Past Lives di A24, il debutto nel lungometraggio della regista Celine Song, è un dramma agrodolce e tenero che racchiude grandi idee sull’identità culturale e sul destino nella storia intima e sorprendente di un inaspettato triangolo amoroso. Il film segue Nora (Greta Lee) una giovane donna che da bambina emigra dalla Corea del Sud al Canada con i suoi genitori, per poi trasferirsi a New York, dove vive e studia come aspirante drammaturga.
Il passato torna a tormentarla quando riallaccia i contatti con una sua cotta d’infanzia a Seoul – Hae Sung interpretato da Teo Yoo – con cui sviluppa una relazione online tramite videochiamate, nonostante l’estrema distanza e la mancanza di una vera intimità. Anni dopo, Nora ha sposato il collega scrittore Arthur (John Magaro) e Hae Sung va a trovarla a New York.
Ritrovandosi di persona per la prima volta dopo decenni, i due sono costretti a interrogarsi sui sentimenti che provano l’uno per l’altra, mentre Nora in particolare si trova a dover fare i conti con due situazioni: non solo quella di Hae Sung e Arthur, ma anche quella della sua duplice identità culturale. Yoo, nato in Germania e residente in Corea del Sud, ha parlato con THR del suo percorso nella recitazione e di come ha usato i ricordi per entrare in contatto con il senso di estraneità, malinconia e solitudine di Hae Sung.
Le sue scene con Greta e John al bar che fanno da sfondo al film, partiamo da qui. Soprattutto da quella iniziale, quando il pubblico vede voi tre dalla prospettiva di un estraneo.
Ricordo che Greta ha dovuto lottare con quella scena. John e io adoriamo quella vulnerabilità, ci sentiamo a casa in quello spazio. Ma lei ha interpretato personaggi stravaganti per tutta la sua carriera, mascherando questa vulnerabilità. Questa era la prima volta che era protagonista di qualcosa di veramente drammatico. Io e John ci siamo detti: “Non è fantastico essere così vulnerabili?”. E Greta diceva: “No!”.
Ha un background sorprendente: è cresciuto in Germania, ha studiato recitazione a New York e ora vive e lavora in Corea del Sud. Quanto del suo percorso le ha permesso di entrare in contatto con Hae Sung?
Sono cresciuto in una comunità coreana in Germania. Eravamo lì grazie a un accordo lavorativo tra i due paesi e i nostri padri lavoravano nelle miniere di carbone o nell’edilizia per costruire la Germania del dopoguerra degli anni Settanta. Le nostre madri erano tutte infermiere. Ho visto Chungking Express alla tv tedesca ed è stata la prima volta che ho provato una specie di malinconia e la sensazione di essere fuori posto. Il mio vocabolario era quello del cinema. Quando ero più giovane volevo essere il primo giocatore coreano dell’Nba. Non c’era nessuno che mi indicasse la strada per lo spettacolo.
Quando mi sono trasferito a New York, ho seguito un corso con Irma Sandrey al Teatro Strasberg. Da atleta, ascolti il tuo allenatore e lo fai senza giudicarlo, cosa che ho fatto durante il corso di recitazione. Mi ha chiesto se avessi recitato prima e io le ho risposto di no: facevo solo quello che mi diceva di fare. Pensai di vedere di cosa si trattava e poi di tornare a scuola per diventare fisioterapista. Mi invitò a una masterclass e capii subito che lo sport è solo un’altra piattaforma, un terreno per provare la sensazione di essere applauditi sul palco. Mi sono concentrato molto di più su ciò che volevo. Non lo sapevo ancora perché nessuno me lo aveva mostrato.
Ciò che mi ha aiutato davvero per quanto riguarda Hae Sung è stato anche il sentirmi un outsider. Non rientro nelle statistiche di chi dovrebbe “farcela”, nemmeno in Corea, perciò quella tristezza e quella solitudine erano qualcosa che mi tenevo dentro da sempre. Stavo solo aspettando una sceneggiatura che mi mettesse a mio agio nell’esprimerle, e Past Lives l’ha fatto.
Chi non parla coreano probabilmente nota la fisicità della sua interpretazione. Si è coordinato con l’attore che interpreta il giovane Hae Sung all’inizio del film, Seung Min Yim, per capire come si muovesse nel mondo?
Piuttosto che chiedere al giovane attore di adattarsi a un personaggio è meglio lasciargli fare quello che sa fare. Mi sono lasciato ispirare da lui. Era molto timido, aveva sempre i gomiti incollati al corpo. L’ho trovato molto interessante, così ho usato una sorta di memoria sensoriale, come se avessi una corda magica intorno al corpo.
Lei, nato in Germania, e Greta Lee, cresciuta negli Stati Uniti, avete un background simile, entrambi con genitori coreani. Com’è stato destreggiarsi insieme nella lingua coreana?
