il rapporto con Il colore viola
Winfrey parla spesso del divino in relazione al suo legame con Il colore viola, descrivendolo come un libro che le ha cambiato la vita su più fronti. Quando il libro fu pubblicato per la prima volta e lei lesse della giovane protagonista violentata e messa incinta, si accorse di quanto rispecchiasse la sua vita, avendo avuto un figlio nato morto in seguito a uno stupro subito da adolescente. All’epoca conduttrice di un talk show locale a Chicago, venne a sapere che si stava girando il film ed era decisa a interpretare un ruolo qualsiasi nella produzione, presumendo che non sarebbe stato un ruolo da attrice, tuttavia il produttore Quincy Jones la vide alla televisione locale e la cercò per fare un provino per Sofia.
Non tutti erano entusiasti come Jones. Winfrey ricorda di aver contattato il direttore del casting Reuben Cannon dopo aver fatto l’audizione, il quale le disse bruscamente che sarebbe stato lui a chiamarla, se avesse ottenuto il lavoro. “Mi disse: ‘Sai chi ha appena lasciato il mio ufficio? Alfre Woodard. È una vera attrice. Tu non hai esperienza’. Così ho pensato che sicuramente non l’avrei avuto. E sono andata in ritiro spirituale, per superare questo fatto”, ricorda l’attrice.
“Mi sono detta: ‘Dio, perché l’hai fatto? Perché mi hai fatto arrivare così vicino? Ricordo che ero andata a correre e piangevo, pregavo e cantavo I Surrender All. Nel momento in cui ho sentito di essermi liberata, una donna della struttura è uscita di corsa dicendomi di rispondere al telefono. Era Cannon. Diceva: ‘Steven Spielberg vuole vederti nel suo ufficio domani. Ho sentito che sei entrato in una struttura di ritiro, se perdi un solo chilo, perdi la parte’. Wow, pensai. È un miracolo”.
La svolta nella carriera di Winfrey
L’interpretazione di Sofia da parte di Winfrey, il suo primo ruolo da attrice, non solo le ha portato la prima nomination all’Oscar, ma le ha anche permesso di diventare un’icona che, ne è certa, non sarebbe mai diventata se non avesse ottenuto la parte. La visita agli Amblin Studios di Spielberg le ha fatto capire che avrebbe potuto avere uno studio tutto suo, portando alla nascita della Harpo Productions. Anche il poter controllare il proprio talk show è nato dall’esperienza del Colore viola: i suoi capi le fecero perdere tre anni di ferie (sì, avete letto bene) per girare il film, e lei giurò che non si sarebbe mai più trovata in quella posizione, così acquistò i diritti dell’Oprah Winfrey Show, che andò in onda per 29 stagioni cambiando il panorama mediatico.
Il ruolo ha portato anche a un legame decennale con la storia originale. Vent’anni dopo il film originale, il produttore Scott Sanders ideò un progetto per una trasposizione musicale a Broadway, a cui Winfrey inizialmente si oppose. Alla fine si convinse al punto da diventare produttrice esecutiva della produzione vincitrice del Tony e del suo successivo revival. Ma quando Sanders l suggerì di trasformarlo in un film, Winfrey ha posto dei paletti.
“Per molti anni ho pensato: non sono d’accordo”, afferma. “Forse per ego, ho pensato che l’avessimo già fatto e che non si potesse fare di meglio, dato che ormai era un classico. Com’era possibile migliorarlo?”.
Arriva il MeToo e cambia tutto
Poi è arrivato il movimento del #MeToo. Improvvisamente, Winfrey vede un nuovo motivo per portare Il colore viola a un nuovo pubblico. “Sanders ha iniziato a dire: non senti che c’è qualcosa nell’energia di ciò che sta accadendo alle donne e in questo movimento? Forse è il momento di rivolgersi di nuovo a Steven”, ricorda l’attrice. “Così ho chiamato Steven Spielberg e lui mi ha detto di sì”.