Non so come sia stato per Greta, sono sicuro che si sentiva vulnerabile e probabilmente voleva migliorare la sua conoscenza linguistica, ma Celine le ha chiesto di non farlo. Ho sempre lavorato con un coach linguistico, indipendentemente da dove lavoro. Mi sono adattato a essere la versione più coreana di me stesso, avendo vissuto lì per 15 anni. Voglio sempre allontanarmi dagli stereotipi asiatici visti nei film occidentali e puntare su ciò che posso fare con la forza del dramma, lo stoicismo e il carisma sullo schermo.
So come un protagonista viene considerato attraente in un contesto asiatico, come gli occidentali pensano agli asiatici americani e quali sono le caratteristiche che rendono una persona adatta al ruolo di protagonista. Sono sempre alla ricerca di un modo per coniugare le due cose, per prendere quel linguaggio e renderlo accessibile e autentico. So che il pubblico occidentale non sa cosa sto dicendo (ride, ndr). Non posso fare molto con il linguaggio del corpo e il modo di recitare se poi parlare in inglese con un accento coreano può sembrare comico o ridicolo, quindi ho cercato di trovare il giusto livello con Celine in modo che suonasse naturale senza sembrare divertente.
All’inizio del film, Hae Sung e Nora comunicano attraverso lo schermo del loro computer su Skype. Avete provato le scene di persona?
Non abbiamo provato molto. Forse è il metodo di Celine, che vuole che i suoi attori memorizzino le battute e poi siano molto naturali sul momento. La scena in cui ci lasciamo su Skype l’abbiamo girata in tempo reale: dalla parte coreana il sole stava tramontando, dalla parte newyorkese il sole stava sorgendo. In gran parte si trattava solo di essere sinceri nel momento e di reagire l’uno all’altro.
Celine proviene da un background teatrale, dove il dialogo può essere più importante dell’azione in termini di avanzamento della storia. Cosa del suo stile registico le ha permesso di far emergere l’interiorità di Hae Sung?
Ci sono tante cose che si possono fare in un ambiente teatrale e che non si possono fare in un ambiente cinematografico, e viceversa. Credo che la cosa più importante sia stata la fiducia: fare in modo che io mi fidassi di lei e che lei si fidasse di me. La fiducia ha funzionato come una rete di sicurezza in quell’ambiente, perché si tratta di una performance molto vulnerabile per tutti noi. Non sentirsi giudicati è stata una cosa importante.
Il film parla di un triangolo amoroso, ma non ha un finale melodrammatico in cui Nora è costretta a scegliere tra due uomini. Neanche gli uomini che le stanno accanto la spingono a fare una scelta tra loro.
Ne abbiamo parlato molto. Penso che ci sia qualcosa nell’esperienza di Celine con suo marito (lo scrittore Justin Kuritzkes) e anche nel rapporto di John con sua moglie (che è coreana). Io sono sposato con una donna coreana di 11 anni più grande di me, il che è molto contrario alla norma nel nostro ambiente. Abbiamo avuto una comprensione reciproca sulla maturità del modo in cui possiamo rappresentare una virilità sensibile. Crescendo con un certo modo di pensare a come dovrebbero essere gli uomini, a volte mi sentivo a disagio nel mio gruppo di coetanei. Non avevamo un’idea precisa di come due uomini potessero essere vulnerabili e intimi l’uno con l’altro senza avere alcun timore o stigma. Aspiro a essere rispettoso con tutti, indipendentemente dal sesso, dall’età, dall’etnia: siamo tutti esseri umani che cercano di capirsi.
Il che riporta alla scena del bar, in cui vediamo una barriera di comunicazione tra questi due uomini che non condividono una lingua, tanto meno una struttura per elaborare i loro sentimenti in questa strana situazione emotiva.
Celine me l’ha descritta come un duello: entrambi abbiamo le spade sguainate, ma c’è un certo livello di rispetto. Hae Sung perderà il combattimento, quindi sono entrato in scena con questa consapevolezza emotiva dando spazio a John, che per me era molto importante.
Nel momento in cui Hae Sung e Nora si riuniscono, Nora torna a casa e dice ad Arthur: “È così coreano”. Come persona cresciuta fuori dalla Corea, le è sembrato che questo facesse parte del personaggio che doveva interpretare?
Mi è venuto naturale, non perché io sia così, ma per la preparazione che mi è stata data dalla sceneggiatura: cosa ha passato nella sua vita, quali sono le sue aspettative, il suo ambiente, la sua cultura, i suoi genitori. In questo senso, è molto coreano. Sono diventato attore tardi, a 22 anni. Ho dovuto combattere con gli stessi demoni, quindi li ho capiti.
Traduzione di Pietro Cecioni
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