Spielberg, come Winfrey, si era opposto a un adattamento cinematografico dell’adattamento musicale del film originale. Ma quello che Sanders stava proponendo, secondo lui, era molto più di un remake, o anche di quello che era stato il musical: una versione che, pur attenendosi alla storia originale, ne rimodella la visione. “Ovviamente il film di Steven vive nella cultura ed è un classico. Nessuno vorrebbe mai fare un remake”, afferma Sanders. Ma, con l’aiuto dello sceneggiatore Marcus Gardley, è emersa una nuova visione: e se il brutale abuso di Celie non fosse il fulcro del film e se invece si esplorasse l’immaginazione di Celie? Un’immaginazione che mostra le sue speranze, i suoi sogni e la sua capacità di agire?
Questa nuova visione è stata guidata in parte dal regista Blitz Bazawule, che ha debuttato nel lungometraggio con The Burial of Kojo, ma che è forse più conosciuto come co-regista del sorprendente Black Is King di Beyoncé, una rivisitazione fantastica e visivamente sbalorditiva de Il re leone.
“La cosa principale era: cosa possiamo dire che non sia già stato detto? Questa è stata per me la parte più difficile. Sono tornato al libro di Alice Walker. Era nella sua prima pagina, nella prima riga: ‘Caro Dio’. Ho pensato: bene, questa è la frase giusta. Chiunque possa scrivere lettere a Dio deve avere un’immaginazione”, ha affermato Bazawule. “E quel livello di immaginazione è diventato il luogo in cui avremmo giustificato la nostra ragione d’essere”.
L’arrivo di Fantasia Barrino
È questa visione che ha convinto Fantasia Barrino a partecipare al progetto, dopo aver inizialmente detto di no a Sanders. “Quando Blitz ha dato un’immaginazione a Celie, per me è stato perfetto”, afferma l’attrice, che ha ricevuto commenti entusiastici quando ha ottenuto il ruolo di Celie a Broadway quasi 15 anni fa. Quell’esperienza rimane tuttavia un periodo buio nella sua memoria. La campionessa della terza stagione di American Idol era un personaggio televisivo, ma non si era mai esibita in uno spettacolo così estenuante composto da otto repliche a settimana.
Più critico, tuttavia, era il suo stato emotivo. Barrino, che aveva dato alla luce il suo primo figlio da adolescente, aveva vissuto un trauma personale che per certi versi rispecchiava quello di Celie. Già anni fa affermava: “Ogni giorno mi viene detto che sono brutta. Non puoi recitare la parte se non ti metti nei suoi panni e non vivi la sua vita. Quindi mi porto dietro queste cose”. Oggi Barrino ha cambiato prospettiva: “Probabilmente avrei continuato a dire di no se Bazawule non le avesse dato un’immaginazione, perché anche se Celie ha vissuto tante cose traumatiche in giovane età, anche se sua sorella Nettie sembrava avere la meglio e Celie aveva la peggio, nella sua immaginazione mostra come ha fatto a superare tutto questo”.
Mentre altre attrici hanno interpretato Celie a Broadway, tra cui Cynthia Erivo, e altri ancora hanno fatto pressioni per il ruolo, per Bazawule, Barrino era l’unica scelta possibile. “Cercavo qualcuno che incarnasse lo spirito e l’anima del personaggio e che avesse la profondità emotiva necessaria per raggiungerlo. E che avesse una voce potente”, racconta il regista.
Il casting di Danielle Brooks
Winfrey ha provato la stessa cosa per Brooks, che è stata nominata ai Tony e ha guadagnato un Grammy per il suo ruolo di Sofia nel revival di Broadway de Il colore viola nel 2015. Con una brillante operazione di marketing cinematografico virale, Winfrey ha registrato la telefonata con Brooks – che è scoppiata in lacrime prima che le venisse detto che aveva ottenuto il ruolo – e l’ha diffusa sui social media. “Danielle, mio Dio, l’ho capito fin dal primo giorno”, racconta Winfrey. “Uno dei momenti più divertenti è stato chiamarla, perché ovviamente l’avevo vista a Broadway. C’erano altre persone, ma era lei a incarnarlo”.
È un personaggio che ha occupato a lungo lo spirito di Brooks. Da ragazza cresciuta nel sud, quando ha visto per la prima volta Winfrey nei panni di Sofia, è stata una delle prime volte in cui ha visto sullo schermo una versione di se stessa: una donna dalla pelle scura, dalle forme piene, autoritaria, fiera e che viveva la vita nel modo più completo possibile. “Mi ha cambiato la vita, osservarla mentre viveva il suo potere”, ricorda.
Brooks avrebbe fatto della recitazione il suo primo amore, avrebbe frequentato la Juilliard, avrebbe fatto un potente debutto nel ruolo di Taystee in Orange Is the New Black e, in un divino momento di svolta, avrebbe ottenuto il ruolo di Sofia a Broadway.
Tuttavia, quando le è stato detto, nonostante tutti i suoi riconoscimenti a Broadway, che avrebbe dovuto fare un’audizione come tutti gli altri, il suo primo pensiero, in linea con il personaggio, è stato un ‘no, cavolo!’. Poi, dopo aver riflettuto su quanto lo desiderasse ardentemente, ha ingoiato il suo orgoglio ed è stata determinata a fare tutto il necessario per ottenere la parte. Ricorda i lunghi colloqui con Bazawule e un provino registrato in cui cantava, seguito da… mesi di silenzio.
Scoraggiata ma non sconfitta, ha chiesto consiglio a James Gunn, suo regista sul set di Peacemaker. “Ricordo di aver avuto una lunga conversazione con lui sulla fede e sulla fiducia in questo processo. Così ho scritto una lettera per dire che amavo il ruolo di Sofia e desideravo quel ruolo”.
Taraji P. Henson, la nuova Shug Avery
Anche taralli P. Henson si è trovata a dover fare un’audizione per il ruolo di Shug Avery, nonostante Bazawule la volesse per la parte: un boccone amaro da mandare giù per l’attrice candidata all’Oscar. Per Henson è stato non solo un affronto, ma anche emblematico della sua lotta pluriennale per rimanere al livello che ha raggiunto. Nonostante la nomination all’Academy Award per Il curioso caso di Benjamin Button, le nomination agli Emmy per il ruolo di Cookie in Empire e l’acclamata interpretazione ne Il diritto di contare, Henson afferma che, insieme ad altre attrici nere, rimane bloccata ad un livello inferiore quando si tratta del prestigio e del denaro che Hollywood concede ad altre attrici in posizioni simili.
Sottolinea che, a parte la vittoria dell’Oscar 2002 di Halle Berry come miglior attrice in Monster’s Ball – L’ombra della vita (Berry è l’unica donna nera ad aver mai vinto il trofeo) la maggior parte delle donne afroamericane sono nominate per ruoli di supporto, anche se sono protagoniste. La mancata nomination all’Oscar come attrice protagonista per il ruolo de Il diritto di contare rimane un punto particolarmente dolente per Henson.
“Sono stata pagata e ho lottato con le unghie e con i denti in ogni progetto per ottenere lo stesso dannato cachet. È uno schiaffo quando la gente mi dice che lavoro troppo e io so che devo farlo non per capriccio ma perché i conti non tornano. E devo pagare le bollette”, si sfoga, con qualche lacrima. “Faccio questo lavoro da due decenni e a volte mi stanco di lottare perché so che quello che faccio è più grande di me. So che l’eredità che lascio influenzerà qualcuno che verrà dopo di me. Prego affinché queste ragazze nere non abbiano le stesse lotte che fatto io e Viola Davis, Octavia Spencer, che siamo qui fuori a lottare”, afferma. “Altrimenti, perché lo faccio? Per la mia vanità? Non è una cosa che mi fa piacere. Ho provato due volte ad andarmene dal mondo del lavoro. Ma non posso, perché se lo faccio, come posso aiutare quelli che vengono dopo di me?”.
Tenendo questo in mente, Henson ha affrontato il suo provino con ferocia. “Con l’aiuto di Bazawule, ho ingoiato il mio ego e sono entrata. Avevo il vestito perfetto”, racconta, descrivendo la scena. “Era molto d’epoca. Era a balze, si muoveva molto e aveva degli accessori, quindi luccicava, faceva molto Shug Avery. Indossavo una stola, mi ero messa dei fiori tra i capelli e mi ero pettinata con in tema”.
Al termine del provino, non era ancora certa di aver ottenuto il ruolo, ma aveva dato il massimo. “So che qualsiasi cosa abbia fatto, l’ho lasciata in quella stanza. Alla fine dei conti è tutto ciò che si può fare. E poi ho ricevuto una strana telefonata da Tyler Perry: ‘Rispondi al telefono?’. Non capivo di cosa stesse parlando e lui continuava: ‘Oprah sta cercando di chiamarti’. E quando le rispondo lei mi dice subito: ‘È stato unanime'”.
Winfrey sottolinea che la sua esitazione iniziale nei confronti di Henson non aveva nulla a che fare con le sue doti di attrice, ma con l’impegno richiesto dal canto: “Voglio dire, amavo Taraji e la guardavo in Empire e tutto il resto, ma nessuno di noi sapeva che Taraji sapesse cantare. E invece sì, sa farlo”.
Il colore viola: le pressioni per Beyoncé e Rihanna
Nonostante l’iconica proprietà intellettuale abbia trovato eco in tre media e Winfrey, Spielberg e Jones siano dietro al progetto, per alcune delle persone coinvolte il film ha dovuto affrontare le stesse difficoltà di altre produzioni nere, dalla lotta per ottenere il cast che Bazawule voleva, alle pressioni per ottenere maggiori risorse. Barrino afferma che c’era la sensazione che il cast volesse dare il meglio di sé per sostenere il regista nero: “È un cast tutto nero ed è un film molto profondo. Quindi, per Blitz, tutti noi ci siamo impegnati al massimo anche quando eravamo stanchi, quando eravamo arrabbiati”.
Winfrey riconosce le pressioni per garantire un successo: “Ad essere completamente onesti, se avessi fatto questo film per 30 o 40 milioni di dollari, l’interesse per il cast sarebbe stato molto diverso. Una volta che il film ha raggiunto i 90-100 milioni di dollari, allora tutti vogliono che portiamo Beyoncé”, ha affermato. Ci chiedevano Beyoncé o Rihanna. Così ci siamo seduti in una stanza dicendo mettendo le cose in chiaro ‘Amiamo Rihanna’, abbiamo detto, ‘ma ci sono altre attrici che possono fare questo lavoro’. Ricordo le conversazioni sul fatto che Beyoncé fosse impegnata, ma non era nemmeno una trattativa, perché non avevamo chiesto Beyoncé”.
Il nome di Winfrey può sembrare sinonimo di risorse illimitate, ma l’attrice osserva che ci sono stati momenti in cui il trio di produttori ha dovuto rivolgersi alla Warners Bros. per chiedere più soldi per far funzionare tutto al meglio. “Devo dire che i co-presidenti della Warner Bros. Pam Abdy e Mike De Luca l’hanno capito fin dalla prima volta che hanno visto il film, e hanno saputo ascoltare me, Steven e la squadra quando abbiamo detto: questo è il motivo per cui deve essere fatto”, afferma. “Dovete darci più soldi per farlo, perché questo è un manifesto culturale in un certo senso per la nostra comunità, e merita di avere il sostegno necessario per renderlo ciò che deve essere”.
La scelta del regista per Il colore viola
C’era anche intesa su chi avrebbe dovuto dirigere il progetto. Anche prima che Bazawule fosse in lizza, si sapeva che chiunque si fosse occupato del film avrebbe dovuto essere una persona nera, la cui mancanza era stata problematica per l’originale. Winfrey ricorda che la Naacp (una delle più influenti associazioni per i diritti civili afroamericani, ndr) ha prima chiesto di vedere la sceneggiatura e, una volta respinta, si è schierata pubblicamente contro il film per le preoccupazioni legate alle rappresentazioni negative degli uomini neri, con un notevole disappunto per il fatto che fosse Spielberg a portare il messaggio al mondo.
“All’epoca ero arrabbiata con la Naacp. Pensavo: ‘Come osate cercare di rovinare questo momento per tutti noi che abbiamo lavorato così duramente, in particolare per Alice Walker?’ La nostra risposta è stata: ‘Questa è una storia. Non è la storia di tutti i neri’. Ero sconvolta dal fatto che lo stessero facendo, ma non avrei permesso che questo influisse sulla mia gioia di partecipare all’esperienza. Non c’era nulla che si potesse dire su Il colore viola per quanto riguarda l’importanza dell’esperienza. È stata una cosa che mi ha cambiato la vita, che l’ha arricchita, che l’ha ampliata”.
Le dichiarazioni di Alice e Rebecca Walker
Rebecca Walker, figlia di Alice Walker e produttrice di questo film, era un’assistente quindicenne del primo film e ricorda il vetriolo che ha preceduto e seguito l’uscita dell’originale, che ha portato alle 11 nomination agli Oscar del film e alla sua totale mancanza di vittorie. “Mia madre ha sofferto molto”, afferma Walker. “Ha preso tutte quelle critiche sul personale. Sentiva di aver fatto del suo meglio, non solo per Celie e Shug, ma anche per Mister, per tutti gli uomini di quel libro e per tutti gli uomini della sua vita”.
Alice Walker ricorda di non essersi mai pentita della scelta di Spielberg come regista. “Non ci ho mai pensato. Sembra davvero assurdo dare del razzista a qualcuno che dice: ‘Mi piacerebbe molto e farò tutto il possibile per fare in modo di fare amare questo film anche a te”.
Se non fosse stato per Spielberg, Winfrey ritiene che il film non sarebbe mai stato realizzato. Secondo Winfrey, Spielberg era consapevole dell’impatto che avrebbe avuto la sua direzione sul film. “Si è preso la responsabilità di questo, e per lui è stato spaventoso. Quando Quincy gli chiese di farlo, Spielberg era consapevole che avrebbe dovuto essere una persona nera a farlo. E Quincy rispose: ‘Sono qui e sarai tu'”, ricorda Winfrey. “Penso ancora che sia un classico ed è straordinario quello che Steven sia riuscito a fare quello che ha fattocon quell’opera”.
Il colore viola di Spielberg e quello di Bazawule
Quando ha affrontato Il colore viola, Spielberg era già un acclamato regista di blockbuster. Quando Bazawule (già musicista con il nome di Blitz the Ambassador) si è proposto di dirigere il remake, aveva diretto un solo film, ma Winfrey e Sanders si sono subito convinti che il quarantenne ghanese fosse l’unica scelta possibile. Sanders temeva che la sua mancanza di esperienza potesse ostacolare il via libera della Warner Bros. “Queste società sono enormi e orientate al profitto e molto spesso sono accusate di non essere attente al processo creativo”, afferma il produttore. “L’ultima proposta, l’ultimo colloquio per l’approvazione e l’assunzione di Blitz, è stato fatto su Zoom, e c’erano Blitz, Oprah, gli ex dirigenti della Warner Bros. Toby Emmerich, Courtenay Valenti ed io. Toby Emmerich ha fatto una cosa straordinaria, cortese e atipica per quello che la maggior parte delle persone pensa dei dirigenti di Hollywood. Ha guardato Blitz e ha detto: so che pensi che questo sia il tuo ultimo ostacolo per ottenere questo lavoro. Ma se Oprah e Steven e Scott e Quincy pensano che tu sia il regista, allora sei il regista. Hai il lavoro. Dimmi solo che film vuoi fare. ”
Lavorando su una sceneggiatura di Gardley, Bazawule ha fatto suo il film infondendolo di “realismo magico”, come lo descrive Winfrey. L’ingresso nell’immaginazione di Celie comprende momenti di sogno con Shug (la cui relazione romantica è più approfondita rispetto al casto bacio dell’originale) e numeri di canto e danza in cui Celie si concede di sognare un luogo lontano dal mondo brutale che Mister ha creato per lei.
Poi c’è l’evoluzione di Mister, interpretato da Colman Domingo. Nell’originale, con i suoi modi malvagi così abilmente rappresentati da Danny Glover, la redenzione del personaggio arriva solo verso la fine del film, come un vecchio che finalmente si pente della sua condotta nei confronti di Celie. Come nel libro e nella versione musicale, questo nuovo Colore viola investe molto di più nell’arco di redenzione del personaggio, un cambiamento che Alice Walker apprezza profondamente e che Bazawule e Gardley hanno aggiunto al film. “Penso che sia stato davvero bello avere un uomo nero alla regia – non solo per le sue origini ma perché ha un enorme talento – ed anche un giovane nero alla sceneggiatura”, afferma Walker, “perché spero che le persone vedano che stiamo tutti cercando di evolvere nelle nostre relazioni con gli altri. Spero che questa evoluzione e questo aspetto siano utili alle persone”.
Sono state apportate altre modifiche alla nuova versione. La violenza contro Celie è più suggerita che mostrata, e la famosa frase che Shug dice a Celie quando si incontrano per la prima volta, “You sho’ is ugly!”, non viene mai pronunciata. “Nel mio non ha funzionato perché i livelli e il coinvolgimento nella narrazione della sorellanza – ci sono certe cose da cui è impossibile uscire. Il rapporto tra Celie e Shug Avery non poteva riprendersi da questo”, afferma Bazawule. “All’interno di Il colore viola c’è un mondo infinito. Il nostro compito è capire cosa sfruttare per questo pubblico. Non abbiamo avuto paura di eliminare quel che non era necessario, o al contrario aggiungerlo. La mia speranza e la preghiera è che il film sia di profondo beneficio per il pubblico di oggi, che possa vedere un riflesso di se stesso”.
Alice Walker spera anche che il nuovo possa rappresentare la cura che si era prefissata per il libro quando l’aveva concepito. “Sai, lo leggi e poi lo assumi come se fosse una medicina. E non ti uccide. Anzi, potrebbe aiutarti a crescere e a trasformarti in qualcosa di magico”.
Nonostante tutte le proteste che hanno avvolto il film decenni fa, ora è diventato parte della cultura americana, in particolare della cultura nera: i meme dei momenti chiave ne sono una prova. Una bambina che è diventata virale con un recente TikTok, in cui interpretava tutti i ruoli di una scena, ha conquistato il cuore di Winfrey (e un invito alla recente première).
Se le recenti proiezioni sono indicative, l’attesa per il remake è palpabile. Tuttavia, Winfrey è consapevole che il successo del film sarà misurato in vista di futuri progetti con un cast prevalentemente nero. È per questo che sta promuovendo il film così intensamente e che il suo guardaroba da red carpet è stato trasformato dal colore viola in quasi tutte le apparizioni pubbliche. (In questa intervista indossava un raro abito di seta color crema, ma più tardi, quando è stata premiata dall’Academy Museum, ha indossato un abito viola scintillante). “Purtroppo siamo ancora lì. Ecco perché sono letteralmente per le strade a distribuire biglietti”, dice. “Siamo ancora in una situazione in cui il mondo intero non capisce che siamo una parte così vitale della società e che le nostre storie meritano la massima priorità: è così che si contribuisce a far sì che le persone in tutto il mondo si connettano e si relazionino con la nostra cultura. Quindi, sì, è davvero importante che vada bene”.
Traduzione di Pietro Cecioni
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